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europa costituzione in crisi dopo l'11 settembre
- Subject: europa costituzione in crisi dopo l'11 settembre
- From: Andrea Agostini <lonanoda at tin.it>
- Date: Sat, 24 Nov 2001 06:36:16 +0100
MARTEDÌ, 20 NOVEMBRE 2001 da repubblica L'Europa senza Costituzione in crisi dopo l'11 settembre La qualità delle decisioni affidate alla Ue rivela l'inadeguatezza delle sue attuali fondamenta Nel Vecchio Continente è più evidente il fallimento di una integrazione basata solo sul mercato STEFANO RODOTA’ ---------------------------------------------------------------------------- ---- Ha davvero senso avviare in questo momento il tentativo di dare all'Europa una costituzione? Può l'Unione europea, la cui debolezza politica è stata impietosamente rivelata dalla nuova «età del terrore», sostenere un'impresa così impegnativa? Contro questa impresa, in modo esplicito o indiretto, si coalizzeranno in molti. I politici nostalgici d'una sovranità nazionale che perde ogni giorno qualche pezzo; i giuristi affezionati all'idea che già esiste una costituzione europea «diffusa», desumibile dai trattati e da altri atti comunitari; i teorici del diritto e della politica che s'interrogano sulla possibilità d'una costituzione prima che vi siano uno Stato e un popolo; i realisti d'ogni genere, ipnotizzati dalle difficoltà politiche e prigionieri della logica contingente, e per ciò incapaci di scorgere quale sia la vera «realtà» con la quale fare i conti. Proprio il realismo, invece, impone di mettere oggi al centro della discussione europea la questione costituzionale. Per due buoni motivi. La dimensione assunta dall'Unione europea, per la quantità e la qualità delle decisioni a essa affidate, rivela la pericolosa inadeguatezza delle sue fondamenta: se queste non verranno seriamente rafforzate, non dico che la costruzione europea crollerà, ma certo retrocederà verso la logica di una zona di libero scambio, sia pure estesissima (la prospettiva dell'Unione a 27 paesi) e unificata da un fattore importante come la moneta. Ma vi è un altro motivo per cui, ancor più che ieri, l'Europa non può evitare la via costituzionale. Essa è, oggi, la più vasta area del mondo dove da anni si sperimenta il superamento della logica degli Stati nazione, dove si registra ormai l'inadeguatezza della integrazione soltanto attraverso il mercato e la necessità di una integrazione attraverso i diritti. Si può parlare di un luogo dove, sia pure su una scala più ridotta, si stanno affrontando i problemi tipici del mondo globalizzato: le insidie del protezionismo e gli egoismi della «fortezza Europa», ma pure l'urgenza di sottrarre le relazioni sociali ed economiche al solo governo del sistema delle imprese, restituendo alla politica e alle istituzioni la loro capacità regolatrice. Con gli strumenti finora disponibili, questo progetto ha già dato tutto ciò di cui era capace. Volendo andare avanti, la questione costituzionale non può essere più elusa. Se, retoricamente, vogliamo parlare di una missione europea di fronte al mondo, bisogna mettere l'accento proprio sull'esperienza compiuta e sulla ineludibilità di questa ulteriore prospettiva. Non con la pretesa di imporre un modello. Ma per mostrare che un mondo unificato dalla forza degli interessi economici e dal sistema della comunicazione non è inevitabilmente un mondo senza regole, posseduto dalla legge del più forte, e dunque moltiplicatore di diseguaglianze e di disprezzo per i diritti. Per dotare di questo valore aggiunto, interno e globale, l'apertura della propria fase costituente, l'Unione europea deve prendere realisticamente atto dei limiti dell'esperienza finora compiuta. Ha cominciato a farlo al Consiglio europeo di Colonia, nel giugno del 1999, con parole particolarmente impegnative: «La tutela dei diritti fondamentali costituisce un principio fondatore dell'Unione europea e il presupposto indispensabile della sua legittimità». Da qui è nato il processo che ha portato alla Carta dei diritti fondamentali, proclamata a Nizza nel dicembre dell'anno scorso. Ma il deficit di democrazia e di legittimità delle istituzioni europee non è ancora colmato. Bisogna ricordare, ad esempio, che decisioni europee assai importanti, come quella con la quale il Commissario Mario Monti ha vietato la fusione tra Honeywell e General Electric, sono state criticate negli Stati Uniti sottolineando anche la scarsa trasparenza e controllabilità delle procedure. Se si vuole uscire da questa situazione, e si deve farlo, è evidente che la democraticità delle istituzioni europee esige un fondamento costituzionale. Vi è, poi, un obbligo di coerenza. Due casi, e due domande. Come riuscirà a lavorare la Convenzione, che sarà incaricata di scrivere il testo della costituzione, in una Europa fortemente segnata dalla nuova leadership di Tony Blair, il cui rappresentante personale in un'altra Convenzione, quella dove si è scritta la Carta dei diritti, è stato il più fiero oppositore di questa nuova dimensione istituzionale? E, dopo aver solennemente affermato di sentirsi vincolati in ogni loro atto politico dai contenuti della Carta dei diritti fondamentali, possono Commissione e Parlamento europeo, in nome della peggiore realpolitik, chiudere tutti e due gli occhi sulle violazioni di quei diritti e sul persistere della pena di morte in Turchia, paese candidato a entrare nell'Unione? Ripeto: non si tratta di esportare modelli, ma di dare un segno forte al mondo. «Libertà duratura» è diventato uno slogan. Ma l'Europa non può fondare la sua forza politica nell'azione militare, bensì proprio nella sua capacità di mostrare a tutti che libertà e diritti fondamentali non sono parole: esprimono la logica che ispira i suoi comportamenti interni e che, per essa, fa sorgere «responsabilità e doveri nei confronti degli altri come pure della comunità umana e delle generazioni future», com'è scritto a conclusione del Preambolo della Carta dei diritti fondamentali. Per questo, l'Unione europea non può essere indulgente con se stessa e compiacente con gli altri. Nel vuoto costituzionale, prima o poi, precipitano gli egoismi e le regressioni istituzionali e politiche. Proprio in questi giorni possiamo misurare che cosa significhi il non essere riusciti a far decollare il Tribunale penale internazionale, il cui atto di nascita né Stati Uniti né Cina hanno voluto firmare. Il Presidente Bush, con un atto d'imperio che ha suscitato sgomento prima di tutto nel suo paese, ha dato vita a una giustizia sommaria, che consentirà di processare come terrorista qualsiasi straniero così definito da Bush stesso, senza trasparenza, garanzie o diritto d'appello contro la sentenza, facendo riunire la corte anche fuori del territorio americano. Come può conciliarsi l'appello a un'azione comune contro il terrorismo con la creazione d'una giustizia privata? Quale governo del mondo globale può intravedersi dietro l'adozione di questa linea? Una costituzione contribuirebbe a vaccinare l'Europa anche contro queste tentazioni. L'avvio d'un serio processo costituente, trasparente e aperto al più largo contributo dell'opinione pubblica europea, assumerebbe così un valore esemplare e incarnerebbe un modello di garanzia di cui di nuovo sentiamo fortemente il bisogno.
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