europa costituzione in crisi dopo l'11 settembre



MARTEDÌ, 20 NOVEMBRE 2001 
  da repubblica
  
L'Europa senza Costituzione in crisi dopo l'11 settembre  
  
  
  
La qualità delle decisioni affidate alla Ue rivela l'inadeguatezza delle
sue attuali fondamenta  
Nel Vecchio Continente è più evidente il fallimento di una integrazione
basata solo sul mercato  
  
STEFANO RODOTA’  

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Ha davvero senso avviare in questo momento il tentativo di dare all'Europa
una costituzione? Può l'Unione europea, la cui debolezza politica è stata
impietosamente rivelata dalla nuova «età del terrore», sostenere un'impresa
così impegnativa? Contro questa impresa, in modo esplicito o indiretto, si
coalizzeranno in molti. I politici nostalgici d'una sovranità nazionale che
perde ogni giorno qualche pezzo; i giuristi affezionati all'idea che già
esiste una costituzione europea «diffusa», desumibile dai trattati e da
altri atti comunitari; i teorici del diritto e della politica che
s'interrogano sulla possibilità d'una costituzione prima che vi siano uno
Stato e un popolo; i realisti d'ogni genere, ipnotizzati dalle difficoltà
politiche e prigionieri della logica contingente, e per ciò incapaci di
scorgere quale sia la vera «realtà» con la quale fare i conti.
Proprio il realismo, invece, impone di mettere oggi al centro della
discussione europea la questione costituzionale. Per due buoni motivi. La
dimensione assunta dall'Unione europea, per la quantità e la qualità delle
decisioni a essa affidate, rivela la pericolosa inadeguatezza delle sue
fondamenta: se queste non verranno seriamente rafforzate, non dico che la
costruzione europea crollerà, ma certo retrocederà verso la logica di una
zona di libero scambio, sia pure estesissima (la prospettiva dell'Unione a
27 paesi) e unificata da un fattore importante come la moneta.
Ma vi è un altro motivo per cui, ancor più che ieri, l'Europa non può
evitare la via costituzionale. Essa è, oggi, la più vasta area del mondo
dove da anni si sperimenta il superamento della logica degli Stati nazione,
dove si registra ormai l'inadeguatezza della integrazione soltanto
attraverso il mercato e la necessità di una integrazione attraverso i
diritti. Si può parlare di un luogo dove, sia pure su una scala più
ridotta, si stanno affrontando i problemi tipici del mondo globalizzato: le
insidie del protezionismo e gli egoismi della «fortezza Europa», ma pure
l'urgenza di sottrarre le relazioni sociali ed economiche al solo governo
del sistema delle imprese, restituendo alla politica e alle istituzioni la
loro capacità regolatrice. Con gli strumenti finora disponibili, questo
progetto ha già dato tutto ciò di cui era capace. Volendo andare avanti, la
questione costituzionale non può essere più elusa.
Se, retoricamente, vogliamo parlare di una missione europea di fronte al
mondo, bisogna mettere l'accento proprio sull'esperienza compiuta e sulla
ineludibilità di questa ulteriore prospettiva. Non con la pretesa di
imporre un modello. Ma per mostrare che un mondo unificato dalla forza
degli interessi economici e dal sistema della comunicazione non è
inevitabilmente un mondo senza regole, posseduto dalla legge del più forte,
e dunque moltiplicatore di diseguaglianze e di disprezzo per i diritti. Per
dotare di questo valore aggiunto, interno e globale, l'apertura della
propria fase costituente, l'Unione europea deve prendere realisticamente
atto dei limiti dell'esperienza finora compiuta. Ha cominciato a farlo al
Consiglio europeo di Colonia, nel giugno del 1999, con parole
particolarmente impegnative: «La tutela dei diritti fondamentali
costituisce un principio fondatore dell'Unione europea e il presupposto
indispensabile della sua legittimità». Da qui è nato il processo che ha
portato alla Carta dei diritti fondamentali, proclamata a Nizza nel
dicembre dell'anno scorso.
Ma il deficit di democrazia e di legittimità delle istituzioni europee non
è ancora colmato. Bisogna ricordare, ad esempio, che decisioni europee
assai importanti, come quella con la quale il Commissario Mario Monti ha
vietato la fusione tra Honeywell e General Electric, sono state criticate
negli Stati Uniti sottolineando anche la scarsa trasparenza e
controllabilità delle procedure. Se si vuole uscire da questa situazione, e
si deve farlo, è evidente che la democraticità delle istituzioni europee
esige un fondamento costituzionale.
Vi è, poi, un obbligo di coerenza. Due casi, e due domande. Come riuscirà a
lavorare la Convenzione, che sarà incaricata di scrivere il testo della
costituzione, in una Europa fortemente segnata dalla nuova leadership di
Tony Blair, il cui rappresentante personale in un'altra Convenzione, quella
dove si è scritta la Carta dei diritti, è stato il più fiero oppositore di
questa nuova dimensione istituzionale? E, dopo aver solennemente affermato
di sentirsi vincolati in ogni loro atto politico dai contenuti della Carta
dei diritti fondamentali, possono Commissione e Parlamento europeo, in nome
della peggiore realpolitik, chiudere tutti e due gli occhi sulle violazioni
di quei diritti e sul persistere della pena di morte in Turchia, paese
candidato a entrare nell'Unione?
Ripeto: non si tratta di esportare modelli, ma di dare un segno forte al
mondo. «Libertà duratura» è diventato uno slogan. Ma l'Europa non può
fondare la sua forza politica nell'azione militare, bensì proprio nella sua
capacità di mostrare a tutti che libertà e diritti fondamentali non sono
parole: esprimono la logica che ispira i suoi comportamenti interni e che,
per essa, fa sorgere «responsabilità e doveri nei confronti degli altri
come pure della comunità umana e delle generazioni future», com'è scritto a
conclusione del Preambolo della Carta dei diritti fondamentali. Per questo,
l'Unione europea non può essere indulgente con se stessa e compiacente con
gli altri.
Nel vuoto costituzionale, prima o poi, precipitano gli egoismi e le
regressioni istituzionali e politiche. Proprio in questi giorni possiamo
misurare che cosa significhi il non essere riusciti a far decollare il
Tribunale penale internazionale, il cui atto di nascita né Stati Uniti né
Cina hanno voluto firmare. Il Presidente Bush, con un atto d'imperio che ha
suscitato sgomento prima di tutto nel suo paese, ha dato vita a una
giustizia sommaria, che consentirà di processare come terrorista qualsiasi
straniero così definito da Bush stesso, senza trasparenza, garanzie o
diritto d'appello contro la sentenza, facendo riunire la corte anche fuori
del territorio americano. Come può conciliarsi l'appello a un'azione comune
contro il terrorismo con la creazione d'una giustizia privata? Quale
governo del mondo globale può intravedersi dietro l'adozione di questa
linea? Una costituzione contribuirebbe a vaccinare l'Europa anche contro
queste tentazioni. L'avvio d'un serio processo costituente, trasparente e
aperto al più largo contributo dell'opinione pubblica europea, assumerebbe
così un valore esemplare e incarnerebbe un modello di garanzia di cui di
nuovo sentiamo fortemente il bisogno.