valore economico:la capacita' di attrarre del territorio



dal corriere della sera di lunedi 19 novembre 2001
Milano e le infrastrutture

LA CAPACITA’ DI ATTRARRE

di ADRIANO DE MAIO


I «territori» - le città, le regioni, gli Stati - sono sempre più in
competizione fra loro. La loro capacità di attrarre e di trattenere persone
e attività è una misura quindi del loro «successo». Ciascuna comunità
dovrebbe individuare chi e cosa vuole attrarre o trattenere. Questo è alla
base del progetto di una città, di una regione, di uno Stato. Il risultato
è: fuga o attrazione di cervelli, di aziende, di attività. Ma vediamo
alcuni fattori di base che condizionano il fatto che ci si trovi bene in un
luogo. Il traffico, l'inquinamento, la pulizia delle strade sono tutti
aspetti che in misura più o meno rilevante determinano la gradevolezza di
una città e quindi anche di Milano. Ci sarà chi vede soprattutto in uno o
più di questi fattori il livello di qualità della vita, altri li
considereranno fastidiosi ma, tutto sommato, sopportabili effetti
collaterali in una città piena di attività e di persone. Nessuno però
ritiene che non si possa fare niente. Non sono eventi naturali e
inevitabili rispetto ai quali ci si può solo proteggere. Si deve fare
qualcosa. Qui si aprono le discussioni: tecniche, economiche, talvolta
perfino ideologiche. E, alla fine, tutti proclamano che bisogna
intervenire, ma si fa poco. I motivi sono molteplici ma, se non si
affrontano, fra alcuni anni si continuerà a parlare del traffico, della
pulizia, dell'inquinamento dell'acqua, dell'aria e del suolo, con grande
felicità dei commentatori che avranno sempre argomenti su cui esercitarsi. 
La premessa? Tutti gli interventi proposti, discussi, progettati, perfino
in taluni casi avviati, riguardano sempre infrastrutture di una certa
consistenza: dal Passante ai depuratori, dai parcheggi ai sistemi di
produzione di energia non inquinanti e così via. Proprio nella costruzione
di infrastrutture vediamo uno dei limiti più consistenti: perché non si
fanno? Le infrastrutture di un certo rilievo hanno due caratteristiche: da
un lato richiedono risorse notevoli e un tempo consistente per la messa in
opera, dall'altro provocano benefici nel futuro anche lontano. I vantaggi
riguardano una popolazione estesa nel tempo mentre i fastidi e gli aspetti
sgradevoli toccano una popolazione limitata ma molto «vicina». 
I costi sono ora e qui, i benefici sono dopo e da un'altra parte. Le
infrastrutture si possono fare quindi soltanto se, nella decisione, prevale
la lungimiranza e una visione della comunità nel suo complesso, mentre non
si fanno se prevale una logica dell'immediato e degli interessi locali. Le
popolazioni future non votano. Chi c'è oggi vota e, se ha disagi, si attiva
immediatamente, cavalca slogan di facile presa. Prevale la cultura
dell'emergenza e non del programma. E, di fatto, le infrastrutture, quando
si fanno, nascono in occasione di emergenze, anche tragiche. Ma i politici
non dovrebbero guardare anche l'interesse delle generazioni future? 
Una comunità è tale se pensa alla propria sopravvivenza nel futuro, solo se
sacrifica l'oggi al domani. Milano è stata una grande comunità proprio per
questo. Oggi vedo un ritrarsi nel privato, nel particolare. Bisogna invece
cavare fuori il meglio della nostra storia e riproporsi come «civitas».
Questa è la premessa. Senza questo le infrastrutture non si faranno.
Continueremo a inveire contro il traffico, la sporcizia, l'inquinamento. E
non basta: poi ci sono le norme, la burocrazia. Ma questo è un altro
capitolo.