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gli sciamani delle biotecnologie



da boiler.it di lunedi 4 giugno 2001

dal corriere della sera  Lunedì 4 Giugno 2001 
 
  
Gli sciamani delle biotecnologie

Le nuove utopie si formano nei laboratori di ricerca. Gli scienziati si
credono redentori


Le nuove promesse utopiche provenivano dagli istituti di ricerca e dai
laboratori di scienze naturali, e poco tempo dopo un fantastico ottimismo
ha dominato la scena. Quasi improvvisamente sono tornati tutti i motivi del
pensiero utopico: la vittoria su tutte le manchevolezze e su tutte le
difficoltà della specie, sull’ignoranza, sul dolore e sulla morte.
Improvvisamente molti dicevano che era solo una questione di tempo, sino al
momento in cui il miglioramento genetico dell’uomo avrebbe raggiunto lo
scopo, la vecchia forma del concepimento, della nascita e della morte
sarebbe stata abolita, sino al momento in cui i robot avrebbero posto fine
alla maledizione biblica del lavoro, fino a quando l’evoluzione
dell’intelligenza artificiale avrebbe posto fine alle spiacevoli
manchevolezze. Antichissime fantasie di onnipotenza hanno così trovato un
nuovo rifugio nel sistema delle scienze. 
Non si tratta assolutamente della totalità della produzione del sapere. 
Sempre più nitidamente si è profilata la posizione egemonica di poche
discipline, che dispongono delle risorse determinanti come denaro e
attenzione, mentre altre - come la teologia, le scienze letterarie,
l’archeologia e sfortunatamente anche la filosofia - svolgono ormai solo un
ruolo marginale, per non dire decorativo. Vengono tollerate, sì, stimate,
proprio per quel carattere inoffensivo attribuito loro dallo stato e
dall’economia. Certamente non bisogna aspettarsi da loro promesse utopiche
in questa situazione. 
Anche determinate discipline delle scienze naturali come la geofisica o la
meteorologia conducono un’esistenza piuttosto modesta nell’ombra delle
cosiddette scienze guida. Nel Ventesimo secolo questo ruolo è stato
attribuito alla fisica teorica. Ormai la biologia ha preso il suo posto,
assieme alle scienze informatiche e quelle cognitive, la biologia ha preso
il suo posto. 
Quest’ultima «non ha solo posto fine alla separazione tra ricerca di base e
quella ricerca applicata, ma è allo stesso tempo la scienza capitalistica e
rivoluzionaria per eccellenza. La biotecnologia è la tecnologia che sta
alla base del prossimo grande ciclo economico» (Claus Koch). 
Risulta evidente che in presenza di un così profondo cambiamento del
sistema cognitivo non si può rinunciare alle pretese ideologiche. Se in
passato era compito degli sciamani e dei guaritori miracolosi estirpare
tutti i mali, oggi se ne occupano biologi molecolari e genetisti; e non
sono più i preti a parlare di immortalità, bensì i ricercatori. 
Le nuove utopie vengono presentate al pubblico con campagne senza eguali e
non è un caso che siano spesso scienziati americani a dominare. 
L’ottimismo endemico, la consapevolezza missionaria e la posizione egemone
della superpotenza degli Stati Uniti forniscono a questo scopo il
background ideologico. La buona vecchia fede nel progresso, di cui fino a
poco tempo fa nessuno voleva sentir parlare, vive così una resurrezione
trionfale. 
Non tutti gli scienziati possono e vogliono abituarsi al loro nuovo ruolo
di redentori. Questo ruolo è in contraddizione con tutte le tradizioni
dello «scetticismo organizzato» (Robert Merton), della teoria dimostrativa
e della semplice cautela. Tuttavia la posizione oggettiva delle istituzioni
scientifiche è radicalmente cambiata. Il divario tra la ricerca e la sua
valutazione economica si è talmente ridotto, che non è più rimasto molto di
quell’indipendenza, di cui si vanta la scienza. 
Gli enormi investimenti nella ricerca devono fruttare al più presto del
reddito; in questo modo studiosi per autodecisione diventano soci e
imprenditori del modello scientifico-industriale in forte crescita, che
occupa consulenti in materia di brevetti, banche d’emissione, guru
finanziari e agenzie di pubbliche relazioni. I flussi di denaro,
indipendentemente che si tratti di capitale azionario o sovvenzioni,
acuiscono la concorrenza e la pressione dei media. Chi non vuole avere la
peggio deve promettere più di quanto non possa mantenere. 
Una fase maniacale si distingue notoriamente per la perdita sistematica del
senso per la realtà. Per questo non c’è da meravigliarsi che esperienze
storiche vengano scacciate con l’utopia e che non si prenda atto degli
insuccessi. Il «materialismo dialettico» non era considerato nell’Unione
Sovietica una base scientifica incontestabile, per non parlare poi delle
fantasie eugenetiche del premio Nobel Hermann J. Muller? Chi si ricorda
ancora delle promesse di buon auspicio dell’industria atomica negli anni
’50 e ’60.? L’energia nucleare era ritenuta la chiave per il paese del
Bengodi dell’energia; non era previsto alcun problema legato all’energia
stessa. E come la mettiamo con l’intelligenza artificiale, i cui profeti
promisero già 30 anni fa macchine per il passaggio da un millennio
all’altro che avrebbero dovuto di gran lunga superare tutte le capacità del
nostro cervello? Nessuno confronta queste predizioni con lo scarso
risultato, nonostante investimenti miliardari, di quelle tartarughe
elettroniche che fanno fatica a superare una scala. 
Dopo tutto questo l’ingenuità del pubblico e l’ostinazione dei desideri
sembrano insormontabili. E’ sempre più difficile riuscire a distinguere tra
Big-Science e Science-Fiction. Non è certamente un caso, che una parte
della generazione dei ricercatori di oggi, soprattutto negli Stati Uniti,
definisca il proprio orizzonte culturale mediante serie televisive come
Star Trek. Si farebbe un torto al genere, se gli si volesse attribuire
quell’infame ottimismo del gruppo di Frankenstein; infatti nella storia
della fantascienza da molto tempo prevale la parte delle utopie negative,
che descrivono tutte le pensabili paure del futuro. Non deve sorprendere il
fatto che gli evangelisti dell’intelligenza artificiale, dell’ingegneria
genetica e della nano-ingegneria prediligano una sola chiave di lettura di
queste visioni. 
Ora, in una fase maniacale - che per l’appunto si distingue proprio per la
sua sconsideratezza - le proteste e obiezioni non possono sviluppare un
effetto duraturo come sarebbe naturale che fosse. Anche la politica risulta
essere perplessa e impotente nei confronti del modello
scientifico-industriale. La sua strategia è semplice - mira con abilità al
fait accompli (fatto compiuto), al quale la società deve rassegnarsi,
indipendentemente da come gli stessi si presentano. Con la stessa abilità
viene liquidata ogni obiezione, vista come attacco alla libertà della
ricerca, come ostilità inspiegabile verso la scienza e la tecnica e come
superstiziosa paura del futuro. Queste sono le affermazioni difensive e le
bugie di circostanza che siamo abituati a sentire da parte dei politici di
partito e dai lobbisti. In una discussione razionale sono fuori luogo,
screditano colui che le porta in campo. 
Infatti non sono assolutamente solo gli ignoranti o coloro che disprezzano
la scienza a diffidare delle sensazionali promesse dell’utopia. Per chi se
ne vuole convincere è sufficiente parlare una sera a quattr’occhi con
ricercatori competenti provenienti da altre discipline, e si accorgerà che
l’ostentata arroganza dei propri colleghi dà profondamente fastidio al
cristallografo, all’astrofisico, allo studioso di topologia. Anche nelle
scienze biologiche esiste una silenziosa maggioranza, che vede in pericolo
la propria immagine e i propri standard. Tuttavia presenta le proprie
obiezioni in modo così discreto da non trovare quasi ascolto nei media. 
In questo rapido sviluppo non manca mai l’accenno alle intenzioni
umanitarie, di cui si è vantato ogni progetto utopico, da Campanella fino a
Stalin. La coltura di parti di ricambio umane è un imperativo terapeutico,
il disco fisso dei computer garantisce l’immortalità della coscienza, il
desiderio di avere dei figli rappresenta un diritto assoluto dell’uomo,
eccetera. L’interesse, peraltro comprensibilissimo, da parte dei genitori
di avere dei figli perfetti ha lo scopo di favorire l’evoluzione della
specie, e persino la soppressione dell’uomo, di cui sognano gli esponenti
dell’intelligenza artificiale, serve a uno scopo evolutivo più elevato -
una versione del darwinismo, che lo stesso Darwin non avrebbe certamente
trovato divertente. Alla fantasia non vengono in ogni caso posti dei
limiti. Il segreto verrà svelato al più tardi quando a tali motivazioni si
aggiungerà la preoccupazione per i sacrosanti posti di lavoro e per la
competitività del «presidio» - un termine che non a caso deriva
dall’ambiente militare. 
Tutto sommato si tratta di una serie di tentativi di golpe a freddo, con
l’obiettivo di evidenziare tutti i processi decisionali democratici. 
La scienza fusa con l’industria si presenta come causa di forza maggiore,
che dispone del futuro della società. E’ in procinto di creare una terza
natura, un processo che essenzialmente si svolge come un processo naturale,
con la differenza che l’energia necessaria non proviene dall’ambiente, ma
dal capitale senza freni. I protagonisti più impertinenti spiegano a tutti
coloro che vogliono starli a sentire, di non essere assolutamente disposti
ad accettare le restrizioni previste dalla legge. Proclamano apertamente di
essere intenzionati a proseguire con le loro attività, se necessario,
seguendo l’esempio di coloro che riciclano il denaro sporco e dei
trafficanti di armi, in quelle zone in cui non si conosce il termine
scrupoli e non si devono temere sanzioni. 
Già per tutti questi motivi le solite discussioni sulla biopolitica e sulla
tecnopolitica sembrano stranamente naïf e indifese, nonostante le qualità
scolastiche. Nel caso di tutte queste congregazioni, commissioni e consigli
di esperti che si diffondono ovunque, si nota che alla forza della realtà -
che giorno per giorno stabilisce le proprie regole - non hanno nient’altro
da opporre al di fuori dei loro rispettivi pareri. Mentre gli uni si
presentano come semplici lobbisti del proprio gruppo d’interessi gli altri
cercano, con varie motivazioni, di salvare il salvabile. Anche il
legislatore, indeciso tra riserve profondamente radicate e imperativi della
concorrenza globale, è solo in grado di prendere decisioni ad hoc , che già
al momento della proclamazione vengono travolte dalle nuove possibilità
d’intervento da parte della scienza. 
Dato di fatto è che non vi è assolutamente più alcun consenso etico nelle
questioni fondamentali dell’esistenza umana. I dibattiti sulla cosiddetta
eutanasia attiva e sulle possibilità di una selezione genetica dovrebbero
aver convinto anche quelli più in buona fede di questo risultato. In questo
modo il singolo si vede respinto su una posizione, alla quale è venuto a
mancare ogni conforto morale. 
Non può più delegare ad alcuna autorità vincolante una serie di decisioni
esistenziali. Non può più fare affidamento né sulla politica né sulle
religioni esistenti, quando si tratta dei suoi primari interessi vitali.
Queste sono pretese eccessive per le quali la maggior parte delle persone
non sarebbe all’altezza. 
Ma finché ogni individuo ha la libertà di non ricorrere alle scoperte,
promesse dal modello scientifico-industriale, vale a dire in una fase di
transizione, ha ancora la possibilità di dire: non sono d’accordo. In ogni
caso fino a questo momento è ancora permesso fare a meno delle madri in
affitto, degli xenotrapianti, dei cloni e delle selezioni prenatali. Ma
tutti coloro che scelgono questa strada della legittima difesa, devono però
rendersi conto del prezzo del proprio rifiuto, e anche questo probabilmente
è più facile a dirsi che a farsi. 
Chi però pensa che tali scelte individuali finiscano in una reciproca
tolleranza, chi crede che sia possibile far valere senza conflitti e senza
violenza le idee utopistiche di molti scienziati e dei loro alleati
economici, soccombe a una illusione. Ogni esperienza storica dimostra il
contrario. 
Non solo le inevitabili delusioni, che seguono l’euforia di ogni fase
maniacale come un’ombra porranno un limite al fatalismo progressista. 
Anche lì dove la ricerca industriale genera veramente dei successi, bisogna
aspettarsi pesanti conflitti. 
Al più tardi quando si manifesteranno i primi danni collaterali del
processo scientifico e verranno alla luce i primi imprevedibili rischi su
vasta scala, una minoranza ridotta al silenzio opporrà resistenza. 
E’ strano che i protagonisti del processo non siano in alcun modo preparati
a tutto ciò. Tutto sommato non ci vuole molta fantasia per prevedere che i
primi contraccolpi porteranno a una mobilitazione attiva. Se persino gli
animalisti sono capaci di reazioni terroristiche, che forme assumerà la
resistenza quando non si tratterà più di rischi astratti o lotte tra
rappresentanti, ma della propria pelle, del concepimento, della nascita e
della morte? E’ senz’altro pensabile che certe ricerche saranno possibili
solo in zone di massima sicurezza e che un considerevole numero di
scienziati, trincerati in fortezze difese con le armi, dovrà temere per la
propria vita. 
Ovviamente con questo non è detto che una minoranza decisa a tutto sarebbe
in grado di arrestare il processo o addirittura di annullarlo. 
In fin dei conti l’utopia del completo controllo sulla natura e sull’uomo
non fallirà a causa dei suoi oppositori, come è successo con tutte le
utopie fino a ora, ma a causa delle proprie contraddizioni e della sua
megalomania. L’umanità non si è mai congedata liberamente dalle proprie
fantasie di onnipotenza. Solo quando la hybris (prevaricazione dell'uomo
nei confronti degli altri uomini, della natura, degli dei, ndr ) avrà
iniziato il proprio cammino, il comprendere i propri limiti prenderà - per
necessità - il sopravvento, probabilmente a un prezzo catastrofico. 
In quel momento anche una scienza che rispettiamo e con la quale possiamo
convivere avrà nuovamente una possibilità. 
 
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