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Fabrizio Giovenale al Forum Ambientalista - Roma marzo 2000
Dato che per motivi di ordine alfabetico il mio nome sta al primo posto fra
i promotori di questo incontro - e anche un po' per dovere di anzianità, se
volete - vorrei prima di tutto ringraziarvi per la vostra presenza qui.
L'esca per attirarvi, lo sapete, è stata una bozza di documento messa giù
senza grandi pretese: una presa di posizione magari rudimentale ma chiara,
voglio sperare. A chi vi ha contribuito con osservazioni e suggerimenti, a
chi ha voluto dirsi d'accordo con la sua impostazione firmandola, a chi ha
inviato la sua adesione, a tutti i presenti, ancora grazie.
Quello scritto altro non voleva essere, sia chiaro, che un invito al
dibattito. Consentitemi di riepilogarne schematicamente il senso così: che
mentre ci sono al mondo i tentennamenti che sapete pro e contro il Gran
Marchingegno dell'Economia Globale - tra chi lo vede come ricaduta a
pioggia su tutti di ricchezza e benessere, e chi lo vede invece soprattutto
come divaricazione crescente tra ricchi sempre più ricchi e poveri sempre
più poveri - per chi ragiona da ambientalista questa incertezza non c'è.
Non ci può essere - quali che siano i nostri sforzi per nasconderci le
realtà scomode - per il motivo lapalissiano dei limiti della nostra Terra e
delle sue risorse. E per l'altrettanto lapalissiana impossibilità di metter
d'accordo le crescite umane (di numero e di consumi) con la realtà di un
Pianeta che invece non cresce: che anzi si impoverisce sempre più di
vivibilità e di risorse man mano che lo andiamo logorando al di là delle
sue capacità di autorisanamento.
Fare assegnamento su una crescita illimitata in presenza di uno
spazio--serbatoio limitato è un assurdo evidente.
E dunque la motivazione ambientalista è decisiva nello spostare l'ago della
bilancia a sfavore del Sistema Globale tutto-basato, appunto, sulla
crescita. Il che significa anche, secondo me, che un ambientalista che si
rispetti non può non stare dalla parte di chi del Sistema stesso subisce le
ingiustizie.
Non può che stare a sinistra.
E' anche chiaro che questo argomento coinvolge quello della "sostenibilità
dello sviluppo". Nel senso che è certo possibile ridurre i guasti
ambientali con l' affinare le tecnologie, sostituendo processi di
produzione-e-consumo sporchi con altri meno sporchi o addirittura
quasi-puliti (puliti del tutto no, non si può). Ma fintantoché saranno i
meccanismi di mercato insofferenti di qualunque limite a determinare le
scelte, finché saranno la molla della ricchezza e il potere dei soldi a
dettar legge, dalla contraddizione non si verrà fuori.
A questo punto però bisogna anche ammettere che questa faccenda dei limiti
sarà pure convincente (perché purtroppo è vera, è così che stanno le cose)
ma non è per niente allegra. Fa venir voglia di pensare ad altro. O magari
di domandarci se proprio non ci sia per noi una qualche altra sfera della
realtà senza confini: una strada su cui poter andare avanti a briglia
sciolta, come i pionieri del Vecchio Far West.
E qui secondo me la risposta è SI.
Certo che esiste una realtà senza limiti. E' quella dei nostri cervelli,
dell' evoluzione mentale umana. Lì per il nostro meccanismo pensante
(apprendimento, riflessione, intuizione, creatività) strada aperta davanti
a noi ce n'è a non finire. Ce lo dice la storia: basta pensare ai passi da
gigante delle scienze e delle tecniche nel secolo da cui siamo appena
usciti...
E' anche vero che proprio questo nostro sviluppo delle capacità mentali ci
ha portato a manomettere come sappiamo la faccia della Terra per adattarla
alle nostre necessità. E che la nostra evoluzione non sembra giunta ancora
al punto di farci render conto completamente dei guasti che abbiamo fatti e
che stiamo facendo. Soltanto tra gli Anni 60 e i 70 - e ancora poco, e in
pochi - abbiamo cominciato a capirne qualcosa di più.
Vedete che il senso della svolta ambientalista che andiamo cercando sta
proprio qui: nel far fare alle menti umane l'altro passo avanti che ci
porti a prendere davvero coscienza del degrado, della sua gravità, della
irreversibilità dei processi innescati. E della necessità di metterci
riparo, e di ristabilire con la natura buoni rapporti. E del come...
<<Per inciso: c'è da guardarci, secondo me, da una tesi (sostenuta da
Umberto Galimberti in "Psiche e Tekne) secondo la quale noi bipedi indifesi
possiamo sopravvivere su questa Terra soltanto per mezzo della tecnica,
fabbricandoci un mondo artificiale: ragion per cui opporsi agli avanzamenti
tecnologici non avrebbe senso... E invece no. E' vero che ad impossibili
ritorni alla natura "naturale" non serve pensare, è vero che la nostra
artificializzazione del mondo è andata ormai troppo avanti. Ma possiamo
procedere ancora su questa strada (sta anche qui la consapevolezza
ambientalista) aiutando la biosfera a tornare a vivere secondo i propri
ritmi, evolversi, riprodursi... Assumendoci il ruolo - dice Edgar Morin -
di pastori del Sistema Vivente.>>
Vedete che da questo ragionamento viene fuori un motivo in più per il
nostro essere ambientalisti. Infatti se la sola strada senza confini che ci
si apre davanti è quella dell'evoluzione per via mentale, il motivo
d'interesse maggiore per le nostre vite diventa la CURIOSITA'. Curiosità di
vedere che cosa ancora potrà nascere dalle scatole a sorpresa dei nostri
cervelli.
Voglia di DURARE PER POTER SEGUITARE A PENSARE.
E per durare ci serve, naturalmente, UNA TERRA SU CUI POSARE I PIEDI.
E QUESTA TERRA CI SERVE VIVA, perché (anche questo è la cultura
dell'ambiente a dircelo) della sua vita noi siamo parte. Ma poi...
Proviamo a farne un altro, di passo su questa strada. Ci viene da due
risultati importanti della nostra evoluzione mentale, maturati grosso-modo
fra i tempi di Socrate e quelli di Gesù Cristo: l'idea del RISPETTO PER LA
VITA UMANA (sapete che per gli altri animali non è così, l'evoluzione tende
a far sopravvivere le specie e non sembra curarsi dei singoli esemplari), e
quella del riconoscimento della DIVERSITA' di ciascuno di noi da ogni
altro: la presa di coscienza delle nostre identità e delle loro libere
manifestazioni.
Come dire: DIRITTO ALLA VITA e DIRITTO ALLA LIBERTA'.
Sappiamo anche purtroppo quanto questi due diritti siano ancora disattesi
nel mondo. E tuttavia restano gran passi sulla strada della civiltà...
...Con conseguenze importanti. Dal diritto alla vita discendono infatti: il
rifiuto della violenza, che per noi ambientalisti ha un significato
speciale (sarebbe assurdo battersi contro le violenze alla natura e
accettare quelle contro i nostri simili) e lega le nostre posizioni a
quelle pacifiste; la questione demografica con l'esigenza
dell'autolimitazione responsabile delle nascite (in un mondo che "ci va
stretto" se ci vogliamo stare tutti non possiamo essere troppi); la
necessità dell'equa ripartizione delle risorse necessarie alla vita...
Eccoci tornati così alla sfera politica e all'accoppiata sinistra-ambiente.
E viene a galla la contraddizione tra i due diritti: alla vita e alla
libertà.
Perché il diritto alla vita presuppone l'equa ripartizione delle risorse
fra tutti. Tende all'EGUAGLIANZA. Mentre il diritto alla libertà tende di
fatto alla DISEGUAGLIANZA. E la politica in quest'ottica diventa la ricerca
continua di equilibri all'interno della contraddizione fra diritto alla
vita e diritto alla libertà.
Ma se le cose stanno così appare chiaro che l'Economia Globale rappresenta
una fase di massimo squilibrio nella direzione opposta a quella
dell'eguaglianza fra esseri umani, e a favore invece di un'idea riduttiva e
distorta di libertà:
intesa soltanto come libertà di far soldi, gli uni alle spalle degli altri.
E' questo il senso della nostra denuncia di partenza. Ed è alla ricerca
delle controspinte possibili che vi proponiamo di dedicarci insieme.
C'è di buono che oggi lo possiamo fare con un grosso vantaggio rispetto al
passato perché abbiamo la fortuna di navigare ancora sull'onda di Seattle:
della rivolta vincente contro il WTO col suo "Millennium Round". Li
l'unione dei deboli ha mostrato la sua forza. E ci ha indicato la strada.
Per ciò, come ambientalisti, non sembra possibile guardare ancora al secolo
che inizia soltanto nell'ottica dell'eco-compatibilità (della
razionalizzazione del Sistema così com'è) e non con l'intento di
combatterlo. Di capovolgere la scala dei valori.
Ho proprio idea che non possa trattarsi più soltanto di provare a far
convivere con i valori economici dominanti (col mercato) i valori di
giustizia sociale, solidarietà, pace, dimensione umana. Ma che si tratti
ormai di scegliere tra gli uni e gli altri.
E cioè di far nostra nella sostanza la parola d'ordine di Seattle:
Q U E S T A T E R R A N O N E ' I N V E N D I T A
...che mi piacerebbe come parola d'ordine di questo nostro FORUM.
Detto questo, tuttavia, viene il momento di rimettere i piedi per terra e
riconoscere che - così come non servono le battaglie contro i mulini a
vento - tanto meno avrebbe senso pensare di poter affrontare alla pari,
noialtri qui e gli altri come noi, il colossale agglomerato di forze
economiche, tecnologiche, politiche e militari che conosciamo come Economia
Globale.
Sarebbe la guerra delle formiche contro il pachiderma (anche se proprio
Seattle che ha dimostrato che le formiche non sono poi tanto deboli, e che
il pachiderma non è poi tanto invulnerabile).
Dovremo necessariamente adottare linee d'azione diverse per i tempi lunghi
e per i tempi brevi. Tenere fermo l'obiettivo di fondo, e studiarci intanto
di sottrarre spazio all'avversario. Cògliere ogni occasione per scalzargli
il terreno da sotto i piedi.
Che non è la stessa cosa (attenzione!) dell'accettare "veltronianamente" il
Sistema e illudersi di poterlo ammorbidire dal di dentro.
Ed è proprio in quest'ottica dei due tempi che potrà essere particolarmente
utile, secondo me, portare avanti i temi del Seminario sulla "dimensione
locale" che dovrebbe rappresentare uno degli sbocchi del nostro lavoro
d'oggi. E' lì che c'è da scavare in profondità per scegliere le nostre
linee d'azione per i tempi brevi.
E a questo punto non mi resta che augurare a tutti noi buon lavoro.