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genetica e diritto
dal manifesto di giovedi 22 febbraio 2001
22 Febbraio 2001
Sotto il flusso dei geni
Genetica e diritto Come migliorare formazione e informazione sul genoma,
come regolare il flusso dei dati genetici. Un seminario della Fondazione
Basso IDA DOMINIJANNI
Nel 1998 si verificò negli Stati uniti un improvviso crollo del ricorso
femminile ai test di diagnosi precoce sul cancro al seno. Non era diminuito
il rischio di ammalarsi; era cresciuto quello di essere licenziate per
l'eventualità della malattia, o di vedersi aumentare le tariffe delle
assicurazioni da compagnie vampiresche. Fra la sicurezza della prevenzione
e la sicurezza del posto di lavoro, molte donne scelsero la seconda. Parte
da questo episodio il garante per la privacy Stefano Rodotà, in un incontro
organizzato dalla Fondazione Basso, per parlare dei problemi connessi al
trattamento e alla riservatezza dei dati genetici. Se già i comuni dati
sanitari inducono dilemmi di questo genere nella vita quotidiana, che cosa
avverrà con la diffusione dei dati genetici? Quali informazioni bisognerà
far circolare, quali impedire? Quali saranno i soggetti da tutelare, quali
gli interessi da controllare?
Rodotà ragiona da giurista, ma avendo ben presente, e attorno al tavolo ci
sono apposta per discuterne con lui i genetisti Bruno Dalla Piccola e
Edoardo Boncinelli, che quello che si muove nella ricerca scientifica
influenza ormai direttamente sia il senso comune sia la produzione delle
norme. Esempio: i progressi nella ricerca sul genoma, e gli annunci non
sempre precisi e misurati con cui vengono diffusi dai media, incentivano
una sorta di "mistica del Dna", con aspettative molto elevate sulla
medicina predittiva, fame molto acuta di informazioni, pretese molto alte
di controllo: datori di lavoro e assicuratori di cui sopra potrebbero
specularci non poco. Ed è niente a confronto degli interessi miliardari che
si attivano nell'industria farmaceutica su ogni tranche di ricerca. Con
quali criteri va regolato questo nuovo enorme flusso di informazioni e
questo nuovo campo di conflitti?
Innanzitutto, argomenta Rodotà, stabilendo che i dati sul patrimonio
genetico possono essere adoperati solo nell'interesse della persona cui i
dati appartengono, o per finalità mediche; ma non per finalità economiche o
amministrative o di controllo sociale. La convenzione europea di
biomedicina, del resto, orienta già in questo senso il diritto. Che
tuttavia si trova ogni giorno di fronte a nuovi dilemmi. Ancora un esempio:
chi decidere di tutelare, fra una figlia che chiede i dati genetici del
padre e il padre che glieli nega, dal momento che esiste il diritto di
sapere ma anche quello di non sapere? Dilemmi non facili da sciogliere,
tanto più che dei dati genetici è controversa anche l'appertenenza:
possiamo definirli come patrimonio di un gruppo di individui legati da un
vincolo di parentela, ma a patto di tener presente che questa parentela
genetica è diversa da ciò che normalmente chiamiamo famiglia: ne entrano a
far parte i donatori di gameti, ma ne escono i figli adottivi.
L'esperienza dei ricercatori e dei medici, d'altro canto, aggiunge a monte
e a valle di queste altre premure. Sia Dalla Piccola sia Boncinelli sono
preoccupati di come l'informazione sul patrimonio genetico viene gestita
sia dalle grandi agenzie massmediatiche, sia dai singoli medici nel
rapporto con i pazienti. Giornali e televisioni sanno - sappiamo - poco e
pompano molto, mentre la cautela sarebbe d'obbligo su uno stato della
ricerca che necessariamente procederà per salti, sorprese e lacune. Quanto
ai medici, anche loro ne sanno troppo poco - nelle università la genetica
si studia pochissimo, denuncia Boncinelli -, e sono soprattutto pochissimo
preparati a porgere nel modo giusto i risultati dei test genetici al
paziente. Sì che in molti casi col ricorso ai test cresce di botto la paura
di ammalarsi, di fronte a predisposizioni genetiche di cui non è del tutto
prevedibile il comportamento. Neanche i laboratori, infine, sono attrezzati
a rispondere alla domanda di test che necessariamente esploderà, indotta
anche dall'imperativo commerciale a introdurli su una scala più vasta di
quanto, sostiene Dalla Piccola, sarebbe necessario.
Si sommano dunque la preoccupazione per un eccesso, e un cattivo uso, delle
informazioni genetiche e quella per un deficit della formazione e
dell'informazione sulla genetica. Eppure Boncinelli non nasconde una buona
dose di ottimismo. Fra la mistica del genoma e il disfattismo
antiscientifico suggerisce una pacata via di mezzo ("sapremo presto
qualcosa di più dei geni che già conosciamo, poi di quelli che non
conosciamo ma che riusciamo a immaginare, poi di tutti gli altri"); fra
l'inevitabile inflazione di dati genetici che ci sommergerà e l'inevitabile
impotenza a usarli tutti proficuamente, prevede che una volta a regime, il
problema si normalizzerà. Mette in guardia infine da una ricezione
feticistica del progetto genoma: non si tratta di scoprire come funziona
questo o quel gene ma di decodificare una complessa interazione fra i geni
e fra i geni e l'ambiente, e soprattutto non c'è all'orizzonte la
definizione di una "normalità" e di una norma o di una perfezione genetica.
"La scienza ne vedrà delle belle", dice. Il diritto pure, idem
l'informazione. Intanto, a proposito di informazione, c'è una buona
notizia: da maggio sarà attiva on-line la banca dati sulla ricerca bioetica
in Italia che la Fondazione Basso, sotto la guida di Gabriella Bonacchi e
Maria Teresa Annecca, sta approntando. Strumento prezioso per studenti,
ricercatori e, va da sé, giornalisti.