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agricoltura:nel campo del grande disastro
dal corriere economia di lunedi 12 febbraio 2001
AGRICOLTURA La mucca pazza non è piovuta dal cielo. E’ il risultato della
mancanza
assoluta di strategie dei governi
Nel campo del grande disastro Le coltivazioni della Valle Padana sono
le più intensive d’Europa. E il territorio ha la massima
concentrazione di nitrati. Pratiche esasperate che
hanno condotto a un’emergenza ecologica e alimentare.
Il tutto finanziato con denaro pubblico
di Geminello Alvi
L’ epidemia ha disilluso i consumatori, prostra furiosamente allevatori e
macellai costringe i governi ad un’emergenza di cui
ogni giorno si disserta. Senza che si sia però ancora capito l’essenziale:
un modello europeo d’agricoltura è finito. Mai prima i consumatori avevano
disertato in questa misura i prodotti dell’Unione. Mai gli esborsi con cui
sussidiare gli agricoltori avevano superato così i bilanci europei. E mai
la furia di contadini e macellai era parsa così disperata, isolata e
grottesca nel desiderio di tacitare i fatti e chiedere sussidi. I conti
ecologici, economici, umani di questa agricoltura non
tornano, s’intrecciano in un disastro, di cui però ancora non s’avverte la
gravità. L’agricoltura è la negletta dell’economia. Copre in Europa
soltanto il 2% del Pil e nemmeno il 5% dell’occupazione. Gli esoterismi del
sistema di sussidi della Ue interessano meno di new economy e Borsa. Eppure
tutti dovranno cominciare a adarvi. Il sostegno alla produzione bovina
copre il 30% del prodotto, il che significa che più della metà dei redditi
degli allevatori è pagato dai cittadini. Legittimo dunque chiedersi, dopo
le carni a diossina e prioni: perché sussidiare questa agricoltura? E
perché concederle altri sussidi? Ci sono solo 1,2 miliardi
di euro rimasti nel bilancio agricolo. Ma assumendo consumi di carne in
crollo del 12%, gli obblighi comunitari implicano acquisti di un milione e
più di tonnellate, per 3 miliardi; e siamo ottimisti. Gli si farà fronte in
parte riducendo i sussidi per vacca nutrice, favorendo gli allevamenti
estensivi. Ma il dubbio detto sopra resta legittimo. E non riguarda solo la
carne, ma un sistema in cui il 57,7% del valore aggiunto agricolo è
sussidiato dalla spesa pubblica, e malgrado ciò produce beni nocivi a
uomini, animali e terreni. Si può fingere di non accorgersene; ma non
sarebbe un agire realistico coi consumatori. Solo dei disperati, come sono
ormai allevatori e macellai, possono incolpare l’allarmismo di ministri o
giornali. Anche perché non è escluso che in futuro il dubbio sui sussidi
possa evolvere nell’opinione pubblica in attitudine antieuropea ed
ultraliberista. Si potrebbe pretendere di cessare i sussidi, e importare
carne da Usa od Argentina. Tra l’altro i prezzi internazionali sono
di almeno un 25% per cento minori di quelli europei, e dunque
ci guadagneremmo. Ma per quanto estrema, neppure questa ricetta
risolverebbe il problema. Gli Usa nutrono a iniezioni di ormoni proibite in
Europa le loro carni; e il sostegno per agricoltore negli Usa supera quello
europeo. Ma neppure la versione liberista più morbida, importare più
mangimi e soia, funziona. Si tratta di prodotti anche transgenici. E non
solo la loro coltivazione è proibita in Europa, ma trovarla sull’etichetta
non piace ai consumatori neppure negli Usa. Un articolo del New York Times
del 25 gennaio scorso illustra conclusivamente la débâcle del cibo
biotecnologico. Il dubbio non può insomma trovare una soluzione liberista,
almeno a breve termine.
Ma neppure si può tollerare il sostegno a un’agricoltura nociva per la
salute dell’uomo e dell’ambiente. Sia detto di sfuggita, ma
polli o suini inondati d’antibiotici o coltivazioni
esasperate sono per salute e territorio in Italia un
danno forse maggiore di mucca pazza. Ma i calanchi,
l’impoverimento dello humus verso soglie già inquietanti, la resistenza dei
virus agli antibiotici, fanno meno notizia. E allora
non c’è altra soluzione possibile: occorre intanto
riorientare i sussidi, con misura e buon senso, verso
un’agricoltura più estensiva. Ad esempio favorendo allevamenti
inseriti nel ciclo naturale di letamazioni, foraggio e pascolo,
orientati quindi non dal modello della fabbrica, ma in
filiere naturali di autosufficienza nel territorio e
biodiversità.
Del resto Agenda 2000 asseconderebbe questa direzione. I piani europei
prevedono di ampliare i sussidi in proporzione a prati e
pascoli dei vari allevamenti, e di convertire quote di
sussidi in sostegni all’ambiente. E il ministro
tedesco, signora Kuenast, fa bene a voler accrescere entro dieci
anni dal 2% al 20% la parte dei prodotti biologici-biodinamici
nei consumi alimentari tedeschi. Come ha ragione il
commissario europeo Fischler a dire insufficiente una
proporzione del 14% di spesa alimentare nei bilanci
europei delle famiglie. I prezzi agricoli devono aumentare e notevolmente;
così da facilitare una conversione inevitabile.
Consumeremo forse meno carne bovina e nutrita con più fibra e meno
mangimi, ma questo, si mettano il cuore in pace macellai e
allevatori intensivi, sarebbe un bene. Tanto più in
Italia dove la situazione è quella assurda riassunta
nelle due cartine. Concentriamo nelle pianure lombarde
alte densità di nitrati e massime concentrazioni di bovini per ettaro di
pascolo. Un ciclo disastrato: terreni in cui l’humus si
assottiglia e falde inquinate. Mentre «in assenza di
riutilizzo nella concimazione agricola lo smaltimento
dei liquami genera i principali apporti di elementi
eutrofizzanti, come nitrati e fosfati a carico del sistema idrico». E
mentre in Italia sono scomparsi milioni di capi e
razze autoctone, e più di metà del territorio, adatto
tra l’altro a pascolo e foraggio, è derelitto. Non sensi
economici ed ecologici. Abbiamo coi sussidi della Ue germanificato
all’italiana gli allevamenti, senza averne i caratteri
ambientali, e non badando neppure a crearne sul
territorio di adeguati.
E pensare che basterebbe riconvertire il set aside in foraggi, per coprire
circa il 20% del fabbisogno bovino. Ma misure come
questa o il ristabilimento d’altre filiere naturali
richiederebbero un’idea originale, nostra,
d’agricoltura. Quanto è mancato agli ultimi governi. Tornati da
Bruxelles con più sussidi, beati per aver eluso i vincoli che
scoraggiavano gli allevamenti intensivi. Non c’è
un’idea di agricoltura o di riequilibrio del
territorio. Chiacchiere a non finire sì, e soldi pure. Ma vengono i brividi
a pensare alle Regioni e ai fondi per lo sviluppo
rurale. Urge un disegno, un’idea di forma
dell’agricoltura. Non sarà quella di mezzadri e fittavoli
d’una volta. Ma nemmeno può essere il capannone industriale o la
desolazione delle colline rasate dai bulldozer. Misfatti non
solo estetici, come conferma mucca pazza. E pagati
inoltre, con vasti sussidi, da consumatori e
contribuenti.