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mucca pazza:irresponsabilita' nella gestione
da liberazione di venerdi 26 gennaio 2001
Irresponsabilità ed incoscienza nella gestione della sicurezza
alimentare
La vicenda mucca pazza e la tragica commedia mediatica sulle farine animali
dimostra che sino ad ora si è giocato in modo sporco con la salute umana
(ed animale): prima si è detto che in Italia di farine animali non ne
circolavano da tempo, poi che la situazione era sotto controllo ed infine
che, se pure circolavano farine con residui animali, queste non erano
pericolose, perché le probabilità che fossero provenienti da animali
infetti erano trascurabili. Detto quasi in coincidenza con il primo caso
ufficiale di Bse. Una storia lunga La vicenda ha radici lontane: dal 1994
(ma i dati ci dicono che tale consapevolezza scientifica esisteva da tempi
molto più lontani) i rischi connessi all’uso delle farine animali per la
trasmissione nei bovini della Bse diventano pressoché certi, ed iniziano le
misure d’interdizione del loro impiego per l’alimentazione bovina.
L’indagine del parlamento europeo del 1997 rileverà che elementi influenti
dei governi britannici per anni avevano tentato di nascondere il dato e che
la Commissione aveva tentato di minimizzare il tutto. Ma non ci
sembra che anche dopo il ’97 gli effetti dirompenti della Bse sulla vita di
milioni di persone e di animali (non solo sul mercato!) abbiano
sufficientemente stimolato gli uffici comunitari e nazionali. Le
affermazioni recenti di un dirigente dell’Istituto Superiore di Sanità,
Iss, sono particolarmente indicative dello stato di disordine e di
indifferenza generalizzata sul problema. Abbiamo testualmente letto che «i
controlli efficaci sono partiti solo dal ’96 (cioè con due anni di ritardo,
ndr). Su un numero limitato di esami il 40 per cento circa risultava
positivo. Due anni dopo, la percentuale è scesa fino al 20 per cento… Noi
abbiamo fatto tutto ciò che era necessario fornendo i pareri scientifici al
ministero della sanità. E tutti i pareri dicevano chiaramente che uno dei
problemi critici della strategia antiBse era il controllo delle farine di
carne». I ritardi Dobbiamo rilevare che i timori degli ispettori comunitari
in seguito ai controlli del gennaio 2000 (pubblicati dopo qualche mese su
internet), erano purtroppo fondati, ma non ci sembra che siano avvenuti
grandi cambiamenti, nemmeno tra i livelli dirigenziali; né ora, né
tantomeno nel 1994, quando non si leggevano i pareri scientifici, si
avviavano i controlli con due anni di ritardo, senza preoccuparsi dei dati
che emergevano continuamente. La Commissione europea non offre un esempio
migliore (quanto correttamente affermato dal ministro Pecoraro Scanio è
agli atti) ed il terremoto mucca pazza ha trovato in un direttore generale
il suo capro espiatorio, ma non ha modificato di una virgola
l’atteggiamento compiacente verso il comportamento omissivo degli Stati
membri. Nonostante le parole di fuoco contro la Gran Bretagna che occultava
la gravità della Bse, alcuni anni dopo, nel caso dei polli alla diossina il
Belgio informava con ritardo del grave problema il resto della
Ue. Quanto al Comitato tecnico veterinario riformato, esso sarà
probabilmente costretto ad abbassare la soglia d’età per i test sui bovini
a poche settimane dall’affermazione che i 30 mesi offrivano sufficienti
garanzie (ricordiamo che in Italia l’età dei test era stata fissata a 24
mesi, ma la Ue l’aveva considerata troppo emotiva).
Cosa fare? Come uscire da queste emergenze nell’emergenza? In primo luogo
sviluppando una sistematica attività di controllo; il procuratore di Torino
Guariniello, attraverso una faticosa attività d’indagine con il Nas
carabinieri, è andato scoprendo strane autocertificazioni aziendali in
merito all’assenza nei mangimi per bovini di residui animali, rilevando, in
aggiunta, che negli anni precedenti il 2000, il numero di controlli antiBse
era minore rispetto a quanto previsto dalle pur insufficienti norme Ue. Ma
non si deve pensare che la diffusione della malattia sia
avvenuta solo in seguito a comportamenti criminali; esiste una
sottovalutazione generale e solo l’istituzione dell’Agenzia per la
sicurezza alimentare improntata sul principio di precauzione potrà
riportare le garanzie a livelli sufficienti. Così non potrà più avvenire
che non si legga e non si valutino opportunamente i pareri dell’Iss (a
proposito, qualcuno ha memoria di come nel 1991 nessuno lesse o tenne conto
del parere Iss sul benzene ai tempi dell’introduzione della benzina senza
piombo?), del Cnr, delle università. In secondo luogo, assicurando i
cittadini che i controlli sulle farine sono generalizzati ed
assicurando ingenti fondi di ricerca sulla trasmissibilità della Bse
tramite farine animali o per altre vie da approfondire; anche gli enti
locali e le regioni devono essere coinvolte in questo processo di
trasparenza. In terzo luogo, il mostro Bse, per come gli è stato consentito
di crescere, diventando un business considerevole - anche per la
criminalità organizzata - deve essere affrontato anche con severe
previsioni normative di repressione e di controllo per essere
sicuri che i materiali bovini da eliminare siano effettivamente inceneriti
e non entrino a far parte illegalmente di nuove farine. Sicuramente il
Corpo Forestale dello Stato e i soli carabinieri della repressione delle
frodi comunitarie previsti come “controllori” per l’incenerimento da un
recentissimo decreto-legge non sembrano in grado di rispondere alla gravità
e alla vastità della situazione.
Stefano Zolea e Gianfranco Laccone