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uguaglianza - diversita'



dalla rivista del manifesto novembre 2000


DIVERSITA' VERSUS UGUAGLIANZA
discutendo con Cini

di giovanni mazzetti

Negli ultimi trent'anni, com'è noto, la base culturale dei movimenti
alternativi ha subìto uno sgretolamento. Come uscire dal marasma che ne è
conseguito? Certamente non alla maniera di coloro che, tentando radicali
mutamenti di rotta, hanno finito con 1'approdare maldestramente su
anacronistiche sponde (neo)liberiste. Ma nemmeno come altri, le cui radici
critiche nei confronti dei rapporti borghesi erano più salde, ma che
facendo perno solo su quella radicalità hanno finito con 1'abbracciare un
altrettanto anacronistico (neo)anarchismo. Cercherò qui di seguito di
spiegare perché, a mio avviso, le argomentaizioni che Cini ha avanzato (n.
3 e n.9 ) della rivista sofFrono di questo secondo limite.
Fine deila lotta di classe?
Cini giustamente riconosce che L'elemento centrale del movirnento comunista
è stato rappresentato da quel complesso processo storico che va sotto il
nome di `lotta di classe'. Ma a suo avviso il Novecento avrebbe fatto
piazza pulita di quella che si sarebbe rivelata `un'utopià , perché "la
classe universale, che liberando se stessa avrebbe dovuto liberare tutta
l'umanità si è frammentata e dispersa in mille soggetti diversi, in
concorrenza e spesso in lotta fra loro, separati materialmente e
culturalmente da interessi contrastanti, quando non addirittura da odii
atavici. Occorrerebbe dunque cambiar strada procedendo "alla sostituzione
del mito dell'omogeneíta di una classe che non c'e' piu', con la
rivalutaziorre della concreta diversità dei soggetti reali colpiti nei
propri interessi materiali e nella propria identita' culturale
dall'inesorabile processo di sottomissione al mercato di tutti gli aspetti
della soggettività e della creativita' umana".
Se ho ben inteso, Cini formula un'ipotesi analoga a quella che circolava
alla fine degli anni '70, e che si è imposta come luogo comune poco dopo,
secondo la quale,lo sviluppo economico recente avrebbe condotto , nei paesi
economicamente avanzati, al ridimensionamenro e quasi alla scomparsa della
classe operaia, e dunque ad una sostanziale dissoluzione dell'antagonista
storico del capitale. Alla classe sarebbero subentrati i concreti
individui, tesi ad affermare nientàltro che se stessi. Con questa
argomentazione si è cercato di cogliere un fenomeno che è indubbiamente
intervenuto, ma proprio perché lo si è recepito in maniera acritica, esso è
stato rappresentato in modo stravolto. Non c'è infatti alcun dubbio che i
lavoratori di oggi siano profondamente diversi dai proletari del secolo
scorso. Per andare sul concreto: lavorano la metà del tempo, campano più
del doppio, si ammalano di meno, sono più istruiti, godono di condizioni
materiali dell'esistenza alle quali allora, neppure i ricchi potevano
aspirare, fanno pochi figli, hanno diritti sociali che in passato sarebbero
stati impensabili, ecc. Ma basta tutto ciò per concludere che si siano
dissolte le condizioni di `una lotta di classe'? E soprattutto, che gli
individui possano oggi agire in modo da affermare nient'altro che se stessi?

Puó il capitale ergersi a soggetto assoluto?

Il primo aspetto contraddittorio dell'argomentazione è di natura logica. Da
un lato, come abbiamo visto, essa ipotizza che la classe antagonistica del
capitale non ci sarebbe più, ma, dall'altro lato, secondo Cini, il capitale
dominerebbe in fungo e in largo - owiamente come classe - la società
contemporanea. Noi sappiamo però che, se non si cade nella distorsione del
pensiero Prevalente - che immagina ogni entità come una monade che
preesiste agli stessi rapporti che la definiscono nella sua specifica
soggettività - il capitale deve apparire per ciò che è, vale a dire una
forma di relazione sociale. Esso corrisponde cioè all'interazione tra
almeno due entità: nel nostro caso il capitale e il lavoro salariato.
Dunque se il capitale ha esteso il suo dominio, può averlo fatto solo nel
rapporto almeno con un `altro da sé', senza il quale la sua conferma come
`capitale' sarebbe stata impossibile. Per esprimere il concetto attraverso
un'analogia: chi potrebbe mai affèrmare che il potere della Chiesa si sta
espandendo, nel momento in cui il numero dei fedeli si va assottigliando%
Se il capitafe è lavoro salariato oggettivato, che si riproduce su scala
allargata in una relazione antagonistica con lo stesso lavoro vivo, come
potrebbe mai il capitale essere cresciuto se il lavoro vivo `non c'è più'?

Soggetti attivi e soggetti passivi della storia

La contraddizione appena esaminata scaturisce per me da due errori, uno
metodologico, I'alrro di contenuto. Esaminiamoli separatamente.
Il meta-soggetto che Cini ha in mente, per negarne l'esistenza,è concepito
come un soggetto solo positivo. Esso esisterebbe cioè solo se ed in quanto
fosse "fòrte abbastanza da poter contrasrare il processo di globalizzazione
del capitale". Visto che non lo è, non esiste! Ma i proletari ai quali si
rivolgeva Marx, sollecitando la loro unione', erano indubbiamente ben più
frantumati e divisi di quanto non siano oggi i molti soggetti particolari
che si riproducono, o cercano di riprodursi, attraverso un rapporto con il
capitale. Le condizioni tecniche della loro attività produttiva differivano
profondamente da area ad area, da settore a settore; le loro tradizioni, la
loro religione, ecc. avevano ben poco di omogeneo; ma tutti avevano in
comune una condizione sociale, corrispondente al rapporto salariato che il
capitale stava via via imponendo su scala allargata. Come soggetti passivi,
quei proletari costituivano dunque una classe nonostante i diversissimi
gradi di sviluppo dei quali godevano, nonostante la mancanza di un comune
potere di indirizzare il processo riproduttivo sociale e nonostante
1'assurda concorrenza reciproca che li condannava alla fame.
La loro forza, che non può essere considerata come un elemento intrinseco
della loro condizione, e che, come riconosce lo stesso Cini, si è
indubbiamente espressa in numerose fasi storiche successive all'evocazione
del Manifesto, ha dunque dovuto essere costruita'. Ora, qual è stato il
materiale che ha reso possibile questa `costruzione'? Credo che si possa
rispondere: il riconoscimento del sussistere di un comune interesse ed il
superamento della reciproca separazione.
Non starò qui a ricostruire la storia dei sindacati e delle organizzazioni
politiche `dei lavoratori' e dell'arricchimento conseguente.
Così com'è stata ogni volta costruita, quella forza è però stata spesso
anche destrutturata dagli svolgimenti contraddittori di ulteriori sviluppi,
che, come sta accadendo ín questa fase, non riuscivano ad essere
metabolizzati fisiologicamente nell'ambito delle forme organizzative
dell'epoca. Per questo la storia degli ultimi due secoli, al pari della
storia precedente, non è stata altro che un'altalena di egemonie, ora
dell'una, ora dell'altra classe, che solo parlando alla buona hanno potuto
esser rappresentate con la figura della scomparsa dell'antagonista. Chi
avrebbe mai potuto ipotizzare dopo il tramonto della Repubblica di Weimar
ed il riemergere del lavoro schiavistico nei lager nazisti, che appena
qualche anno dopo la Germania avrebbe imboccato così decisamente la strada
dello Stato sociale? E chi ricorda che ancora nel 1975, lo stesso
presidente della Confindustria italiana si lamentava della scomparsa degli
imprenditori? Se quella era una metafora (ed una chiamata alla lotta),
perché la stessa cosa non dovrebbe oggi valere per i lavoratori salariati?

Quali cambiamenti nel processo produttivo?

La dissoluzione del lavoro salariato sarebbe però, secondo Cini, anche la
conseguenza di mutamenti radicali nel processo di produzione, e cioè un
fatto economico. Nell'argomentare in merito Cini va però continuamente
fuori strada. Sostiene ad esempio, nella Risposta ai miei critici, che la
"creazione della ricchezza si sarebbe spostata dalla produzione al
consumo". Ma se il consumo non è lo scopo della produzione capitalistica, e
si presenta solo come condizione subordinata del processo di accumulazione,
perché distrugge valore, come si concilia questa asserzione con 1'altra,
secondo la quale il capitale starebbe esprimendo tutta la sua egemonia
espansiva? Dunque, o è vero che il consumo è diventato esso stesso un
momento di `creazione' della ricchezza sociale, e non solo della sua
realizzazione, ma allora il capitale starebbe mostrando un'incapacità a
riprodursi in corrispondenza delle sue stesse forme, oppure il capitale sta
vivendo la sua piena affermazione, ma allora il consumo dovrebbe continuare
ad avere un ruolo subordinato rispetto alla stessa produzione. A quale
delle due inconciliabili ipotesi dovremmo dunque credere? O forse dovremmo
concludere che Cini, al di là di vaghe concessioni di rito al pensiero di
Marx, usi il concetto di `capitale' nient'altro che come una vaga metafora
per i comportamenti sociali che condanna? Analogamente, se fosse vero che
il lavoro salariato risulterebbe sempre meno condizione della soddisfazione
su scala allargata dei bisogni, non si dovrebbero fare i conti con i
Grundrisse, dove si afferma che un simile stato di cose costituirebbe unó
dei presupposti per I'emancipazione dei lavoratori e della dissoluzione del
capitale?
Non mi si fraintenda. Credo che le argomentazioni di Cini rinviino a
problemi reali, ma, appunto, invece di esserci di aiuto, aggravano lo stato
confusionale generale. La comprensione di quei problemi richiede
svolgimenti analitici a cui egli non ha nemmeno tentato di accennare.
Tant'è vero che ad un certo punto è giunto a sostenere qualcosa di
insostenibile, e cioè che non solo la ricchezza in genere, ma addirittura
"lo stesso profitto verrebbe prodotto non più nella produzione ma nel
consumo". Ma se logicamente il concetto stesso di profitto si riferisce al
"ciò che eccede quanto viene consumato nel processo di produzione", in che
guazzabuglio analitico si sta precipitando?
II principale paradosso, nelle riflessioni di Cini, sta proprio nel modo
dissociato in cui prende atto delle componenti contraddittorie dello
sviluppo. Egli indubbiamente descrive in lungo e in largo molti dei
mutamenti intervenuti. Ma, da un lato, non coglie come essi siano stati
strettamente connessi a profonde trasformazioni nei rapporti sociali - ciò
che lo spinge a cercare l'antagonista del capitale nella forme proprie del
passato e a decretarne la scomparsa. Mentre dall'altro ipotizza radicali
cesure là dove non ce ne sono affatto state - precludendosi la possibilità
di individuare gli elementi che, in continuità col passato, possono
unificare gli awersari odierni del capitale. Sarà bene fare un riferimento
concreto. Secondo Cini "nel nuovo capitalismo le stesse relazioni tra gli
individui singoli diventerebbero merce: il capitale infatti avrebbe
gradualmente trasformato in merce tutti i messaggi di qualunque natura che
gli individui si scambiano tra loro. Invece di dirsi con parole loro che si
amano, i ragazzi si scambiano icone di cuoricini trafitti attraverso il
telefonino, e così consumano merce". Nel `vecchio capitalismo', al
contrario, le cose, ma non le relazioni, sarebbero state (coerentemente)
trattate come merci.
Nonostante questo modo di concepire i rapporti e le cose contenga
I'intenzione di una critica al modo di produrre borghese, porta con sé
anche una distorsione inintenzionale che appartiene proprio a quel mondo
sociale. Nelle realtà precapitalistiche infatti, i rapporti erano
strettamente intrecciati con le cose. Queste ultime esprimevano cioè
immediatamente le relazioni tra gli individui. Ad esempio, la giacca o la
coperta che in molte famiglie, ancora ad inizio Novecento, venivano tessute
dalle donne, non erano, come appaiono a noi oggi, mere cose, bensì
1'espressione immediata delle relazioni familiari, cioè un particolare
valore d'uso che conteneva in sé il rapporto in questione. Vale a dire che
quelle cose non venivano prodotte a prescindere dalle particolari relazioni
che ne motivavano la produzione, e dunque costituivano solo un momento
della riproduzione di quei rapporti. È stata dunque la trasformazione di
quei prodotti in merci che, in un successivo momento, li ha posti come
valori d'uso in generale, e cioè come puri oggetti di un bisogno che non
contiene in sé immediati legami personali (cosicché possono essere alienati
nello scambio). Nei confronti di quei prodotti si potrebbe dunque fare un
ragionamento analogo a quello di Cini e dire che "le stesse relazioni tra
gli individui sono diventate merci", con una conseguente dissoluzione della
distinzione tra `vecchio' e `nuovo' capitalismo.
Quanto sopra per dire che il quadro evolutivo non è cosl semplice come Cini
ce lo descrive. Non c'è stato un salto al di là del quale il capitale si
sarebbe impossessato arbitrariamente della soggettività, ma un lento
processo attraverso il quale ha dato corpo ad una forma di soggettività,
che include il rapporto con le cose. Ora, è proprio perché gli individui
entrano in rapporto tra loro attraverso la determinatissima mediazione del
capitale, con una specifica impronta sulla loro soggettività sociale, che,
se vogliono realmente far fronte ai problemi riproduttivi che intralciano
la soddisfazione dei loro bisogni, debbono fare i conti con questa
preesistente forma della loro individualità. E questa, volenti o nolenti,
li definisce innanzi tutto come `classe'. Con un approccio tipicamente
anarchico, Cini invece si sbarazza di tutto ciò, immagina gli individui
come se fossero naturalmente portatori di una soggettivitìt genericamente,
cioè astrattamente, umana, e dunque scinde questa soggettività dalle
relazioni sociali che sono alla base della sua specifica `umanità' in atto.
Proprio perché la forma del prodotto - sia esso cosa, sia esso rapporto -
là dove domina la borghesia, è quella della merce, il bene e il male, il
superiore e 1'inferiore 1'abbondante e il miserevole, insomma ciò che fa la
vita umana, prende corpo come merce. Ed i problemi generati da questa
`forma' non possono essere puramente e semplicemente accantonati, appunto
perché essa costituisce la base della vita, e non una superfetazione
posticcia di natura arbitraria. Insomma, la base della vita umana non è ma
pura natura, ma anche uno specifico insieme di relazioni che è stato
prodotto dalle generazioni precedenti.
Se le cose stanno nel modo appena descritto, la borghesia si presenta
ancora come una classe attiva appunto perché, nonostante le numerose ed
esplosive contraddizion che si accompagnano al suo dominio, nonostante
nella fase storica precedente le società avanzate si siano spinte molto al
di là dei puri e semplici rapporti capitalistici, riesce a mediare un
qualche arricchimento sociale attraverso la produzione su scala allargata
di merci. I lavoratori si presentano invece, in questa fase, come una
classe passiva, perché, nonostante abbiano contribuito a far venire alla
luce molti elementi innovativi della socialità, non sanno più imporre un
processo di arricchimento reale alternativo.

Inutilità delle visioni romantiche

Se, come mi sembra faccia Cini, si considera il rapporto di merce solo dal
suo lato negativo, cioè nella sua limitatezza e contraddittorietà, tutto
precipita e 1'egemonia della borghesia appare solo come un arbitrio, al
quale si potrebbe porre fine senza dover `costruire' qualcosa di
alternativo e di superiore. Come può Cini cadere in questa che a me pare
una vera e propria ingenuità? Credo che si possa rispondere: perché, contro
gli idealizzatori romantici del ruolo dell'uguaglianza, idealizza
altrettanto romanticamente il ruolo della diversità.
Per capire questo aspetto occorre riandare al dialogo con Magri. Sul piano
formale Cini sembra condividere i rilievi di Magri (la "rivista del
manifesto", n. 5, aprile 2000 p. 60) e farli propri. In particolare
accondiscende all'ipotesi che "le diversità, più che essere garantite
debbano....poggiare su un avanzamento del patrimonio comune e riprodursi in
forma nuova, ad un livello superiore". Tuttavia, poche righe più avanti,
quando riprende il dialogo con se stesso, gli sfugge, forse coattivamence,
un'asserzione opposta, e cioè "che occorre introdurre una meta-regola che
sancisca la diversità come ricchezza di tutti, e impedisca di prenderla a
pretesto per imporre una scala di disuguaglianza culturale che si traduce
poi, inevitabilmente, in disuguaglianza sociale ed economica .
Tutta la fatica millenaria degli esseri umani per distinguere il bene dal
male, il distruttivo dal produttivo, viene cosi' gettata nel cestino dei
rifiuti, e con essa scompare la caratteristica propria dell'umanità, quella
di cercare di creare le condizioni positive di una vita comune.
L'esperienza passata ha infatti insegnato agli umani che non è affatto vero
che ogni comportamento `arricchisce' chi lo pone in essere e gli altri, e
che ci possono essere `diversità' distruttive, la cui estrinsecazione deve
essere inibita. Da qui la difficoltà, sensata e condivisibile,
nell'interazione con estranei. Interazione che spesso è stata ostacolata
proprio dal ripiegamento su se stessi, cioè dal prevalere della diversità
o, quando quel ripiegamento non era possibile, dall'esplosione
dell'antagonismo implicito nei diversi modi dell'esistenza. Cini,
d'altronde, non solo entra in palese contraddizione con la proposta che
avanza, escludendo il capitale dall'applicazione della metaregola di cui
fantastica, ma sembra ignorare un fatto elementare connesso con simili
esplosioni, e cioè che la guerra, così importante nella storia
dell'umanità, non è quasi mai stata un evento arbitrario, bensì il coerente
dispiegarsi di modi di vita che apparivano tra loro inconciliabili proprio
a causa della loro unilaterale diversita'che impediva una qualsiasi comune
riproduzione in uno stata di penuria. Attraverso il processo storico,
soprattutto attraverso il dispiegarsi del rapporto di scambio, gli esseri
umani hanno imparato ad interagire, cominciando a trattarsi come uguali, e
producendo una ricchezza reale connessa proprio con questo uguagliamento.
Cini ricostruisce però questo processo di `arricchimento' in maniera
capovolta. Mettendo al centro solo i suoi aspetti antagonistici che
indubbiamente sussistono, lo qualifica come un `impoverimento', come una
deprivazione, cioè solo come distruzione di differenze essenziali. Seguiamo
brevemente le sue argomentazioni. In che cosa si risolverebbe, a suo
avviso, lo sviluppo del rapporto di merce? Nel fatto che ad alcuni sarebbe
"stata data una lattina di Coca Cola in cambio di tradizioni millenarie che
gli arricchivano la vita". Se le cose stessero realmente nei termini appena
descritti, ci sarebbe da chiedersi quale perverso meccanismo avrebbe spinto
quegli esseri ad accettare un simile `scambio'. Ma si tratterebbe di un
interrogativo superfluo, perché puramente e semplicemente le cose non
stanno nel modo caricaturale descritto! La borghesia ha infatti conquistato
agli umani qualcosa di più della Coca Cola, e glielo ha conquistato
nonostante il prodotto assumesse la forma merce, della quale noi oggi,
grazie a Marx, possiamo anche affrontare 1'aspetto contraddittorio, ma
senza negare quello storicamente valido. Per essere chiaro fino in fondo,
anche gli articoli di Cini si sono presentati, per me e per gli altri
lettori, come una merce. Erano infatti in vendita dal giornalaio, e lì li
abbiamo comperati. Dovremmo forse rammaricarci di questo acquisto?
La critica romantica del capitale ignora lo sviluppo intercorso nella fase
dell'egemonia capitalistica. Dice ad esempio Cini: "il piccolo produttore
va in miseria perché il surrogato (il corsivo è mio) standardizzato
prodotto da una multinazionale costa meno". Dunque dovremmo considerare i
termosifoni e la luce elettrica come un sostituto dello sterco di mucca che
le popolazioni nomadi usavano per scaldarsi e per far luce; i telegiornali
come una sbiadita copia delle `voci' che arrivavano con i corrieri o con i
viandanti; 1'automobile come un emulo del mulo; il computer come un
sostituto delle tavolette di cera o dei papiri sui quali scrivevano rari
privilegiati depositari del `verbo', ed il satellite meteorologico che ci
preannuncia 1'arrivo di un tifone come una parodia dei vaticini dei nostri
antenati? Sarebbe bene lasciare a pensatori come Illich simili
argomentazioni, perché nei fatti il piccolo produttore va in miseria in
quanto la produzione capitalistica tende normalmente a soddisfare bisogni
che egli neppure immagina, o che soddisfaceva con caratteristiche
qualitative e di convenienza economica immensamente peggiori. Vale a dire
che, quando trionfa, il capitale `apre' il sistema dei bisogni, e così
facendo `arricchisce' 1'umanità. (Se cosl non fosse dovremmo onestamente
dubitare della stessa intelligenza storica dell'umanità.)

Al di là del romanticismo

Poiché sono ben lungi dal credere che il rapporto capitalistico non sia un
rapporto contraddittorio o dal ritenere che una pura e semplice
riesumazione nostalgica del movimento comunista con le caratteristiche
passate possa consentire di far fronte alla crisi, veniamo ora alla parte
costruttiva della critica. La formula di Cini - "la contraddizione
fondamentale della società del capitale globale sta nella spinta a ridurre
tutto all'omogeneità indifferenziata della forma merce" - può essere
condivisa. Ma solo se, rinunciando ad assolutizzarla, non si cerca di farla
valere retroattivamente. Da criticare è cioè la pretesa odierna del
capitale di riuscire a mediare non contraddittoriamente tutte le possibili
nuove dimensioni della produzione e della ricchezza umana. Insomma mentre
non si può negare che il capitale abbia mediato lo sviluppo, si pua negare
che sia ancora in grado di mediare non contraddittoriamente ogni ulteriore
sviluppo.
Il primo passaggio di questa negazione sta però nel riconoscere che una
forma della ricchezza diversa da quella capitalistica è già storicamente
data, ed ha assunto un ruolo crescente con 1'affermarsi dello Stato
sociale. Mi riferisco al soddisfacimento di quell'insieme di bisogni che, a
partire dagli anni '50, ha avuto luogo con 1'affermarsi dei cosiddetti
`diritti sociali'. Chi può ignorare che oltre la metà del prodotto è
scaturito, ed in buona parte ancora scaturisce, da decisioni di spesa della
pubblica amministrazione? Chi può dimenticare che questo passaggio è
conseguito alla cosiddetta `rivoluzione keynesiana', grazie alla quale si è
riconosciuto che il capitale era diventato improduttivo in quanto dissipava
buona parte delle risorse, mentre 1'intervento pubblico avrebbe sempre e
comunque arricchito la collettività per il solo fatto di farle tornare in
circolo? Chi può insomma discutere della crisi e delle prospettive di
sviluppo senza far entrare sulla scena almeno il principio del moltiplicatore?
Se, a causa della crisi, si rimuovono le conquiste passate i (nùovi)
problemi diventano irrisolvibili, appunto perché la stessa base sulla quale
si dovrebbe poggiare per farvi fronte viene inghiottita dal buio del rimosso.

L'embrione dell'individuo consapevolmente sociale

Mi sembra che vada riconosciuto a Morandi di aver tentato, con la sua
garbata Apologia dell'individuo sociale (la "rivista del manifesto", n. 6,
maggio 2000, pp. 60-61) un avvicinamento a Cini proprio su questo terreno.
Qual è stato il succo della critica di Morandi? Che c'e' ancora un senso
nel proiettare il potere di soddisfare i bisogni primari in un éntita'
sovrastante, come la classe sociale, per conquistare quell'eguaglianza non
formale che può costituire la piattaforma di un coerente dispiegarsi delle
diversità individuali, cioè il superamento dei rapporti di classe. Sia
Magri che Morandi hanno poi cercato di ricordare a Cini che questo
obiettivo, riassumibile nell'anticipazione marxiana del superamento della
proprietà privata attraverso lo sviluppo della `proprietà degli individui',
era coerentemente contenuto nelle migliori formulazioni del bisogno di
comunismo, anche se non è poi riuscito ad esprimersi in una prassi capace
di far fronte alle contraddizioni emerse quando il problema è giunto a
maturazione. Insomma Cini si è incontrato con interlocutori che non
negavano i suoi problemi. Ma ha insistito che questa continuità col passato
era inaccettabile. I nuovi poteri sociali da produrre sono per lui
contrapposti a quelli del passato, proprio perché quelli aspiravano ad una
universalità che a suo awiso è intrinsecamente illusoria. Infatti i
soggetti minacciati nella loro stessa sopravvivenza dal rullo compressore
della globalizzazione... non avrebbero, né potrebbero avere, per la loro
diversità alcuna progettualità condivisa .
Un simile approccio presuppone però solo due possibili configurazioni: 0
1'umanità è un dato, immanente all'individuo singolo, che si esprime
spontaneamente proprio attraverso le diversità - un'ipotesi che ci fa
precipitare in pieno anarchismo, cioè nella totale negazione della validità
storica di qualsiasi forma sociale sovrastante elaborata nel
contraddittorio processo della nostra formazione come umani - 0 1'umanità
stessa è un' utopia, perché non può esserci alcuna realtà (sia essa `il
capitale', sia essa `la comunità') che si spinga al di là della natura
immediata.
Una conferma del fatto che seguendo Cini si finisce in questa trappola,
viene fornita dalla sua distinzionecontrapposizione tra `progetto' e
`processo'. Nel primo (il progetto), un approccio sbagliato alle
trasformazioni sociali, "un soggetto che lo formula e successivamente cerca
di realizzarlo, mentre nel secondo (il processo) il (meta)soggetto si
costruisce via via che 1'azione si sviluppa". "Nel progetto si prescrive
ciò che deve essere fatto. Nel processo agiscono vincoli che vietano ciò
che non deve accadere". Soggettivita' e oggettività appaiono in tale
configurazione insuperabilmente divise e contrapposte. Gli esseri umani
possono avere una vita, senza però contribuire a "farla", mentre se
cercassero di farla non potrebbero incidere sulla realtà. Scompare cosi' la
natura circolare dei processi storici. L'azione, proprio perché la pratica
umana poggia su uno scopo, comporta sempre una qualche progettualità, che
e' insieme il risultato dell'azione precedente e il presupposto di quella
nuova. Per questo anche gli obiettivi hanno una forza, in quanto
sostituendo la forza degli istinti forniscono un'indicazione della
direzione nella quale muovere. Va da sé che 1'azione ha sempre luogo in
circostanze che non sono e non possono essere sotto il dominio immediato
del soggetto che agisce sulla base di quel progetto. Dunque, di norma non
si esaurisce nelle intenzioni che la muovono e non produce immediatamente
il risultato atteso. Questo risultato può tuttavia essere coerente con le
intenzioni originarie, e dunque essere considerato come una conferma del
soggetto, o può contraddire quelle intenzioni disconfermandolo. In entrambi
i casi, il soggetto ha in esso il materiale della sua stessa `costruzione'
ulteriore perché è in grado di apprendere in che rapporto la sua stessa
soggettività si trova con le condizioni della soddisfazione dei suoi bisogni.
Se Cini avesse ragíonato criticamente su come I'obiettivo dell'uguaglianza
e quello della preservazione della diversità hanno influito nel bene e nel
male in questa costruzione, sarebbe stato più cauto, e avrebbe potuto
riconoscere che il cambiamento necessario oggi, invece di risolversi
banalmente in un'apologia della diversità, richiede ancora qualche sforzo
elaborativo su entrambi i fronti per dare dei frutti.