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lo stato non previene ricostruire conviene di piu'
da liberazione di martedi 17 ottobre 2000
Dal “Corriere della Sera”, intervista all’Autorità di bacino
del Po
«Lo Stato non previene: ricostruire conviene di più»
«Lo Stato agisce sempre in emergenza, sempre in affanno. Fa seguire alle
alluvioni d’acqua alluvioni di soldi da spendere sul tamburo, ma stringe la
borsa quando si tratta di programmare a lunga scadenza per prevenire». Lo
dice Roberto Passino, segretario generale di quell’Autorità di Bacino del
Po che comprende Valle d’Aosta, Piemonte, Liguria, Lombardia,
Emilia-Romagna, Veneto, Toscana e provincia autonoma di Trento. L’Autorità
ha varato (maggio 1998) un piano stralcio delle fasce fluviali,
seguito, l’anno scorso, da un piano di asssetto idrogeologico che, per la
messa in sicurezza di gran parte del Nord Italia, individua aree a rischio
per oltre 3mila comuni, ha un preventivo di spesa di oltre 25mila miliardi
e indica la necessità di una radicale svolta nella strategia di difesa
dalle alluvioni.«Venticinquemila miliardi possono spaventare. Ma, per
riparare i danni dell’alluvione del ’94 e costruire, rafforzare argini ne
sono stati spesi 11mila. Adesso, lo Stato tornerà ad aprire il portafoglio
per la Valle d’Aosta e gli altri territori colpiti da inondazioni e frane.
Ma, l’altro ieri, mentre giustamente stanziava, con una mano,
200 miliardi per gli interventi straordinari a Soverato, con l’altra dalla
Finanziaria ne toglieva complessivamente 500 agli stanziamenti ordinari per
la difesa del suolo nel 2000 e nel 2001». Ma i danni bisogna pure pagarli e
una pezza comunque metterla per ricucire nell’immediato lo strappo: una
pezza fatta di argini, di difese artificiali. E’ ovvio che lo Stato deve
pagare, purché non disincentivi gli interventi che guardano avanti. Nel
recente passato, i soldi li ha elargiti a tutti, anche a chi ha costruito
abusivamente in zone a rischio. Lo Stato tenta di farsi
perdonare inadempienze gravi e storiche. Risarcisce tutto, cercando così di
cancellare la memoria dell’alluvione precedente. Nel bacino del Po sono
state cinque negli ultimi dieci anni e il dissesto si è alimentato di
infinite frane. Quanto a quella che lei chiama “pezza”, spesso è peggio
dello strappo. Si cementificano, si rettificano i corsi d’acqua rendendoli
rettilinei, si ruba di continuo spazio ai fiumi, si permettono insediamenti
nelle zone d’esondazione. La forza delle piene non ha più sfogo, non si
disperde gradualmente lungo tutto l’asse dei fiumi. Un esempio. In
poco più di un secolo, la larghezza del Po, del suo alveo si è dimezzata,
mentre il volume d’acqua è rimasto identico. E’ come costringere un obeso
in una taglia da adolescente.L’onda di piena diventa più alta, più lunga e
aumenta il tempo di pressione sugli argini. Anche il “vestito” della Dora
Baltea è stato via via, rimpicciolito. E purtroppo se ne vedono le
conseguenze. Quasi ogni autunno, arriva il disastro. Negli anni Cinquanta,
il 50 per cento della popolazione attiva nel bacino del Po era occupata
nell’agricoltura. La protezione del territorio coincideva con un interesse
personale di sopravvivenza. Oggi, la popolazione agricola è ridotta
al 7 per cento. Ma la situazione attuale è soprattutto il risultato di
decine di migliaia di piccole e medie violenze sui fiumi. L’abusivismo e
piani regolatori sbagliati, inadeguati, hanno portato le residenze, i
capannoni industriali, l’agricoltura, i micidiali pioppeti sempre più
vicino agli alvei, alle fasce di naturale espansione dei fiumi e dei
torrenti. Lo Stato agevola il rischio. Chi si mette a rischio
chiede di essere protetto. Si moltiplicano, così, le opere di
arginatura,comprimendo sempre di più il fiume e aumentando il pericolo, la
portata, la furia e la velocità dell’acqua. E’ un gatto che si morde la
coda. Che fare? L’intervento pubblico non serva solo per correre ai ripari,
per mettere una toppa a danno avvenuto, a emergenza subita, con costi
economici e sociali sempre più insostenibili. Occorre restituire ai fiumi
un abito più largo, il loro. Non sempre è possibile. Ma, là dove lo è,
bisogna applicare questa strategia. La speranza è che gli
studi e il lavoro dell’autorità di bacino del Po, se non saranno
disattesi,inneschino un’inversione di marcia.