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la strategia dell'hamburger
da liberazione di domenica 15 ottobre 2000
Il regno di Mc Donald’s e cosa c’è dietro
La strategia dell’hamburger
Uniformità e profitto, omologazione e sfruttamento per una
formula che, con i suoi 26 mila ristoranti identici in ogni
parte
del globo, macina 40 milioni di clienti al giorno
“Il mondo è un hamburger, irrorato di ketchup o maionese, accompagnato da
patatine dorate, innaffiato di Coca Cola. Attorno all’hamburger si muove
tutto: i consumi, i gusti, le abitudini di milioni di cittadini di ogni
parte del mondo, da New York a Mosca, da Pechino alla Mecca. Si entra in un
McDonald’s come se si tornasse a casa, dalla mamma, perché è familiare,
sicuro, protettivo. Siamo convinti di essere noi i
responsabili delle nostre scelte, anche di quella di entrare in un
McDonald’s. Ma sbagliamo. Il mondo è un hamburger: noi ci viviamo dentro,
lo mangiamo, lo consumiamo e ogni giorno lo reinventiamo come piccoli,
inconsapevoli protagonisti di un disegno già segnato. McDonald’s è il
nostro presente e il nostro futuro. McDonald’s è l’evidenza storica
dell’avvenuta razionalizzazione del mondo, dell’omologazione
dei comportamenti umani così come aveva profetizzato Max Weber”. Questa, in
sintesi, la “McFilosofia” propugnata da Mario Resca, responsabile della
McDonald’s Italia e bocconiano di ferro, insieme al giornalista di
Repubblica Rinaldo Gianola in McDonald’s: una storia italiana edito da
Baldini & Castoldi. Uniformità e profitto, omologazione e sfruttamento per
una formula che, con i suoi 26 mila ristoranti identici in ogni parte del
globo, macina circa 40 milioni di clienti al giorno. Le
origini “Gli abbiamo venduto un sogno, e li paghiamo il meno possibile”.
Così scrisse il padre fondatore, il messia del simbolo stesso della
globalizzazione alimentare. La storia di Ray Kroc sembra quella di Paperon
de’ Paperoni, con tanto di banchetto per le limonate gestito sapientemente
davanti a scuola. Nel 1954 scippa il nome, il simbolo Ð i due archi gialli
Ð e l’idea di una tavola calda pulita ed economica ai fratelli McDonald’s
di San Bernardino, in California. Nel marzo del ’55, a Chicago, fonda il
primo McDonald’s e stila il manuale operativo, rimasto tale e quale per i
successivi 45 anni. Tutto è previsto in questa vera e propria catena di
montaggio dell’alimentazione: temperatura e modalità di cottura,peso e
dimensioni dell’hamburger, efficienza e ritmi di lavoro, pulizia e sorrisi.
Nel 1959 i ristoranti sono già più di 100 ma il vero boom
arriva quando McDonald’s comincia a comprare i locali per
affittarli in franchising: nel 1962 le vendite arrivano a 76 milioni di
dollari. Nel ‘64 la McDonald’s inaugura il suo cinquecentesimo locale
mentre nella sua scuola, denominata “Università dell’hamburger”, promuove
il suo cinquecentesimo studente-lavoratore. Nel ’67 un altro salto: apre i
due primi locali all’estero e si quota a Wall Street. Nel ’74 tocca il suo
primo miliardo e raggiunge quota mille locali. Oggi McDonald’s è diffuso in
120 paesi, ha un milione e mezzo di dipendenti e un fatturato di 65 mila
miliardi di lire. Ogni anno passano da McDonald’s circa 400 mila ragazzi
dai 15 ai 19 anni: imparano a cucinare, a sorridere e a scappare appena
possibile. Il turn over è altissimo. Il McLavoro “Noi siamo padre, prete e
rabbino, consigliere, grande fratello e boss. Insegnamo la
disciplina e il lavoro di squadra” esattamente come si fa nell’esercito. E
infatti, come in un esercito bene addestrato, a iscriversi al sindacato non
ci pensa proprio nessuno. Una delle spiegazioni risiede nell’organizzazione
stessa del lavoro: una struttura piramidale,rigidamente gerarchica, che
consente di fare ingoiare ai nuovi arrivati le paghe miserevoli e le
pessime condizioni di lavoro. Al massimo possono scappare, ma non certo
organizzarsi. Il meccanismo è più che oliato. Il capo, ovvero quello che ha
investito i soldi per le attrezzature Ð in Italia circa 250 milioni Ð è
tenuto con l’acqua alla gola dai pagamenti. La McDonald’s,
proprietaria delle mura, riceve l’affitto, la percentuale sulle vendite e
sulla pubblicità. Il capo schiaccia i manager che schiacciano quelli che
stanno sotto, quasi sempre ragazzi al primo lavoro. I lavoratori devono
chiedere il permesso per bere o andare in bagno, e il management può
cambiare i turni a discrezione. Naturalmente non si può, per legge,
licenziare chi si iscrive al sindacato ma, di fatto, viene impedito ai
dipendenti di riunirsi, di appendere volantini o distribuirli, e chi
informa i sindacati delle condizioni di lavoro viene considerato
un traditore e rapidamente espulso dalla grande famiglia.
Il McCibo Negli Usa quello che propina il McDonald’s viene definito junk
food, ovvero “cibo spazzatura”. Come è stato evidenziato da alcuni rapporti
dell’OMS, il cibo spazzatura è la causa di quel fenomeno, tipico dei paesi
industrializzati, denominato “malnutrizione infantile”. La denutrizione dei
bambini africani è causata dalla mancanza di cibo. La malnutrizione dei
bambini poveri americani, che può avere serie conseguenze sulla salute -
dall’anemia, alle disfunzioni immunitarie fino al ritardo mentale - è
causata da cibo ricco di grassi e di zuccheri, ma povero di fibre, vitamine
e minerali. Il McCibo, insomma. Inoltre, come tutti i nutrizionisti non si
stancano di ripetere, troppa carne, troppo sale e troppi grassi animali
costituiscono una dieta perfetta nel favorire le malattie cardiache e
alcuni tipi di tumore, mentre per le ultime trovate
transgeniche, soia e mais, largamente utilizzate nei McDonald’s, si sa ben
poco, e quello che si sa non è incoraggiante. Il fatto che il principale
target di questo tipo di dieta siano proprio i bambini è di per sé
inquietante, ma è una delle strategie vincenti della McDonald’s, con i suoi
menù pieni di gadget e i suoi ristoranti con annessi parchi giochi.
Il McAmbiente Molto presto la multinazionale si è sottratta alle critiche
degli ambientalisti che l’accusavano di distruggere l’Amazzonia per far
posto alle mucche. E’ vero: McDonald’s si procura le mucche in loco, ma gli
allevamenti di cui si serve sono stati più volte sotto il mirino degli
animalisti per via del trattamento riservato agli animali. Un discorso a
parte merita il consumo di carne in generale. Qualcuno disse che l’uomo
capitalista è per definizione carnivoro. Dello smodato consumo di carne
abbiamo usufruito tutti senza eccezioni trasformando interi paesi del Terzo
mondo a fornitori del nostro hamburger quotidiano, le terre espropriate per
far posto alle mandrie o alle coltivazioni da allevamento.E per averla
tutti i giorni a costi accessibili, quella benedetta fettina, sono stati
necessari gli allevamenti industriali con il loro corollario
di inquinamento, spreco energetico e uno smodato aumento dello squilibrio
della ripartizione alimentare planetaria. La separazione degli allevamenti
dall’azienda agricola ha creato un paradosso: quella che era una ricchezza
- il letame utilizzato come concime naturale - è diventato un rifiuto
potenzialmente inquinante e molto difficile da gestire. Inoltre c’è il
problema della ripartizione planetaria delle risorse alimentari.
Attualmente circa il 38% della produzione mondiale di cereali è destinata
all’alimentazione degli animali mentre potrebbe essere destinata
direttamente all’alimentazione umana. Un ciclo interamente gestito dalle
grandi società transnazionali che penalizza l’agricoltura di sussistenza
dei piccoli coltivatori locali e incrementa la distruzione delle foreste
tropicali per fare spazio ai pascoli e alle colture.
Sabina
Morandi