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gli sfruttati del big mac



da liberazione di sabato 30 settembre 2000
             Gli sfruttati del Big Mac. Il caso esemplare di Catania
             Succede solo da McDonald’s

             Benvenuti nel Mcworld. Che siate a Mosca oppure a Tokyo, vi
colga la fame in un’affollata strada di Giakarta o nel traffico caotico di
Città del Messico, le sfavillanti insegne di McDonald’s saranno lì, a
suggerirvi il provvidenziale ingresso all’oasi sintetica dell’impero
americano. Rifocillati da Big Mac serviti             in rigorosamente meno
di sessanta secondi, sputati fuori dalla catena di montaggio mentre un
apposito canale radio diffonde pubblicità studiata per assicurare un tempo
di percezione del messaggio equivalente al tempo medio di permanenza nel
punto vendita, scoprirete che la libertà consiste nel poter scegliere la
salsa: ketch up o maionese? Non importa che i polli utilizzati per gli
spuntini McNuggets e McChicken             siano nutriti con soia
geneticamente manipolata: siete nel tempio dell’american way of life,
simbolo della società universale dei consumi, dove insieme agli hamburger
vi fanno trangugiare immagini mirate a costruire un unico gusto planetario
che sfida le frontiere pretendendo ovunque ubbidienza ed uniformità.
L’impero dei consumi Nei 25mila ristoranti Mc sparsi nei cinque continenti
il menù parla inglese, le tristi divise a righe degli “operatori” sono
tutte uguali, i cappellini sponsorizzati             pure, ma i piatti
proposti sono un’abile sintesi dello standardizzato hot dog con patatine e
la cultura del cibo del Paese ospite. Nell’era della precarizzazione e del
decentramento anche il menù diviene flessibile: tacos e Coca Cola in Centro
America, torte e caffé a Vienna, riso a Bombay. Il magico mondo Mc fagocita
le differenze: «Pensare globalmente, agire localmente, non si può gestire
una catena mondiale in modo centralizzato». Eccolo in vangelo di Jack
Greengerg, boss del gruppo e regista della strategia McDonald’s
nell’aggressione dei mercati esteri. Strategia vincente, che ha fatto
ingrassare gli incassi e ha visto volare nel 1999 il titolo
azionario della catena ad 80 dollari, quattro volte il valore raggiunto nel
1965. Anche la dieta  mediterranea ha fatto spazio al re del fast food. In
Italia la multinazionale del panino festeggia i suoi primi quindici anni di
insediamento, potendo vantare la conquista della leadership nel settore con
l’acquisizione nel ’96 del concorrente Burghy, 243 ristoranti in piena
attività, un fatturato di 686 miliardi solo lo scorso anno (il 18% in più
del ’98) e 12mila dipendenti. Ma             come vivono quei 12mila
lavoratori? Con salari bassi, contratti eternamente precari e
sindacalizzazione inesistente. Se a costruire gadget Mc Donald’s ad Hong
Kong,tramite la compagnia City Toys, sono bambini di dodici anni pagati
pochi spiccioli (l’azienda nega, ma sindacalisti di Hong Kong andati a
visitare la fabbrica lo scorso luglio hanno trovato alle macchine 160
ragazzini tra i dodici e i quindici anni), gli impiegati Mc di Catania non
se la passano molto meglio. Assunti con un uso massiccio e spregiudicato
dei contratti di formazione lavoro (che quasi mai si trasformano in
assunzioni a tempo determinato), sono costretti a mansioni non previste dal
contratto come la pulizia di pozzetti di scarico e di bagni,subiscono
trasferimenti senza preavviso da una sede all’altra, lavorano per ore di
straordinario mai pagate come tali. «L’insediamento di Mc Donald’s a
Catania - commenta Luca Cangemi,             deputato di Rifondazione
comunista che ha denunciato questa situazione chiedendo
l’intervento immediato dell’Ispettorato del lavoro e del Ministero -
avviene sommando la metodologia americana dello sfruttamento alle pratiche
della imprenditoria speculativa catanese».Diritti cancellati Strumento
prediletto della strategia di asservimento è la minaccia delle lettere di
contestazione. Chi osa mostrare una qualche resistenza ne colleziona
cassetti pieni.Le motivazioni, denunciano i lavoratori, o sono inventate di
sana pianta o hanno dell’incredibile. Una per tutte: avere il bradge, ossia
il cartellino con il nome appeso alla divisa di lavoro, non perfettamente
esposto. La bacheca sindacale è negata, i comunicati delle
organizzazioni sindacali finiscono strappati nei cestini ed è impedita la
diffusione dei verbali di incontro tra datore di lavoro e sindacati.
Risultato: in soli dieci mesi la metà dei centoventi lavoratori si è
licenziata. Tutto fa supporre che le dimissioni di massa non dispiacciano
all’azienda che anzi può approfittare di questo veloce turn over per
assumere altra persone con le stesse modalità potendo usufruire degli
sgravi fiscali. Ad un contratto di formazione lavoro (Cfl) ne subentra
infatti un altro senza che ci sia tempo per porsi il problema
dell’assunzione a             tempo indeterminato prevista dalle norme dopo
due anni di Cfl. Negli Stati Uniti, d’altra parte, il sistema del
lavoratore Mc usa e getta è più che sperimentato: una buona quota degli
assunti se ne va dopo cinque settimane e il turn over viaggia attorno al
300%. E chi fosse preoccupato dal sapere che in tutte le sedi italiane
della multinazionale è arrivato l’ordine di ritirare i contenitori delle
patatine perché contengono sostanze fluorescenti (tutt’altro che salutari
sbiancanti ottici utilizzati per modificare i colori), sarà consolato
dall’ultima iniziativa del generoso gigante alimentare: entro il Duemila
anche in Italia verrà costruita             una casa di accoglienza
aziendale per le famiglie dei bambini ricoverati in ospedale con gravi
patologie. «Succede solo da McDonald’s». 
                                                                  Angela
Nocioni