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Comunicato Legambiente



27 Settembre 2000 

FIGLI DI UN'ITALIA MINORE: I COMUNI DEL DISAGIO ABITATIVO 

    Sono figli di un'Italia minore, di un'Italia che invecchia, che si
spopola, poco competitiva da un punto di vista economico, che vede sparire
da un anno all'altro l'ufficio postale, la scuola, il presidio sanitario,
gli esercizi commerciali. Sono 2.830 comuni a rischio di estinzione: un
terzo di quell'Italia polverizzata, dove ormai risiede solo l'8,7% della
popolazione. Ma nello stesso tempo questi figli di un'Italia minore sono
potenzialmente uno dei volani di una new economy in salsa italiana, aree
privilegiate delle attività tradizionali, dei prodotti tipici, del turismo
rurale, di un corretto uso del territorio e del paesaggio. Le migliaia di
centri abitati e di nuclei insediativi diffusi capillarmente su tutto il
territorio hanno prodotto nei secoli un patrimonio straordinario fatto di
beni culturali e ambientali, abilità manifatturiere, saperi e sapori. E'
questa l'Italia che emerge dalla mappa del "disagio insediativo" disegnata
per Legambiente e Confcommercio da Serico - Gruppo Cresme, presentata oggi
a Roma, nel corso di un incontro che ha visto la partecipazione del
presidente di Confcommercio Sergio Billè, il presidente nazionale di
Legambiente Ermete Realacci e Sandro Polci, responsabile di Serico - Gruppo
Cresme e coordinatore della ricerca. Le aree del disagio insediativo sono
state individuate mediante l'acquisizione di informazioni relative a 53
indicatori raggruppati in 7 famiglie principali (dati strutturali e di
popolazione, istruzione, assistenza sociale e sanitaria, produzione,
commercio e pubblici esercizi, turismo e ricchezza). L'analisi ha
individuato 9 gruppi omogenei di comuni, connotati al loro interno da forti
peculiarità. Tre di questi (i comuni dell'impoverimento, quelli
demograficamente depressi o dell'anzianità e quelli fondamentalmente
statici), presentano preoccupanti caratteri di disagio insediativo. Una
mappa che evidenzia spopolamento e impoverimento di vaste aree che si
concentrano lungo l'arco alpino soprattutto piemontese, lombardo e
friulano, lungo Alpi e Appennini liguri, lungo la dorsale appenninica
tosco-emiliana e centro meridionale, nelle zone montuose interne di Sicilia
e Sardegna. Al sud, si trovano sugli Appennini dalla Calabria all'Abruzzo,
e si diffondono verso nord toccando anche le aree interne di Marche e
Toscana. In sintesi, i numeri evidenziano appunto che nei 2.830 comuni del
disagio insediativo - pari al 35% del totale - risiede l'8,7% della
popolazione con un reddito medio inferiore del 26% alla media nazionale; è
laureato l'1,5% dell'intera popolazione residente (rispetto alla media
nazionale del 3,6); gli occupati nelle imprese private sono meno di 1/3
della media nazionale (424.631 su un totale nazionale di 13,8 milioni), e
si esprime il 3,9% degli addetti al commercio (147.000 su 3.740.000) ma
sono registrate ben 774.800 Partite Iva (14% in più rispetto alla media
nazionale, ma che creano una ricchezza minore del 40% della media) a
testimonianza della polverizzazione della struttura produttiva in piccole e
piccolissime unità locali. L'elenco dei comuni, come detto, è lungo. 2.830
realtà locali dove troviamo tanti "ricchi poveri": le Langhe piemontesi, le
Cinque Terre liguri, la prima riserva marina italiana di Ustica, tanti
piccoli centri all'interno di parchi e aree protette, quasi tutti i comuni
dove si fanno i cento e passa prodotti di origine protetta italiani. Cosa
succede dunque in questa Italia? Quali i fenomeni fissati dai 53 indicatori
considerati dalla ricerca? Calano le nascite e aumenta lo spopolamento;
chiudono i piccoli esercizi commerciali e aumentano i grandi centri
localizzati fuori dal centro; nelle scuole, classi semivuote vengono
accorpate, addirittura in molti casi chiudono le scuole stesse. Una visita
medica specialistica costringe a spostarsi nella città più vicina, ma anche
per i servizi bancari o postali è necessario andare nelle località più
grandi. Situazioni di questo tipo penalizzano fortemente le scelte
abitative delle coppie più giovani - nuova linfa vitale per questi centri -
e del turismo della terza età. In Italia ben oltre il 98% dei comuni ha
meno di 10.000 abitanti. Popoliamo un territorio che conta oltre 22mila
centri abitati, quasi 33mila nuclei insediativi, senza considerare le
caratteristiche di tanta parte del nostro sistema agricolo composto di
"case sparse" con una distribuzione insediativa che appare diffusa su tutto
il territorio. Si tratta ripetiamo, principalmente di paesini, di piccoli
centri, che fanno da sfondo ai paesaggi d'Italia noti nel mondo, che
custodiscono deliziosi centri storici e particolari saperi che si
tramandano spontaneamente. Nel nostro Paese, nel settore istruzione, nel
medio periodo, la diminuzione del numero degli studenti è ampiamente
superata dal numero di scuole chiuse. Nelle elementari - dove il disagio
per le famiglie è maggiore vista la giovane età dei figli - il calo degli
studenti tra il 1990/91 e il 1997/98 è pari al 11% (-234.000 unità) mentre
quello delle scuole oltrepassa il 23%, (con una diminuzione reale di 4.900
scuole); nelle materne si passa dalle 27.716 scuole del 1990/91 alle 25.825
del 1997/98, pur nella stabilità del numero degli utenti. Nel settore
Assistenza sociale e sanitaria, gli istituti di cura nel 1996 erano 1.787,
ben 113 in meno rispetto all'inizio del decennio; una simile contrazione (-
6%) è omologa a quella dei posti letto (355.000 contro i 410.000 del 1990);
nel contempo i degenti sono aumentati dai 9 milioni del 1990 ai 10,6 del
1996. Cresce significativamente in Italia come in Europa, la superficie
improduttiva che, oggi è pari a quasi 3 milioni di ettari (circa il 10% del
territorio nazionale). Cala la superficie agricola (in 30 anni, 2,7 milioni
di ettari, cioè il 15,3%). Negli ultimi 10 anni il peso del lavoro agricolo
in Italia, è diminuito dal 3,9 al 2,5% contro la crescita del terziario e
la stabilità dell'industria. Nel 1988 ad ogni persona che lavorava in
agricoltura corrispondevano 26 abitanti mentre nel 1998 il rapporto è
passato a 40. Nel commercio, il calo nel solo 1997 è stato quasi il 10%,
pari a 56.000 delle 600.000 licenze per imprese di commercio al dettaglio;
parallelamente sono cresciuti i grandi supermercati (5.445 rispetto ai
2.900 del 1988) che segnalano anche per l'utenza del commercio l'esistenza
di due italie; quella della grande distribuzione, sempre più servita e
agevolata, e quella dei piccoli centri, che soffre lo sviluppo e la
concorrenza della grande distribuzione. In sintesi, nelle aree di disagio
insediativo, oltre al fatto che le realtà commerciali sono di piccola e
piccolissima dimensione, abbiamo una diffusione di 2,15 unità locali al
commercio ogni chilometro quadrato a fronte di una media nazionale di 12,6
per Kmq. La dinamica turistica di lungo periodo, relativa alla domanda -
arrivi, presenze, offerta (posti letto disponibili) - indica che l'Italia
corre e corre a ritmi di crescita prossimi al 5% annuo; le presenze passano
in 7 anni da 257 a 299 milioni, gli arrivi addirittura da 59 a 72 milioni.
Cresce inoltre la redditività unitaria del settore poiché l'aumento delle
presenze eccede di gran lunga quello delle strutture e dei posti letto. Ma
nell'Italia del disagio abitativo, le presenze turistiche non superano le
39 unità per ogni posto letto offerto, rispetto ad una media nazionale di
oltre 84; Le presenze turistiche, rapportate al territorio, sono 9 volte
inferiori nelle aree del disagio. La sfida per investire sul Belpaese parte
allora da qui. Con la creazione delle giuste condizioni, con la
realizzazione di quei "servizi territoriali", che niente hanno a che vedere
con le politiche di generalizzato sostegno del secondo dopoguerra ma che
devono essere mirate e selettive, attuate secondo forme di partnership
pubblico/privata e capaci di esprimere un positivo bilancio economico,
ambientale e intergenerazionale. La sfida principale consiste allora nel
favorire gli strumenti per affermare le identità locali. Nel ridare un
giusto orgoglio agli abitanti. I valori competitivi custoditi da queste
località sono infatti molteplici. La biodiversità innanzitutto, che vede
l'Italia fra i paesi più ricchi, con quasi 6.000 specie floristiche e 1.200
specie di vertebrati (più di un terzo del patrimonio faunistico europeo)
"abita" in questi 2.300.000 ettari di superficie, che costituiscono il
sistema delle aree naturali protette. "Sono proprio questi allora - ha
dichiarato Realacci - i centri che custodiscono l'immenso patrimonio
culturale e storico, naturale ma anche enogastronomico del Paese. E' in
queste zone che troviamo la più vasta parte dei beni culturali nazionali
ricca di chiese e conventi, dimore storiche e giardini, archivi e
biblioteche. E sempre qui alberga l'Italia dei prodotti tipici, delle
tradizioni, dell'artigianato artistico. Risorse immense che, valorizzate in
modo adeguato, diventano la forza sociale ed economica del Paese, una forza
nuova capace di renderci competitivi, con una nostra identità, nel processo
di globalizzazione in corso". Si delinea quindi con chiarezza come da
quest'Italia possa partire la nuova politica d'intervento imprenditoriale e
produttiva, fatta di agricoltura di qualità, di turismo rurale, di
valorizzazione dei beni culturali, del recupero delle attività artigianali,
ma anche della manutenzione del territorio, notoriamente afflitto da gravi
episodi di natura ambientale dovuti al consumo eccessivo di suolo,
all'incuria e all'abbandono. Ma quali sono i modi giusti e le energie
migliori per far sì che le aree di disagio si trasformino in esperienze
significative, in volano dell'economia nazionale? La problematica del
mantenimento di un'adeguata rete di servizi territoriali ed esercizi
commerciali nelle aree del disagio insediativo costituisce una delle
condizioni per una loro rivitalizzazione economica. Si tratta di una
tematica che investe in modo particolare il nostro paese, notoriamente ad
alto rischio geologico, afflitto quasi annualmente da gravi episodi di
natura ambientale (terremoti, alluvioni ed eruzioni) ma in buona misura
anche da consumo eccessivo di suolo (spesso abusivo), incuria e abbandono.
Attività imprenditoriali (piccole e diffuse) in tale settore allora
potrebbero attivare circoli economici virtuosi, capaci di sicuri benefici
ambientali soprattutto applicando innovazione tecnologica (monitoraggio
permanente, analisi strumentali adeguate e interventi di ingegneria
naturalistica). Un vasto bacino di "ricchezza" risiede poi nello sviluppo
del turismo rurale, in grado di fornire spazi alternativi e non omologati
sfruttando una giusta combinazione di fattori locali ed esogeni, nonché nel
settore dell'agricoltura ripensata secondo pratiche biodinamiche meno
inquinanti. Il commercio locale costituisce poi un sistema efficiente per
cercare di ridurre il rischio di marginalizzazione delle popolazioni
rurali, che devono poter disporre di un'ampia gamma di servizi in loco.
Attraverso la promozione e il monitoraggio di esperienze pilota da
localizzare in contesti socio-economici ed ambientali differenziati,
potrebbe essere possibile individuare un nucleo base di questi servizi, ai
quali altri potranno aggregarsi in relazione alle caratteristiche peculiari
dei differenti insediamenti. Da qui quindi, parte l'iniziativa di
Legambiente e Confcommercio che, con il convegno aperto a tutti i soggetti
interessati a promuovere l'Italia dei talenti da scoprire, Mercoledì 11
ottobre a Roma, lanciano la prima Convenzione programmatica nazionale
"Investire sul Belpaese: servizi territoriali diffusi per la competizione
globale", che vedrà in campo idee e proposte delle associazioni di
categoria (Cia, Coldiretti, Confagricoltura, Confesercenti, Cna), di Slow
Food, Unioncamere, di Federparchi, ma pure dell'Anci, Upi, Aiab e della
Conferenza dei Presidi delle Regioni e delle Province Autonome e che
coinvolgerà in prima persona i ministri dell'Ambiente, delle Politiche
Agricole, dell'Industria e della Funzione Pubblica.