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gardaland: affari sporchi



da carta di sabato 15 luglio 2000


                STATE ATTENTI A
                GARDALAND 

                di DANIELE BARBIERI 


 

MC GARDALAND'SLa vicenda di Gardaland sembrerebbe un normale esempio
di arroganza e di amministratori compiacenti verso i potenti, e sordi ai
cittadini e
all' ambiente. Ma a ben riflettere è anche un paradigma della vita
quotidiana ai
tempi della globalizzazione. Come le catene McDonald's svelano, al di là
dei cibi
cattivi o di insensatezze ecologiche, un'idea del mondo, così Gardaland e i
suoi
mille fratellini clonati dalle Disneyland ci parlano di città fasulle, di
bimbi [e adulti]
cui viene impedito altro gioco che non sia l'apprendimento al consumo, secondo
un solo modello sostanzialmente valido per tutto il pianeta. 

Una delle favole più belle del nostro secolo, «Il piccolo principe» di
Saint-Exupéry, ci aveva messo in guardia. Quando la Volpe insegna al bimbo
l'importanza di «addomesticare», di creare legami, aggiunge: «Gli uomini non
hanno più tempo per conoscere. Comprano dai mercanti le cose già fatte. Ma
siccome non esistono mercanti di amici, gli uomini non hanno più amici». La
volpe/Exupéry ha ragione e insieme torto: è verissimo che non abbiamo più
amici
[e giochi], ma è falso che non esistano venditori di amici [e
divertimenti], anzi è
un settore in grande espansione. E spuntano ovviamente gli apologeti dei Vda,
«venditori di amici», come nella ricerca di qualche anno fa «Affetto: costi e
ricavi» [di Marco Merlini, edizioni Koynè], che elenca 180 esempi di
professioni
che suppliscono e mercificano l'assenza di rapporti fra le persone. Egualmente
esistono tante sirene del Mc modello, come Fiamma Nirenstein [su La Stampa
del 23 aprile], che scrive: «È odioso dimenticare quale beneficio venga alla
partecipazione e alla democrazia dal fatto che con poche lire i ragazzi dei
paesini
e dei sobborghi possano venire in massa in città a cena al Mc Donald's», e ne
deduce che la polpetta è buona, come il Fondo monetario e la Banca mondiale,
mentre cattivi sono il popolo di Seattle e gli ambientalisti. Così, già
circolano gli
studi che esaltano Gardaland. Il saggio di Marialuisa Luisetti [in «I
parchi del
divertimento nella società del loisir», Franco Angeli 1998] non ha un solo
dubbio
sul «caso Gardaland». Basta scorrere i titoli dei paragrafi che recitano: «Una
favola che iniziò 20 anni fa»; «L'attuale struttura morfologica del parco:
Gardaland come complesso polivalente e multi-funzionale per il tempo libero»;
«Il Lago dei divertimenti: il ruolo del parco come servizio qualificato a
sostegno
dell'economia turistica del Garda»; «Il modello organizzativo
dell'azienda-parco:
dall'artigianato all'impresa terziaria». Ne deriva inevitabilmente questa
frase-poesia conclusiva: «Agli operatori è affidato il non facile compito
di governare la più grande città del loisir italiana, sapendo trasmettere
contemporaneamente la
filosofia di serenità, organizzazione ed efficienza che rappresentano i valori
fondamentali della cultura di Gardaland». 

Parchi che ricreano e fatturano, «divertimentificio» globale: nella sola
riviera
romagnola ve ne sono 16 che incassano 170 miliardi l'anno [con 1.189.000
visitatori solamente a Mirabilandia]. Rubano acqua alle zone intorno;
costringono
i lavoratori in nero e senza diritti sindacali; uccidono la creatività e le
differenze;costringono a ritmi forsennati persino nel piacere... Ma che
importa? Questa è la festa comandata, obbligatoria. Proprio come il bambino
«cartonato» e
video-dipendente è tale perché la città è inabitabile [periodicamente in
Usa come
in Bulgaria i governanti impongono il coprifuoco per i giovani]. 

La Valle dei Re non è in Egitto, e il va scello di Peter Pan non si trova in
una fiaba, ma sulle rive del Garda, insieme a 5 ristoranti, 9 punti-foto, 12
bar, 18 negozi...

Supponiamo che vogliate fare una scorpacciata di show e spettacoli: fra le ore
9,20 [festa medioevale] e le 18,20 [flamenco dance] ci sono un'altra decina di
eventi, ripetuti e mescolati fino a offrire 56 appuntamenti. Torneo di
camelot,
delfini, corsari, laser, celtic fusion [omaggio al confinante sindaco
leghista, buon
amico del parco?], pappagalli, gran parata e naturalmente la «festa di
compleanno» alle 16. Oltre s'intende alle attrazioni: la Flying Island [«Ti
solleverà
verso il cielo fino a cinquanta metri»], l'egiziana valle dei re, il
vascello di Peter Pan, eccetera. Più servizi, cinque ristoranti, nove
punti-foto, dodici bar, diciotto negozi per consolarsi [e spendere] durante
le code. Gardaland compie 25 anni. È la più grande «industria» della zona,
sempre piena di gente d'ogni età [i bambini sono in netta minoranza, che
credevate?]: nel '99 ha toccato i 2 milioni e 969 mila visitatori, con un
giro d'affari di 134 miliardi. Il presidente di Gardaland si chiama Enrico
Chinato, ed è l'ultimo di una lunga serie. Ottavo parco in Europa, vuole
ancora ingrandirsi: in fretta, fors'anche per non farsi cogliere
impreparata dalla più volte annunciata rivale Disneyland nella vicina
Lombardia. 

Tutto bene, allora? Niente affatto, dicono da decenni le organizzazioni
ambientaliste della zona: che accusano Gardaland di aver distrutto, con gli
sbancamenti, «ciò che la natura aveva creato, un giardino di sogno», d'avere
inquinato il Dugale [attraversa il parco prima di sbucare nel lago, unico
torrente
locale cui è stato tolto il vincolo ambientale previsto dalla legge
Galasso], d'aver
operato abusi edilizi, di barattare la ricchezza di tutti [turismo e
agricoltura] con
un'occupazione stagionale «in casacca verde» [il colore del parco-giochi] e
«ramazza in mano». Non va bene, a sentire anche molti abitanti della zona
in un
qualunque lunedì dell'anno 2000. «Ora è un quotidiano disastro di rumore, di
inquinamento da aprile a ottobre e di permanente devastazione del
paesaggio. Nei
classici ponti di aprile o ferragosto il caos è totale». 

Sui nuovi progetti le opinioni sono concordemente negative. «Vedete questi
vigneti? Bardolino doc, ma se faranno la nuova strada a quattro corsie come si
potrà curarli? Già alcuni sono stati trasformati in parcheggi. La zona non
respira
più, con il nuovo casello [annunciato a novembre] e gli anelli per
collegarsi alle
superstrade finiremo gasati». 

Altre persone ricordano che Gardaland vuole il pontile sul lago inventato a
Ronchi [nello scorso marzo l'annuncio ufficioso] da Ferdinando Emanuelli,
sindaco del Comune di Castelnuovo del Garda: «Poi chi le impedirà di
allargarsi
con attrazioni acquatiche, di papparsi anche un po' di lago?». C'è sempre
qualche amministratore che indovina i desideri di Gardaland, è la battuta
in voga. 

«È una strategia dell'accerchiamento, un pezzo alla volta fanno ciò che
nessuno
potrebbe autorizzare se venisse presentato il progetto completo», osserva
Gianluca Solera, consigliere dei Verdi al parlamento europeo che segue la
storia
con l'euro-deputata Monica Frassoni [la quale nell'ottobre '99 chiede come
mai la
Banca europea degli investimenti accordi a Gardaland un prestito di 31
milioni di
euro, cioè 60 miliardi di lire] e conosce bene le ultime vicende. Anche chi ha
seguito passo passo l'ingrandirsi di Gardaland [un saggio di Mariano
Sartore del
'91, una ricerca di Silvana Zanolli del '92] conferma una trafila di
vincoli rimossi,
opere provvisorie divenute definitive, sanatorie, pareri tecnici negativi
annullati
dalla Regione e via rimescolando le carte. L'avvocato Luciano Guerrini un anno
fa ha presentato, per conto dei Verdi di Verona, alcune osservazioni che si
aprono «con le attività costruttive in gran parte abusive nei primi anni
'70», per
chiudersi con la constatazione che «il parco ha sottratto all'uso e alla
vista un
tratto di sponda lacustre di notevole bellezza panoramica». Nell'era a.g.
[ante
Gardeland] questo era un posto tranquillo e per ciò amato dai turisti,
ricordano in
molti. «Ma quel lago è anche una delle aree lacustri più interessanti
d'Europa»,
ricorda Gianni Tamino, un altro ex euro-verde, biologo di mestiere. 

«Abbiamo cercato di dialogare con Gardaland ma non ci sentono», raccontano
alcuni abitanti: «Un esempio può chiarire i loro metodi. Si paga il parcheggio
all'entrata, creando code lunghissime. Abbiamo chiesto: non gioverebbe a
tutti,
abitanti e vacanzieri, far pagare all'uscita, in modo da snellire il
traffico sia
all'andata che al ritorno? Ci vuole troppo personale, hanno risposto. Un
esempio
tipico della loro arroganza». 

Eppure l'argomento sempre sbandierato da Gardaland a ogni critica sono i posti
di lavoro. «C'è del vero, però... contratti a termine, molti appalti,
lavoro faticoso
e comunque dieci anni fa ci pagavano meglio», raccontano due hostess. Qui
ovviamente [come in tutte le Disneyland del mondo] il sindacato è tabù.
Un'altra
parolaccia è Via, ovvero la Valutazione d'impatto ambientale: sarebbe
obbligatoria per zone sotto vincolo paesaggistico ma... chi l'ha vista? Il 19
novembre '99 alcuni giornali locali pubblicano la lettera di «alcuni
abitanti di
Castelnuovo del Gardaland, pardon del Garda», i quali, spaventati da
progetti di
«quattro corsie con spartitraffico, rotonde d'inversione, mega-alberghi in
arrivo»,
ricordano che esistono leggi europee, italiane, regionali sulla Via,
concludendo:
«Pazienza che un privato ci provi ma che sia un ente locale a non
provvedere alla
Via ci sembra alquanto grave». Qualcuno più in alto forse si muoverà,
auspicano.

In effetti, a marzo la seconda strada approda ai parlamenti regionale,
italiano ed
europeo. Interrogazioni rimaste però, al solito, senza esiti convincenti. O
con
risposte assai strane. A esempio la Banca europea d'investimenti,
rispondendo [il
9 febbraio 2000] alla precedente richiesta di spiegazioni da parte
dell'euro-deputata Frassoni, cita documenti dei Comuni di Castelnuovo e Lazise
e del ministero dell'ambiente italiano che «la società Gardaland è pienamente
disposta a trasmettervi» [cosa peraltro mai avvenuta]. Come da slogan per il
venticinquennale [«Il mondo festeggia Gardaland»], amministratori e banche
anche. Mettetevi in fila. Alleluja.