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mc do' pasti rapidi per una societa' senza classi



LE MONDE diplomatique - Maggio 2000 
    "McDo", pasti rapidi per
    una società senza classi 


    L'attentato del 19 aprile scorso contro il McDonald's
    di Quevert in Bretagna, che ha provocato una
    vittima, è stato legittimamente condannato. Ciò non
    impedisce tuttavia un'indispensabile riflessione su un
    modello che pone il culto del consumo al di sopra di
    tutto

    di Rick Fantasia*
    McDonald's sembra essere, in tutto e per tutto,
    l'incarnazione del modello neo-liberista americano: la
    sua strategia globale, la sua ineguagliabile arte della
    formula, le smisurate dimensioni del suo stile
    promozionale, il suo processo di lavoro
    ultra-razionalizzato (controllato da un elaborato
    sistema contabile informatizzato, capace di vigilare
    sulla produttività di ognuna delle casse, in ogni
    ristorante, in qualsiasi angolo del pianeta), la
    posizione che occupa all'interno di un sistema
    agricolo a scala mondiale capace di ridurre sul
    lastrico i piccoli contadini. E se il racconto popolare
    del piccolo Sindacato contadino che come David si
    oppone, dalla Francia più profonda, al Golia
    americano può essere un'arma utile, rappresenta
    tuttavia un eccesso di semplificazione, che tende ad
    occultare alcuni elementi importanti della storia.
    Perché "McDo" si colloca al centro di istituzioni e
    forze sociali che hanno conosciuto uno sviluppo
    legato a quello dell'impresa.
    A voler essere obiettivi, la visione che emerge non è
    tanto quella di un pericoloso intruso che minaccia un
    pacifico padrone di casa, quanto quella della
    convergenza di forze locali favorevoli
    all'"americanizzazione".
    E il neo-liberismo americano non appare più come un
    villano invadente, ma piuttosto come un nuovo
    ospite che discretamente si stabilisce e pian piano si
    impone grazie all'erosione delle resistenze autoctone
    e alle "riforme" che si infiltrano tra le crepe e gli
    interstizi delle istituzioni e dei costumi locali. In
    Francia l'industria della ristorazione rapida è stata
    inizialmente sviluppata da alcune imprese francesi,
    che tentavano di battere gli americani sul loro stesso
    terreno di gioco. McDonald's è comparso all'inizio
    degli anni 70, nello stesso momento in cui altre
    catene americane (hotel, lavanderie, consulenza
    fiscale) si venivano a stabilire in Europa per aggirare
    l'aumento del costo del lavoro e la saturazione del
    mercato negli Stati uniti. McDonald's non è stata la
    prima catena di fast food ad operare in Francia;
    l'hanno infatti preceduta altri marchi, come "Crip
    Crop", "Dino Crop", "Chicken Shop", e la britannica
    "Wimpy". Fino al 1982, il ruolo commerciale di
    McDonald's in Francia è rimasto trascurabile, sebbene
    il suo nome fosse diventato una leggenda negli
    ambienti affaristici. Dieci anni fa, l'80% degli esercizi
    di ristorazione rapida apparteneva ancora ad
    investitori francesi od europei. Società francesi hanno
    aperto numerosi ristoranti dai nomi americaneggianti
    (Magic-Burger, France-Quick, Free-Time, ecc.),
    proponendo hamburger e altre pietanze tipiche degli
    Stati uniti. Questi prodotti erano preparati da
    lavoratori part-time (che operavano in una catena
    d'assemblaggio informatizzata) e venivano
    confezionati, pubblicizzati e venduti come prodotti
    americani in ristoranti in cui tutto (la struttura,
    l'organizzazione e il coordinamento) sembrava
    ispirarsi al modello del fast food americano (1). I
    responsabili dei gruppi più attivi in questo settore
    (turismo, hotel, catene di ristoranti, rosticcerie,
    supermercati e industria agro-alimentare), rispettosi
    della cultura commerciale americana - e in particolare
    del modello di ristorazione rapida - erano spesso
    cresciuti nel segno di un'opposizione al modello
    organizzativo delle imprese francesi a gestione
    familiare. Lo scontro con la tradizione francese delle
    "haute cuisine" si faceva perciò inevitabile.
    La "haute cuisine", dal canto suo, sapeva come
    difendersi. Una rete complessa di organismi pubblici
    e privati, che riunisce fondazioni, associazioni e altri
    musei delle arti culinarie, garantisce il rispetto delle
    tradizioni. La sua storia quotidiana è scandita da
    diversi rituali (ricompense, premi, cerimonie,
    classifiche) che designano coloro che meritano di
    essere ammessi al cenacolo. E non lesina oli liturgici,
    utilizzati a profusione per mascherare sotto
    un'infarinatura storica mire commerciali o
    promozionali. Diversi custodi del tempio - riviste,
    guide, giornali e giornalisti specializzati - rafforzano
    poi la fede nelle grandi star della Guida Michelin,
    nell'esaltazione del "tipico" e nel culto della
    tradizione.
    La frivolezza del fast food si afferma contro la
    nobiltà della haute cuisine. I due discorsi simbolici si
    nutrono a vicenda e caratterizzano l'immagine
    attraverso cui la Francia e gli Stati uniti si
    presentano al resto del mondo. I principi dell'haute
    cuisine sono, in teoria, agli antipodi della logica del
    mercato di massa (standardizzazione, grossi volumi,
    minimi costi, praticità, carattere informale) e delle
    esigenze di produzione che rendono tale mercato
    possibile (razionalizzazione, polivalenza, flessibilità
    del lavoro e controllo dei costi). La barriera di
    demarcazione si fa tuttavia sempre più porosa,
    favorendo movimenti nell'uno e nell'altro senso.
    Innanzitutto, i grandi gruppi industriali si sono
    allargati: hanno rilevato birrerie e ristoranti
    indipendenti (Lipp, La Coupole, Maxim's, le Balzar) e
    si sono messi in società con i grandi chef, il cui
    prestigio ha permesso loro di risollevare l'immagine
    dei loro prodotti: surgelati, catene di ristoranti,
    programmi televisivi, libri di ricette, vini, ecc. Questi
    gruppi, che sono penetrati all'interno della cinta
    sacra alla ricerca di profitti immediati, si sono anche
    impegnati nel sostenere e sviluppare il patrimonio
    culinario. Contribuiscono infatti al finanziamento e
    all'amministrazione della fondazione Brillat-Savarin
    (che cerca di lottare contro le forze
    dell'omogeneizzazione...) e patrocinano il "Chef of
    the Year Award", un premio assegnato ogni anno da
    Le Chef magazine, uno dei principali organi della
    professione. Tanto che nello stesso numero della
    rivista in cui Alain Ducasse riceveva il premio di "Chef
    of the Year", venivano menzionati i premi conferiti ai
    prodotti alimentari industriali (fra cui spiccavano
    Daregal per le sue "erbe aromatiche surgelate",
    Mikogel per le sue "mini-bavaresi", Sopad-Nestlé per
    i suoi "contorni precotti" e Uncle Ben's per le sue
    "insalate ai sapori").
    Si sono quindi venute a creare le condizioni, nel
    settore gastronomico, perché coloro che dispongono
    di un certo prestigio lo possano mettere a frutto. Una
    volta raggiunto il vertice della Guida Michelin, il
    grande chef dispone infatti di un potere pari a quello
    dell'alchimista.
    Ogni cosa diventa una potenziale fonte di profitto,
    anche l'oggetto più prosaico (grembiule, libro di
    ricette, bistrot). Un Bocuse, un Robuchon, un Loiseau
    possono quindi negoziare la loro firma e il loro nome
    aprendo, per esempio, un bistrot a prezzi contenuti
    accanto al loro ristorante a tre stelle. Ottenuta la
    terza stella, infatti, i discorsi dei grandi chef
    cambiano radicalmente di tono: passano dalla
    retorica sulla "purezza", l'"eccellenza" e il "tempo non
    calcolabile" alla difesa dell'accessibilità e la
    democrazia ("tutti devono poter gustare le meraviglie
    della nostra cucina").
    Coloro che hanno dedicato le loro carriere alla
    beatificazione dell'alta cucina si convertono ora al
    mercato, spinti spesso dalla necessità di saldare i
    debiti contratti per il rinnovo dei loro ristoranti -
    necessario a sua volta per richiedere la terza stella.
    Già vecchio e vulnerabile depositario dei valori
    artigianali tradizionali, mondo preservato dal degrado
    e dall'omogeneizzazione del fast food, l'alta cucina
    sembra meno protetta di quanto vorrebbe far credere
    dalle forze dell'"americanizzazione". Neanche il
    "tipico" sfugge più alla standardizzazione. La
    standardizzazione sradica il particolare, corrode il
    legame artigianale tra cucina e regione. E, visto che
    l'imperativo di base di McDonald's - e di tutte le
    catene commerciali - impone alle singole unità di
    essere tutte più o meno identiche, ovunque si
    trovino, la loro ubicazione non ha più alcuna
    importanza: ciò che fanno non è mai "speciale".
    I prodotti, la struttura, i metodi di lavoro del fast
    food sono sempre dissociati dalle particolarità del
    luogo (solo la forza lavoro continua ad obbedire a
    leggi particolari). L'idea francese del territorio pone
    la regione e il territorio al centro dell'immaginario
    culturale; l'idea americana del fast food tende a
    dissolverla; e non manca di avere una certa presa in
    Francia. Dal 1989, McDonald's ha aperto, ogni mese,
    cinque nuovi ristoranti in Francia. Si è passati dai
    150 esercizi del 1989 agli attuali 760.
    La maggior parte delle altre catene sono scomparse.
    Negli ultimi dieci anni, la catena americana ha rivolto
    la sua attenzione alle città più piccole e ha preso di
    mira i sobborghi periferici. Qui si è sviluppata l'ultima
    generazione di fast food, la metà dei quali è dotata
    di una "drive-in window" (che permette di ordinare e
    ritirare l'ordinazione senza uscire dalla macchina).
    McDonald's ritrova qui il suo "habitat naturale": si
    ricostituisce quello che, ad un certo momento, era
    l'ecosistema commerciale americano per
    antonomasia.
    Le "aree commerciali" che si sono sviluppate in
    Francia negli ultimi quindici anni hanno infatti
    ricreato nel paese del territorio quei sobborghi
    americani del dopo-guerra che furono all'origine del
    fenomeno fast-food. Queste aree commerciali hanno
    occupato le banchine di superstrade molto
    frequentate, che portano dalla periferia al centro,
    sovrapponendo un'estetica alla Las Vegas al vecchio
    schema del "borgo periferico". Si tratta di "aree"
    deregolamentate in cui, per un'estensione di
    chilometri, si susseguono strombazzanti cartelloni
    pubblicitari, concessionarie di automobili, grandi
    rivendite di prodotti per il bricolage o il giardinaggio,
    hotel e fast food. I colori e gli stili architettonici dei
    vari "Conforama", "Castorama", "Monsieur Meubles" e
    "Monsieur Bricolage" danno vita a una cacofonia
    visiva tanto ostentata quanto lo è negli Stati uniti. Si
    tratta di una vera e propria "Chernobyl culturale".
    È proprio la mancanza di particolarità a
    contraddistinguere questi luoghi. La loro uniformità è
    garanzia di riconoscimento immediato da parte di
    tutti i clienti, siano essi di Metz, Biarritz o Millau,
    perché la struttura stessa dell'edificio permette di
    distinguerli da lontano e velocemente (spesso vi si
    accede solo in macchina).
    E poiché le aree commerciali tendono a somigliarsi
    sempre più e a riunire la stessa gamma di merci, la
    loro presenza contribuisce a erodere il carattere
    distintivo del luogo. Negli Stati uniti, questo tipo di
    "sviluppo tentacolare" è avanzato in maniera così
    implacabile che sta scatenando violente reazioni.
    Tanto che i "nuovi urbanisti" mettono ora la "grande
    piazza europea" al centro del loro modello di sviluppo
    equilibrato (2)...
    Questo modello di urbanizzazione delle periferie
    costituisce un tassello importante nel mosaico del
    capitalismo selvaggio: fa da base alla versione
    francese della dottrina americana della "società
    senza classi", una versione diffusa tra il grande
    pubblico dalle incessanti statistiche sul consumismo
    dei lavoratori francesi, sull'aumento del numero di
    proprietari, sul disinteresse per la politica, la
    diversificazione dei modi vita, ecc. Una
    rappresentazione sociale che tende ad imporsi grazie
    a questi "nuovi villaggi", con i loro supermercati e le
    loro rivendite di articoli sportivi o di prodotti per il
    giardinaggio, tutti pronti ad appagare i bisogni
    privatizzati dei "sovrani individui" che li abitano.
    Contrariamente a quanto avviene negli Stati uniti, in
    Francia si registra ancora una certa opposizione a
    questa visione piatta della morfologia sociale, con
    idee alternative che tendono a dare maggiore
    importanza alla collettività e alla solidarietà e con
    rivendicazioni sociali che spesso assumono
    dimensioni nazionali.
    L'immagine della società incarnata da questo
    fenomeno di urbanizzazione delle periferie francesi è
    complementare al mondo utopico profuso da
    McDonald's, Topolino e altre icone della cultura di
    massa americana.
    Un mondo sospeso al di sopra delle divisioni di
    classe. A giudicare dall'esperienza statunitense,
    questa particolare rappresentazione è funzionale, in
    senso largo, al progetto sociale neo-liberale, che
    esige la virtuale liquidazione della figura del
    "lavoratore", in modo tale da elevare
    simultaneamente il soggetto "consumatore", intorno
    al quale si organizza tutta la vita economica. Negli
    Stati uniti, ciò ha portato alla proliferazione dei
    "diritti" riservati al consumatore - la "libertà" di
    scelta, di contrarre prestiti, di fare acquisti ogni
    giorno e a qualsiasi ora del giorno e della notte e, in
    generale, di godere, in materia di commercio al
    dettaglio, di un livello di "comodità" tanto esteso da
    rasentare l'assurdità.
    Il tutto va di pari passo con la sistematica
    dissoluzione dei diritti del lavoratore (precarietà,
    eccesso di lavoro, vigilanza sul luogo di lavoro,
    riduzione dei vantaggi sociali, caccia ai sindacalisti,
    rimessa in causa del diritto di sciopero) (3). Perché
    la totale flessibilità dell'orario di lavoro è una
    condizione vitale per l'esistenza di spazi di acquisto
    in momenti già riservati al tempo libero o alla vita
    familiare (domeniche, vacanze, serate).
    Questo progetto d'insieme ideologico ed economico è
    ad uno stadio più avanzato negli Stati uniti che in
    Francia. L'analisi del "sistema McDonald's" permette
    di capire che il neoliberismo non è legato a specifiche
    particolarità nazionali, ma a pratiche sociali. E, in tali
    condizioni, l'"americanizzazione" è altrettanto
    pericolosa negli Stati uniti che altrove.



    note:


    (1) Cfr. Rick Fantasia, "Fast food in France", Theory and Society,
    n°24, 1995.

    (2) Si legga William Kowinski, The Malling of America, Morrow, New
    York, 1985.

    (3) Cfr. il dossier sul lavoro e le libertà sindacali negli Stati uniti
    pubblicato da Le Monde diplomatique/il manifesto nel numero di
    novembre 1999.
    (Traduzione di S.L.)