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[Ecologia] Greenpeace: “Importazione energetica dagli USA totalmente sproporzionata”
- Subject: [Ecologia] Greenpeace: “Importazione energetica dagli USA totalmente sproporzionata”
- From: Alessandro Marescotti <a.marescotti at peacelink.org>
- Date: Thu, 4 Sep 2025 13:34:27 +0200
Italia, l’affare del gas Made in Trump
L’Italia, in linea con l’Europa, ha deciso di puntare sul petrolio e gas Usa esponendosi al ricatto politico di Trump. Sempre più lontana l’uscita dall’era dei fossili
L’Italia, in linea con l’Europa, ha deciso di puntare sul petrolio e gas Usa esponendosi al ricatto politico di Trump. Sempre più lontana l’uscita dall’era dei fossili
Il manifesto 04.09.2025
Simona Abbate*, Federico Spadini*
La strategia di Eni di voler continuare a puntare su petrolio e gas, malgrado l’aggravarsi della crisi climatica, è chiara ormai da anni, con gli investimenti in rinnovabili relegati a mera operazione di facciata. Non c’è relazione annuale che non ribadisca questo trend, e gli studi di partner indipendenti lo confermano; secondo un’analisi di Reclaim Finance, «il modello di business dell’azienda continuerà, nei prossimi anni, a basarsi sull’estrazione di petrolio e gas e sul Gnl», mentre Oil Change International boccia senza appello i suoi piani climatici, definendoli «gravemente insufficienti». Nonostante le forti operazioni di greenwashing, targate principalmente Plenitude ed Enilive, l’85% degli investimenti di Eni nel 2023 è andato al business fossile.
L’ACCORDO ANNUNCIATO durante l’estate da Eni – che lega l’azienda all’importazione di 2 milioni di tonnellate annue di Gnl dagli Stati Uniti per i prossimi venti anni – non è una sorpresa, ma l’ennesima conferma di una politica energetica miope e dannosa. Un patto che avrà gravi conseguenze ambientali e sanitarie, rinviando ancora la transizione verso le rinnovabili. Questo accordo, che vedrà il via all’import entro fine decennio, è l’altra faccia della medaglia delle politiche energetiche del governo Meloni, che continua a puntare sul gas fossile e sull’import di Gnl, fra cui soprattutto quello dagli Stati Uniti, che nel corso del 2025 sono diventati il nostro principale fornitore di Gnl, davanti a Qatar e Algeria. E proprio questo pericoloso intrico di interessi Italia-Stati Uniti è stato denunciato all’inizio dell’estate dagli attivisti di Greenpeace, che hanno protestato davanti al rigassificatore di Gnl al largo di Ravenna con uno striscione con scritto Burn, baby, burn – parodia del celebre Drill, baby, drill del presidente Usa – e i volti di Meloni e Trump. Il messaggio era chiaro: continuare a bruciare gas fossile non solo condanna il pianeta al collasso, ma espone il nostro Paese a instabilità geopolitica e fluttuazioni dei prezzi dell’energia, e ci sottopone al ricatto politico di presidenti come Trump.
UN AFFARE CLIMATICAMENTE INSOSTENIBILE. Greenpeace ha recentemente analizzato cinque terminali Gnl statunitensi, tra cui il CP2 di Venture Global, lo stesso dell’accordo di Eni relativamente alla Fase 1. Nessuno di questi supererebbe i test climatici del Dipartimento dell’Energia statunitense: tutti contribuirebbero ad aumentare le emissioni globali, minacciando gli obiettivi dell’Accordo di Parigi e aggravando gli eventi meteorologici estremi. L’analisi suggerisce che le future amministrazioni statunitensi dovrebbero revocare le autorizzazioni all’esportazione rilasciate sotto l’attuale presidente degli Stati Uniti Donald Trump e che gli altri Paesi non dovrebbero importare questo gas. Tra i progetti esaminati, il CP2 risulta il secondo più inquinante a parità di volume.
E IL DANNO NON SI FERMA AL PROCESSO di liquefazione, questo gas dovrà raggiungere l’Europa. Il trasporto via nave è soggetto al boil-off (evaporazione naturale del carico di Gnl) provocando notevoli perdite di metano, un gas climalterante decine di volte più potente della CO2. Eni conosce bene questo problema: già in passato, un’inchiesta di Greenpeace aveva documentato lo stesso fenomeno in un carico proveniente dal Congo.
IL COSTO UMANO DEL GNL. Gli impianti di Gnl non hanno solo impatti in termini di emissioni climalteranti, ma anche sanitari. Un altro studio di Greenpeace rivela che i terminali Gnl statunitensi emettono inquinanti letali per le comunità locali. Quelli già operativi causano 60 morti premature l’anno, con costi sanitari pari a 957 milioni di dollari. Se tutti i progetti in cantiere venissero approvati, le vittime salirebbero a 149 l’anno, con 2,33 miliardi di dollari di danni alla salute.
E fra i terminali analizzati nel report c’è sempre quello scelto da Eni: secondo lo studio, il CP2 Lng (Fase 1) potrebbe causare fra i 2,6 e i 4,6 decessi prematuri annui e un costo sanitario compreso in un range che varia fra i 40 e i 69 milioni di dollari. Ovviamente non tutti questi danni sono imputabili a Eni, che importerà solo 2 milioni di tonnellate sulle 28 che l’impianto potrà elaborare annualmente, ma comunque una parte della responsabilità di questi costi ricadrebbe anche sull’azienda italiana.
QUESTI STUDI DIMOSTRANO la necessità urgente di uscire dai combustibili fossili per salvaguardare la vita delle persone, ma con l’accordo annunciato da Eni si sta andando nella direzione opposta. Questa mossa rientra in una linea politica ben precisa, anticipata dall’incontro tra Meloni e Trump lo scorso aprile: le scelte energetiche italiane non rispondono all’interesse collettivo, ma agli appetiti delle lobby fossili. Perché legarci al gas di un Paese che usa i dazi come ricatto? Perché non investire massicciamente nelle rinnovabili, invece di dipendere da un combustibile che fa salire le bollette e alimenta la crisi climatica?
QUESTE DOMANDE SONO DIVENTATE più attuali che mai alla luce della volontà della Commissione Europea, guidata da Ursula von der Leyen, di importare 250 miliardi di dollari all’anno di petrolio, Gnl e combustibili nucleari dagli Stati Uniti per tre anni, come parte del patto per abbassare i dazi di Trump e influenzata dal lavoro di lobby statunitense. Una cifra totalmente sproporzionata rispetto ai reali bisogni europei e realisticamente non raggiungibile. Ancora una volta è chiaro che la soluzione per una vera indipendenza energetica, che rispetti gli obiettivi dell’Accordo di Parigi e salvaguardi il benessere delle persone senza impatti sul costo della vita, è uscire al più presto dall’era dei combustibili fossili (iniziando dallo stop alle nuove infrastrutture fossili) e investire in fonti rinnovabili, risparmio energetico e interventi per la transizione ecologica. La politica italiana ed europea devono tutelare gli interessi dei cittadini, non quelli delle grandi aziende inquinanti o dei Paesi produttori di combustibili fossili.
QUESTI STUDI DIMOSTRANO la necessità urgente di uscire dai combustibili fossili per salvaguardare la vita delle persone, ma con l’accordo annunciato da Eni si sta andando nella direzione opposta. Questa mossa rientra in una linea politica ben precisa, anticipata dall’incontro tra Meloni e Trump lo scorso aprile: le scelte energetiche italiane non rispondono all’interesse collettivo, ma agli appetiti delle lobby fossili. Perché legarci al gas di un Paese che usa i dazi come ricatto? Perché non investire massicciamente nelle rinnovabili, invece di dipendere da un combustibile che fa salire le bollette e alimenta la crisi climatica?
QUESTE DOMANDE SONO DIVENTATE più attuali che mai alla luce della volontà della Commissione Europea, guidata da Ursula von der Leyen, di importare 250 miliardi di dollari all’anno di petrolio, Gnl e combustibili nucleari dagli Stati Uniti per tre anni, come parte del patto per abbassare i dazi di Trump e influenzata dal lavoro di lobby statunitense. Una cifra totalmente sproporzionata rispetto ai reali bisogni europei e realisticamente non raggiungibile. Ancora una volta è chiaro che la soluzione per una vera indipendenza energetica, che rispetti gli obiettivi dell’Accordo di Parigi e salvaguardi il benessere delle persone senza impatti sul costo della vita, è uscire al più presto dall’era dei combustibili fossili (iniziando dallo stop alle nuove infrastrutture fossili) e investire in fonti rinnovabili, risparmio energetico e interventi per la transizione ecologica. La politica italiana ed europea devono tutelare gli interessi dei cittadini, non quelli delle grandi aziende inquinanti o dei Paesi produttori di combustibili fossili.
* Greenpeace Italia
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