[Ecologia] Nessi guerra-energia:Pagina Fbook e articolo:Libia,guerra civile finanziata anche dall'ENI



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Un articolo

http://www.pressenza.com/it/2016/04/libia-guerra-civile-finanziata-anche-dalleni/

Libia, una guerra civile finanziata anche dall' Eni
di Marco Palombo

Il 26 novembre 2014 il ministro degli esteri Gentiloni spiegava a Gad
Lerner, in una intervista televisiva pubblicata anche da Repubblica:

“..Se anche, semplificando, descrivessimo una Libia spaccata in due
fra Cirenaica e Tripolitania, bisogna sapere che nessuna delle due
parti è in grado di prevalere militarmente sull’ altra. La Banca
centrale libica continua a funzionare, paga gli stipendi ai dipendenti
pubblici sull’ intero territorio dello stato, utilizzando i proventi
di gas e petrolio che anche l ‘Eni continua a versarle…”

In Libia, dopo elezioni generali che si sono tenute nel giugno 2014,
hanno governato, fino a questi giorni, due esecutivi e due parlamenti,
combattendosi violentemente. Uno da Tobruk, sostenuto da Arabia
saudita, Egitto e paesi occidentali, l’ altro da Tripoli, appoggiato
dal Qatar e dalla Turchia. Tra le altre cose, a fine 2014, nonostante
l’ intensificarsi dei conflitti armati, la produzione petrolifera era
cresciuta di nuovo fino a circa 1 milione di barili il giorno, la più
alta dall’ inizio della guerra nel marzo 2011.

Sul Corriere della Sera il 12 novembre 2014, Franco Venturini aveva
proposto per fermare la guerra civile un embargo al petrolio e gas
libico. Di seguito alcune frasi del suo scritto:

“…due governi e due parlamenti che si delegittimano a vicenda, milizie
armate che si spartiscono territori ed aeroporti, tentazioni
separatiste, lotte feroci sui proventi petroliferi,…

…la nostra ambasciata a Tripoli è l’ unica delle “grandi” rimasta
aperta. L’ Eni continua ad operare, seppur tra mille difficoltà…

…..ma esiste una terza possibilità. La Libia, anche oggi vive delle
sue esportazioni di petrolio e gas. E’ quella la “cassa” attorno alla
quale ci si massacra……..un embargo energetico della Comunità
internazionale potrebbe costringere le milizie alla ragione, per
sopravvivere…”



Il 14 novembre avevo citato l’articolo del Corriere della Sera sul
sito Sibialiria in un pezzo intitolato “Libia, Eni che finanzia? ”. In
verità avrei voluto mettere il titolo “Libia, l’ Eni finanzia gli
integralisti (o i terroristi) islamici? “. Ero infatti convinto che l’
Eni, avendo impianti di produzione di petrolio nei territori di
entrambi i governi, pagasse anche al governo di Tripoli, sostenuto da
milizie islamiste, alleate anche a gruppi vicini all’ Isis, una sorta
di pizzo che i gruppi armati utilizzavano poi per la loro attività
militare.



Poi, come abbiamo visto all’ inizio, il 26 novembre Gentiloni
precisava nell’ intervista a Repubblica che era la Banca libica a
gestire i fondi pagati dall’ Eni, rispondendo così involontariamente
al dubbio che avevo espresso e dando una interpretazione dell’operato
Eni compatibile con la legalità. Io ritengo ugualmente immorale l’
atteggiamento tenuto dall’ Eni, perché comunque alimentava una guerra
sanguinosa. Non basta che questo possa anche essere stato fatto in un
modo legale. Come diceva Martin Luther King, tutto quello che hanno
fatto i nazisti era legale, mentre gli operai ungheresi nel 1956
avevano infranto le leggi. *



Tuttavia, il 2 gennaio 2015, anche lo stesso Gad Lerner, che aveva
intervistato Gentiloni nel novembre precedente, scriveva perplesso sul
suo blog:

“Da paura….guardate chi “protegge” la base Eni e la nostra ambasciata in Libia”



“Inquietante lettura l’ intervista rilasciata a Nancy Persia per il
“Fatto”,dal capo della milizia libica Fayr, giunta a controllare
Tripoli dalla sua roccaforte di Misurata. Salah Badi, questo è il nome
del signore della guerra libico che si contrappone al generale
filo-egiziano Haftar e ai suoi alleati della regione di Bendasi, si
presenta con un biglietto da visita che non può lasciare insensibile
l’ Italia: il compound oil&gas dell’ Eni, sito a Mellita, da dove
parte il gasdotto sottomarino che arriva fino a Gela “…è protetto oggi
dai nostri uomini”, dichiara Salah Badi “ proprio come l’ ambasciata a
Tripoli”

“Per noi l’ Italia è sempre la benvenuta perché abbiamo interessi in
comune”, aggiunge il nostro prima di compiacersi di un paragone
storico: “ Gli Italiani hanno riservato a Mussolini lo stesso
trattamento che i libici hanno riservato a Gheddafi. Noi abbiamo
esposto il corpo di Gheddafi per cinque giorni, gli italiani hanno
tenuto in piazza il corpo martoriato del Duce.”

Orbene, al di là di queste suggestive reminiscenze, la notizia è che
l’Eni e l’ ambasciata italiana si trovano sotto la “protezione”di una
fazione, Fayr, il cui comandante non smentisce l’ alleanza con fazioni
jihadiste vicine all’ Isis, e ammonisce l’ ONU: se non vi sbrigate ad
accogliere le nostre richieste, vi toccherà fare i conti direttamente
con i fondamentalisti.”



Quanto succede in Libia è la conferma di quanto scrisse nel 2004
Richard Heinberg nel suo “La festa è finita.” La scomparsa del
petrolio, le nuove guerre, il futuro dell’ energia. Concludendo poi
amaramente: “Pietà per il paese a cui restano ancora molte risorse…”.



“E’più probabile lo scoppio di guerre civili nei paesi meno
industrializzati che dispongono di risorse abbondanti, preziose e
accessibili come petrolio, gas naturale e diamanti, che in quelli
poveri di risorse. Questa conclusione si basa su uno studio
comparativo di Indra de Soya, dell’ Università di Bonn, sul valore
delle risorse naturali in 139 paesi e la frequenza delle guerre civili
dal 1990 in poi. La scoperta va contro l’ ipotesi inveterata secondo
cui la guerra intestina è più probabile nei paesi poveri di risorse.
Spesso gruppi rivali di paesi non industrializzati usano la ricchezza
ricavata dalla vendita di risorse – o dalle concessioni a società
straniere per sfruttare le risorse – per finanziare la lotta armata.
Pietà per il paese a cui restano ancora molte risorse…”



Si può contrastare la guerra civile anche senza la violenza



Per finire, come suggeriva nel novembre 2014 il Corriere della Sera,
ci sono anche strade senza violenza per contrastare la guerra civile
libica, così come tutti gli altri conflitti che stanno devastando il
Medio Oriente. Interrompere i rapporti economici con i gruppi armati,
quasi tutti assolutamente irregolari, potrebbe indurre le parti
combattenti a trovare soluzione pacifiche. L’Unione europea, insieme
agli Stati Uniti, ha fomentato i conflitti in corso in questi anni nel
M.O. ed ora si trova in enorme difficoltà, molto più degli USA, per i
profughi e il terrorismo che questi conflitti hanno causato. Fermare i
flussi finanziari verso i gruppi armati dovrebbe essere il primo passo
per costruire un futuro meno violento e, per l’ Unione Europa, una
situazione senza drammatiche emergenze.



Ne riparleremo, anche a proposito del referendum del 17 aprile,
insieme al tema della produzione di petrolio al di fuori del controllo
degli Stati nazionali e del ruolo determinante dell’ Arabia saudita
nel fissare le condizioni di tutto il mercato petrolifero mondiale.



Marco Palombo.