Incubo radioattivo nei rubinetti di Brescia



Fonte: Il Manifesto domenica 28 ottobre 2012
di Andrea Tomago



Un veleno silenzioso e immortale minaccia di inquinare per sempre la falda
da cui attinge l’acqua una delle città più ricche del Paese. Sotto un
sottile strato di terreno, nascosti e dimenticati in una cava dismessa
alle porte di Brescia, riposano 2mila metri cubi di scorie nucleari che
rischiano di entrare in contatto con le acque del sottosuolo. Sono polveri
di fusione dell’alluminio contaminate dal Cesio 137, un sottoprodotto
della fissione nucleare che continuerà a emettere radiazioni per i
prossimi 300 anni. Come siano arrivate nel cuore della Lombardia è una
vecchia storia di cui la popolazione non sa nulla, ma che gli imprenditori
dell’acciaio e i funzionari pubblici conoscono e custodiscono nel segreto.
Succedeva spesso dopo il crollo del Muro, quando il gioco era accaparrarsi
a tutti i costi i rottami convenienti dell’ex Unione Sovietica e nei
consigli di amministrazione delle acciaierie bresciane cominciavano a
sedere misteriosi intermediatori dell’Est Europa. Erano i primi anni ’90,
in piena Tangentopoli, e forse bisognava far sparire la scomoda eredità di
un incidente radioattivo provocato da una partita di alluminio
contaminato: qualche trafficante senza scrupoli ha scelto una cava dalla
storia oscura, già colma di rifiuti speciali pericolosi e tossico-nocivi,
l’ex cava Piccinelli.
Un buco di 4 anni
Gian Paolo Oneda, il geologo dell’Agenzia regionale per la protezione
dell’ambiente (Arpa), non nasconde la sua preoccupazione. Tra i tanti
isotopi radioattivi, il Cesio 137 è quello più solubile. Come se non
bastasse, il sottosuolo nei pressi dell’ex cava Piccinelli è «un acquifero
unico», senza strati d’argilla a protezione della falda profonda, da cui
pescano l’acqua i pozzi dell’acquedotto. Se il Cesio 137 si sciogliesse
nelle acque non vi sarebbero barriere tra l’acquedotto della città,
gestito dalla multiutility A2A, e la massa delle polveri radioattive. «Le
ultime analisi sulle acque di falda hanno confermato l’assenza di
radioattività», assicura il direttore dell’Arpa di Brescia Giulio Sesana.
Ma cosa possa essere accaduto negli anni scorsi non sa dirlo nessuno,
perchémancano i dati.

C’è un buco di 4 anni nei campionamenti, tra il 2007 e il 2011, proprio
nel momento in cui la falda di Brescia è risalita di 4 metri. Tanto da
costringere l’Agenzia per l’Ambiente nel 2011 a lanciare un allarme
agghiacciante: «Non si può escludere che la contaminazione radioattiva sia
stata ormai sommersa dalle acque sotterranee». Ora i calcoli, basati sui
dati di una discarica vicina, dicono di no. Per pochi centimetri. Ma la
minaccia più grave, più che dal sottosuolo, potrebbe venire dal cielo. I
teli in Pvc posati sul piazzale dall’Enea nel 1999, che servivano a
evitare che l’acqua piovana si infiltrasse nel terreno, a distanza di 15
anni sono diventati così fragili che «basta toccarli perché si
frantumino». Erano pensati per durare al massimo due anni. E siccome
l’acqua scorre ormai anche sotto i teli, sul terreno radioattivo sono
cresciuti alberi ad alto fusto che hanno riempito di sedimenti l’unico
pozzo di scolo delle acque: rami e foglie di piante che non sarebbero mai
nemmeno dovute crescere. E che nessuno si è curato di togliere. Un
pericolo «concreto e attuale» secondo i tecnici della Regione Lombardia,
che potrebbe avverarsi in qualsiasi momento.

A un passo dal disastro
La manutenzione e la bonifica del sito spettano al Comune di Brescia, ma
la giunta di Adriano Paroli (Pdl- Lega), che in quell’area sognava di
costruire il nuovo stadio, ha lasciato che la situazione arrivasse a un
passo dal disastro.

Ormai basta una pioggia un po’ più intensa perché le zone radioattive
rischino di rimanere sommerse proprio nel punto in cui la contaminazione è
maggiore: appena sotto i teli, dove le polveri raggiungono 1.055.000
Becquerel/kg (più di mille volte oltre il limite di legge per i terreni).
Una situazione che ha spinto l’Asl a chiedere al sindaco dimettere subito
in campo «ogni intervento d’urgenza a tutela della salute pubblica» dei
suoi 200mila concittadini: ma il sindaco di Brescia, ex parlamentare del
Pdl, ha affidato una consulenza da 9mila euro a uno studio legale milanese
affinché trovi il modo di cavarlo dall’impaccio ed evitare una bonifica di
«qualche milione di euro». Agli ultimi incontri in Prefettura è stato
chiesto l’intervento dei tecnici dell’Ispra, l’ente di ricerca del
Ministero dell’Ambiente, che sull’argomento mantengono il massimo riserbo.
Brescia, che già vive a contatto con l’inquinamento chimico da diossine e
Pcb causato dall’industria «Caffaro», sembra non volerne sapere di questo
ennesimo allarme ambientale. Ma anziché con un nuovo stadio, domani la
città potrebbe risvegliarsi nel bel mezzo di un incubo radioattivo.



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