| Romina 
      Velchi Ricca o povera, nel terzo millennio non c’è nazione che non 
      abbia guai con l’acqua. Che sia inquinata, che sia scarsa o, al contrario, 
      che provochi inondazioni, la preziosa risorsa è questione aperta, nel 
      primo come nel terzo o quarto mondo. Chi non soffre di problemi idrici, 
      insomma, alzi la mano. E’ giusto di qualche giorno fa l’impietosa 
      fotografia scattata in un rapporto annuale del Wwf, che mette sotto accusa 
      soprattutto le grandi metropoli. E di questo (ma non solo) si parlerà 
      nella “Settimana mondiale sulle risorse idriche” che si è aperta ieri a 
      Stoccolma.
 Secondo il Wwf, le cause della scarsità di acqua sono da ricercare nei 
      mutamenti climatici, nella crescente siccità e nell’estinzione delle zone 
      umide. Crisi, inoltre, che è aggravata dall’inquinamento e dalla cattiva 
      gestione delle risorse. Le città “ricche” sotto accusa sono, tra le altre, 
      Houston e Sydney dove il consumo di acqua è nettamente superiore al ritmo 
      di ricostituzione delle riserve, mentre a Londra la cattiva rete di 
      distribuzione porta alla dispersione dell’equivalente di 300 piscine 
      olimpiche al giorno. Per quello che riguarda i paese mediterranei, la 
      crisi è acuita dal turismo di massa e dalla mancanza di una cultura per la 
      conservazione delle risorse. Il Giappone è un altro dei paesi ricchi dove 
      l’abbondanza delle precipitazioni non basta e la contaminazione delle 
      acque costituisce un grave problema. 
       Ma il rapporto dedica un’attenzione particolare anche all’agricoltura, 
      tra le attività umane quella che a livello globale utilizza la maggior 
      parte delle risorse idriche: ben il 78%. Il Wwf sostiene che nei paesi 
      ricchi l’acqua destinata alle attività agricole è troppo a buon mercato e 
      per questo non ne viene fatto un uso responsabile, nonostante le 
      dichiarazioni di intenti. 
       Il delicato tema (l’acqua e l’agricoltura) sarà uno dei punti oggetto 
      di dibattito durante la settimana di Stoccolma. In occasione del summit, 
      l’International Water Management Institute (Iwmi) ha elaborato un rapporto 
      sull’uso della preziosa risorsa in agricoltura, mettendo l’accento sul 
      fatto (per altro noto) che la penuria d’acqua è più legata alla gestione 
      che alla disponibilità in natura. 
       Nel mondo, sarà ricordato nella capitale svedese, un abitante su tre 
      soffre di mancanza di acqua. Una mancanza che, sostengono all’Iwmi, è di 
      due tipi: quella dove le risorse idriche sono eccessivamente sfruttate, 
      con l’effetto di far abbassare il livello delle falde acquifere e 
      prosciugare i fiumi, e quella nei Paesi privi di mezzi tecnici o 
      finanziari (o politici, aggiungiamo noi) per “catturare” l’acqua (delle 
      piogge, dei fiumi), che si trova in abbondanza. Complessivamente, la 
      penuria d’acqua è dovuta per il 98% a cause umane e solo per il 2% a cause 
      naturali. E’ stato calcolato che oggi per produrre gli alimenti necessari 
      al consumo di una sola caloria ci vuole un litro d’acqua; ne servono 10 
      mila litri invece per produrre un chilo di carne. Ciò significa che nel 
      2050, quando la popolazione mondiale aumenterà (dagli attuali 6,1 miliardi 
      di abitanti) di 2-3 miliardi, le politiche di gestione dell’acqua dovranno 
      essere completamente riviste pena un’emergenza senza precedenti. 
       Questo è lo scenario su cui si muoveranno, per la maggior parte, gli 
      interventi alla settimana mondiale di Stoccolma, che durerà fino al 26 e 
      alla quale partecipano quest’anno oltre 100 organizzazioni e ben 1.500 
      partecipanti da 140 paesi. Al centro dell’evento annuale c’è il Simposio 
      sull’Acqua, una tavola rotonda che si svolge dal 1991 per discutere su 
      come migliorare l’ambiente idrico, come portare acqua e strutture 
      sanitarie di base alle popolazioni bisognose e come ampliare le conoscenze 
      attraverso l’innovazione e la ricerca. Perché è ormai dimostrato che i 
      problemi della povertà, della fame, delle malattie, del degrado ambientale 
      e delle discriminazioni sessuali possono trovare soluzione assicurando a 
      tutti, e in modo equo, l’accesso all’acqua. 
 
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