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rassegna stampa: Giallo Parmalat
- Subject: rassegna stampa: Giallo Parmalat
- From: "Altragricoltura" <altragrico at italytrading.com>
- Date: Sat, 3 Jan 2004 23:55:58 +0100
a cura di AltrAgricoltura Nord Est ---------------------------------- Tratto da Panorama.it Giallo Parmalat di Angelo Pergolini 19/12/2003 Ugland House, Cayman, casella postale 309: è l'ultimo indirizzo conosciuto dove sono finiti (e svaniti) quasi 7 miliardi di dollari. Sei cronisti di Panorama hanno ricostruito tra due continenti il viaggio di un fiume di soldi attraverso 260 società. Scoprendo anche una struttura parallela all'azienda. Posseduta dall'ex direttore finanziario del gruppo di Collecchio Questa inchiesta è il frutto del lavoro di sei cronisti di Panorama che hanno seguito le tracce lasciate dal denaro che, dalla Parmalat, è approdato alle Cayman dopo aver girato da un continente all'altro. All'inchiesta hanno partecipato: Anna Boiardi (Parma), Sabrina Cohen (Cayman), Marco De Martino (New York), Antonio Rossitto (Lussemburgo) e Roberto Seghetti (Malta), coordinati da Milano da Angelo Pergolini. Fra l'alfa e l'omega di questa storia, fra la palazzina gialla in stile liberty di Collecchio (Parma), sede della Coloniale, la società attraverso cui Calisto Tanzi controlla la Parmalat, e il resort circondato da palme di Georgetown (Grand Cayman, British West Indies, Caraibi) dove è domiciliato il «fondo» Epicurum ci sono 5 mila miglia di distanza, 15 ore d'aereo (via Londra) e 6 di differenza di fuso orario. Ci sono, soprattutto, 6,9 miliardi di dollari che mancano all'appello. Forse incagliati nella off-shore caymana Bonlat. Forse evaporati sotto il sole dei tropici. Oppure inghiottiti in una casella postale: Po box 309. Ma ci sono anche, come hanno scoperto gli inviati di Panorama, non una bensì due reti di società off-shore. La prima in qualche modo riconducibile al gruppo Parmalat. La seconda, che si sovrappone all'altra come il guanto alla mano, fa capo invece a Fausto Tonna, 52 anni, per 15 onnipotente direttore finanziario del gruppo Parmalat. In questo arco di tempo il gruppo di Collecchio ha conosciuto una crescita smisurata, passando da 7 miliardi di lire di fatturato a 7,5 miliardi di euro. Ma la testa, la società Coloniale, è rimasta piccola: ha un capitale di appena 190 milioni. Per sostenere lo sviluppo, e mantenere il controllo, Tanzi avrebbe dovuto immettervi ingenti capitali. Che non aveva o comunque non voleva tirar fuori. Così la trasformazione in multinazionale è avvenuta seguendo un'altra strada: quella della finanza. E del debito. Oggi, è la prima valutazione degli analisti che guidati da Enrico Bondi stanno scavando nei bilanci della società, il debito dovrebbe superare i 9 miliardi di euro. E i bond collocati sul mercato sono complessivamente 7,2 miliardi. Cifre da far tremare i polsi. Ma il peggio non è il «passivo» quanto l'attivo del gruppo. Che non c'è. O meglio: è sparito quasi completamente. Dove? In una incredibile rete mondiale di società (Panorama ne ha censite, sicuramente per difetto, oltre 260). Servivano per schermare spericolate operazioni finanziarie, acquisizioni e cessioni infragruppo a seconda delle esigenze di bilancio. E operazioni back to back che consentono di esibire nei conti degli attivi inesistenti. E di far sparire, lontano dall'occhio della centrale rischi e quindi della Banca d'Italia, quelli veri. Una pratica che contribuì, e molto, al disastro della Ferruzzi-Montedison. In sostanza si tratta di ottenere un credito, poi di depositarlo presso una banca estera. A quel punto la banca estera, avendo in garanzia quei soldi, concederà facilmente altri fidi, da convogliare poi in qualche off-shore del gruppo. Sui bilanci resterà così il credito ottenuto inizialmente, un'apparente liquidità che potrà essere utilizzata per garantire, per esempio, nuove emissioni obbigazionarie. Ma quei soldi depositati sono solo un'apparenza, il frutto di un gioco di specchi. Questo è precisamente quanto è avvenuto nel gruppo Parmalat. Con l'appoggio di grandi istituzioni finanziarie, fra cui la filiale di New York della Bank of America e il gruppo Citigroup. Torniamo al mistero dei 6,9 miliardi di attivo svaniti e al cuore del gruppo: la Parmalat holding. Tanzi, come abbiamo visto, la controlla attraverso la finanziaria di famiglia Coloniale. Ed è il maggiore azionista della Coloniale tramite una srl, la Utilitas. Finito? No. La Utilitas è posseduta dalla Acqua sa domiciliata in Lussemburgo. Che a sua volta fa capo alla Luxemburg management company group e alla Lm consulting company: ultimo domicilio conosciuto, Virgin Islands. Questo è sostanzialmente cosa c'è sopra la Parmalat finanziaria. Complicato? Niente, rispetto a quel che c'è sotto. Sotto c'è la Parmalat spa, la principale società industriale, quella da cui esce il latte. Ma attenzione: è proprio a questa azienda che fa capo Soparfi, una finanziaria lussemburghese. Domiciliata dove non si sa. Nel palazzo vicino alla stazione indicato nei documenti ufficiali (place de la Gare, 5) l'inviato di Panorama non ne ha trovato traccia. E il portiere assicura: «Lavoro qui da molti anni. Mai sentito nominare né Parmalat né Soparfi. Italiani non ne ho mai visti». Per proseguire la caccia al tesoro basta andare al Registre de commerce et des sociétés. E dagli archivi ecco spuntare le carte di Soparfi. Che dicono due cose. Primo: la società è il perno di frenetiche compravendite infragruppo, in tutte le parti del mondo. Secondo, ed è questa la cosa che più ci interessa adesso, la Soparfi controlla una società maltese, la Parmalat Malta holding, ltd. Anche alla Valletta la prima sorpresa è un indirizzo. Quello ufficiale della Malta holding è: Colonnello Savona street, 1. Ma a quel recapito c'è la sede della Deloitte & Touche, la società di revisione del gruppo Parmalat. Un domicilio decisamente sconveniente. «Ma no» minimizza Andrew Manduca, partner della Deloitte, «è solo un domicilio formale. Come per un altro centinaio di società». E indica l'indirizzo, decisamente virtuale, di Malta holding: una stanza di tre metri per due. Vuota. Il recapito vero della società maltese, o meglio quello del suo amministratore, Ian Stafrace, è in un ufficio sgarrupato del centro storico della Valletta, in Strait street. La strada di Malta più conosciuta dai marinai della flotta di Sua maestà britannica, quando l'isola faceva parte dell'impero: era quella dei bordelli. Stafrace dice, questa è la sintesi di un'ora di conversazione, che non può dire nulla. Non resta di nuovo che cercare le carte, depositate negli archivi del Registry of companies. la Parmalat trading. Ma soprattutto la Parmalat capital finance, una off-shore domiciliata a Malta (sempre nello sgabuzzino della Deloitte) e registrata a Georgetown, Gran Cayman. Il suo luogo di nascita è Ugland House, sede dello studio legale Maples & Calder. L'indirizzo: PO box 309. Ma leggendo le carte si scopre molto di più. Che dopo essere sbarcata a Malta, nell'aprile del 2002, Capital finance fa due sole cose. Prima compra una società caymana, la Bonlat financing corporation. Costo dell'operazione: 2 (due) dollari. Poi si trasforma in una sorta di imbuto alla rovescia: e convoglia oltre Atlantico, nella pancia della Bonlat, una somma smisurata: 6,9 miliardi di dollari. Per l'esattezza: 6.942.178.135, iscritti a bilancio come «loan capital», capitale in prestito. È quasi l'equivalente dell'intero attivo di tutto il gruppo Parmalat. Investito come? Interamente in interest swap, ovvero in contratti derivati che scommettono sui differenziali fra tassi d'interesse. Più che un rischio, una follia. Non resta, a questo punto, che volare oltre Atlantico, a Gran Cayman, e cercare la Bonlat. Dove? Ma che domanda: a Ugland House. Dove ha sede, come ormai noto, anche il «fondo» Epicurum, dentro cui la Parmalat ha versato 590 milioni di dollari. Qui non siamo in Strait street: reception, vetri blindati, moquette verde sul pavimento e pareti coperte d'ebano. L'avvocato Aristos Galatopoulos, uno spilungone secco secco ma cordiale, non può dire molto. Anzi, non dice niente. Glielo impone, si scusa, la legge delle Cayman. La situazione Parmalat-Bonlat? «È piuttosto intricata». I rapporti Parmalat-Epicurum? «Sono veramente complicati». Grazie. Ma se la puntata a Ugland House non porta a nulla, a un tavolo del Pappagallo, il ristorante di Georgetown più frequentato dalla comunità finanziaria, qualche elemento salta fuori. A parlare è un banker americano, giovane ma assai navigato sulla rotta Wall Street-Cayman-Virgin Islands. Spiega, dietro la garanzia dell'assoluto anonimato, di avere preso parte (ma non precisa a che titolo) a svariate operazioni. Fra cui Epicurum. Dice che non si tratta di un fondo comunemente inteso, ovvero con delle quote più o meno liquidabili, comprate da vari soci. L'Epicurum è una società, esente da «registration». Può dunque fare quel che gli pare. E alle spalle avrebbe un progetto: quello di operare in joint-venture con la Parmalat. L'idea era quella di entrare in mercati dove la Parmalat è assente o debole. Nell'operazione, il gruppo di Collecchio avrebbe messo marchi e tecnologie, in cambio di royalty. I promotori dell'Epicurum avrebbero provveduto a raccogliere i capitali. Fino a un tetto autorizzato di 7 miliardi di dollari. Guarda caso, un contenitore perfetto per quei 6,9 miliardi confluiti in Bonlat. «Ma poi» commenta il banker «è saltato tutto e la società è in liquidazione». Ma la Parmalat vi ha comunque investito 590 milioni di dollari: torneranno mai indietro quei soldi? «Soldi? Mah, non è detto che Parmalat abbia investito del cash. Potrebbero essere contratti finanziari, obbligazioni, crediti...». La conversazione con il banker è terminata. La caccia al tesoro al capolinea. Ma solo apparentemente. Perché l'Epicurum con gli «attivi» conferiti dalla Parmalat un investimento l'ha fatto. No, non in bond con rating A, come garantito dalla società di Collecchio, ma in una società lussemburghese, la Third Millennium. A questo punto non resta che ricominciare il gioco dell'oca dal punto esatto in cui era iniziato: il Registre de commerce e des societés del Lussemburgo. E allora salta fuori che la Third Millennium è stata fondata da una persona che con la finanza off-shore della Parmalat ha molto, ma molto a che fare: Fausto Tonna. Il quale costituisce la società in compagnia della moglie. Ma a Tonna e signora fa anche capo una srl di Collecchio, la Racemo. E che cosa fa questa società con 10 mila euro di capitale? Possiede una off-shore maltese, la Rtm Malta holding. Che a sua volta controlla un'altra società maltese, la Rtm winery holding. Ma facendo due passi indietro e tornando a Third Millennium scopriamo che la finanziaria lussemburghese possiede una società caymana, la Sailor ltd. Scommettiamo a questo punto che indovinate il suo domicilio? Sì, è proprio Ugland House. E l'indirizzo? Ma è ovvio: Po box 309. Adesso, ritornati al capolinea caraibico, mettiamo un po' d'ordine in questa storia. La ragnatela Parmalat, dove si sono smarriti 6,9 miliardi di dollari di attività, parte da una srl di Collecchio, si snoda fra Lussemburgo e Malta. Infine approda alle Cayman. Quella personale di Tonna ricalca sorprendentemente lo stesso itinerario: Collecchio, Lussemburgo, Malta, Cayman. La domanda è scontata: perché? Per quale motivo l'ex direttore finanziario della Parmalat ha costruito una sua personalissima rete off-shore? Infine: ci sono altri punti di contatto, oltre a Epicurum, fra queste due reti? Sono interrogativi che, c'è da scommetterci, si sta ponendo anche Bondi. E forse lo stesso Tanzi. Che ha costruito un impero partendo da una salumeria fra le nebbie di Collecchio. E lo ha perso in una casella postale, al sole delle Cayman. ----------------------------------------------------------- Il banchiere imprenditore e «l'invidia» Carriera di Luciano Silingardi, presidente della Fondazione Cariparma e grande amico di Tanzi Ha un sorriso bonario, il tono affabile e un'inconfondibile cantilena parmigiana. Ma le parole sono lapidarie: «Con Calisto e con la Parmalat, mentre ero direttore della Cassa, non ho mai avuto rapporti finanziari. Niente di niente». Luciano Silingardi, fino al giugno 2000 presidente della Cariparma e Piacenza, ora al vertice della fondazione della stessa banca, liquida così le voci che lo vogliono «burattino finanziario» del re del latte, sempre pronto a scucire soldi nel momento del bisogno. E delle sue recenti dimissioni dal consiglio d'amministrazione della Parmalat, dove era presidente del comitato per il controllo interno, dice: «Ho fatto solo e sempre il mio dovere. Il fondo Epicurum, fino a novembre, non sapevo nemmeno cosa fosse». È nella bufera, Luciano Silingardi, suo malgrado. Lui che vorrebbe sempre spenti i riflettori perché «la pubblicità porta invidia». È sui giornali, assieme all'amico Calisto, conosciuto sui banchi dell'Istituto tecnico Melloni, e poi frequentato fino a diventarne il commercialista di fiducia. È stato Tanzi, dicono, il fautore della sua fortuna: una telefonata a Ciriaco De Mita e Silingardi inizia la scalata alla Cassa di risparmio. Lui ammette l'aiuto, ma «se tutti i raccomandati avessero ottenuto i miei risultati...». Silingardi ne ha fatta di strada: una serie di fusioni eccellenti hanno fatto crescere la Cariparma da banca di provincia a istituto bancario di prim'ordine, fino al matrimonio con la Banca Intesa, nel '98. Ha poi ricoperto cariche strategiche, per un anno nel cda della banca di Giovanni Bazoli, poi nel 2001 al tavolo dei consiglieri di Parmalat. «Io sono uno di quei presidenti operativi» ha annunciato Silingardi, «un banchiere imprenditore». Poca vita sociale, però, qualche puntata al circolo di tennis Castellazzo, sempre in tribuna a tifare il Parma: «Tutto banca, famiglia e Dc» lo hanno dipinto, per quei trent'anni di tessera del partito, e la dedizione alla moglie Maria Grazia e ai due figli, Andrea e Marco, che mandano avanti lo studio da commercialista. E poi, nonostante tutto, qualche nemico. E qualche neo: l'acquisizione del Credito commerciale, nel novembre del '93, comprato al doppio del suo valore dal Monte Paschi. Mossa, dicono, sponsorizzata dall'amico Tanzi. E una storia di spionaggio nei confronti di un ex dipendente, Gianluca Zanichelli, di un giornalista della Voce di Parma e di un industriale parmigiano, Luigi Derlindani, risolta con un'assoluzione per prescrizione. «Sciocchezze e falsità. C'è sempre qualcuno un po' invidioso» minimizza lui. (A. B.) ----------------- N.B. se volete essere cancellati da questa lista scrivete a altragricoltura at italytrading.com
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