la spiaggia scomparsa - accesso negato



da boiler di martedi 3 luglio 2001

 
La spiaggia scomparsa

elaborazione da “Mare Monstrum 2001”, dossier di Legambiente
  


 UN METRO DI SPIAGGIA in meno ogni anno. È questo il ritmo implacabile con
cui procede l’erosione di gran parte dei circa 7.500 chilometri di coste
della nostra penisola. Un fenomeno che assume ormai dimensioni drammatiche,
determinato da un utilizzo delle aree costiere da parte dell’uomo spesso
eccessivo e traumatico. La destabilizzazione dell’ambiente costiero è il
frutto bacato di diversi fattori, a partire dall’intensa antropizzazione a
fini turistici e industriali, e dall’impoverimento dell’apporto di
materiale solido dei fiumi al mare, determinato dalla massiccia estrazione
di materiale dagli alvei e dagli interventi di regimazione dei corsi
d’acqua, che in molti casi si sono rivelati inutili o dannosi.

Normalmente, infatti, l’azione continua delle onde sulla riva viene
bilanciata dalla formazione di nuove spiagge e banchi di sabbia, a seguito
dei sedimenti trasportati dai fiumi e quindi deposti dal mare sulla costa,
oppure dall’interazione di onde e vento con gli ambienti dunali e rocciosi.
Questo processo naturale di reintegrazione viene però notevolmente
ostacolato dalle attività umane. Quando si costruisce una diga lungo un
fiume, per esempio, i sedimenti un tempo trasportati fino al mare vengono
trattenuti nel bacino artificiale. Sul banco degli imputati, dunque, la
cementificazione dissennata del territorio che in molti tratti ha
interrotto, o ridotto in misura drastica, il processo naturale di
ripascimento delle spiagge.

L’attacco alle coste procede simultaneamente dalla terra ferma e dal mare:
all’effetto delle infrastrutture realizzate sui fiumi e delle escavazioni
condotte nei loro letti, infatti, si somma l’impatto di porti e porticcioli
protesi sull’acqua, che modificando il gioco delle correnti marine hanno
privato delle loro spiagge zone tradizionalmente ricche di sabbia. Questa
vera e propria aggressione si traduce in una costante riduzione delle aree
umide della costa e delle dune sabbiose. Così dei circa 700 mila ettari di
paludi costiere esistenti in Italia all’inizio del Ventesimo secolo, nel
1972 ne restavano 192 mila e nel 1994 meno di 100 mila. Stesso discorso sul
fronte dei sistemi dunari, la cui perdita è stata altissima in tutti gli
Stati che si affacciano sul Mediterraneo, Italia in testa: quattro quinti
delle dune della penisola, infatti, nel periodo compreso tra il 1900 e il
1990 sono state perdute. L’erosione delle coste interessa tutte le regioni
bagnate dal mare, ma la situazione risulta essere particolarmente grave in
Calabria e Campania, dove la maggioranza della fascia costiera è
caratterizzata da un rischio molto elevato. Arenili che in passato godevano
di notevoli spazi in profondità per stabilimenti balneari e file di
ombrelloni, infatti, a distanza di pochi decenni sono ridotti a strette
lingue di sabbia.Accesso negato

elaborazione da “Mare Monstrum 2001”, dossier di Legambiente
  


 UN SENTIERO CROLLATO e le recinzioni costruite dai privati rendono ormai
impossibile l’accesso alla Spiaggia di Galenzana all’Isola d’Elba. Un
cancello di ferro sbarra l’ingresso alla spiaggia della Vedova in pieno
Parco regionale del Conero, vicino Ancona. Un biglietto d’ingresso
“obbligato” regolamenta l’ingresso all’ex-spiaggia libera delle Scissure
vicino Gaeta. Un club privato sbarra la deliziosa spiaggetta di Copanello
in Calabria. Sono questi alcuni dei casi più eclatanti di violazione al
diritto di accedere liberamente alle spiagge e alle coste. Una disputa che
da anni oppone da una parte ambientalisti e comitati di cittadini che
rivendicano il diritto alla spiaggia, dall’altra proprietari di residence,
di villaggi vacanze, di stabilimenti balneari e di ville con annessa
spiaggia privatizzata.

Nonostante nel mese di febbraio la Corte di Cassazione, con la sentenza per
il caso dello Sbarcatello all’Argentario, abbia definitivamente messo fine
alla lunghissima querelle dei liberi accessi al mare, dichiarando che
«nessuna proprietà privata e per nessun motivo può impedire l’accesso al
mare alla collettività se la proprietà stessa è l’unica via per raggiungere
una determinata spiaggia» sono ancora molti i casi di “privatizzazione” di
fatto che impediscono ai cittadini di usufruire liberamente di spiagge,
cale e scogliere, anche se queste appartengono al demanio statale e sono
quindi funzionalmente destinate alla pubblica fruibilità. Si passa da
Lerici, in Liguria, a Itri nel Lazio, da Capo d’Arco sull’isola d’Elba a
Capo Gallo in Sicilia. Piccoli e grandi soprusi che evidenziano un
malcostume, anzi un vero e proprio reato, tutto italiano.