porti e porticcioli



da boiler.it di martedi 3 luglio 2001

 
Fronte del porto

elaborazione da “Mare Monstrum 2001”, dossier di Legambiente
  
 IN EPOCA ANTICA, i porti marittimi rappresentavano una risorsa importante
per i territori che li ospitavano, essendo il crocevia dei percorsi dei
mercanti, depositari di beni e conoscenze di difficile reperibilità in un
mondo tutt’altro che globalizzato. Con l’avvento della società
contemporanea questo ruolo è andato progressivamente sbiadendo, ma i porti
per molte località del litorale italiano continuano a costituire una
ricchezza molto importante. Non solo dal punto di vista commerciale, ma
anche, e soprattutto, come volano dell’industria che ruota attorno al turismo.

Dietro a questo scenario idilliaco, però, spesso si cela una realtà ben
diversa. Una realtà in cui i porti si trasformano nell’ennesima occasione
per speculazioni a molti zeri, ai danni delle casse pubbliche, e in una
vera e propria aggressione ai danni del patrimonio naturale. Così in alcuni
casi decine di porti e porticcioli spuntano lungo la costa a poche decine
di chilometri l’uno dall’altro come funghi dopo un temporale, in barba alla
logica e a qualsiasi seria valutazione di impatto ambientale. In altri
casi, invece, strutture portuali progettate per rispondere a reali o
presunte esigenze finiscono impantanate nella palude della burocrazia e dei
ritardi incomprensibili, che trasformano vaste porzioni di territorio in un
cantiere in pianta stabile. In altri casi ancora, porti realizzati facendo
ricorso a stanziamenti dell’erario finiscono inspiegabilmente nelle mani di
privati che li gestiscono a proprio piacimento. Il risultato è quasi sempre
lo stesso: fiumi di denaro pubblico gettati al vento e nelle tasche degli
speculatori, mentre il mare e i litorali agonizzano, insidiati sempre di
più dal cemento.

È quanto avvenuto, per esempio, in Sardegna, dove, in assenza di un
adeguato controllo, gli interessi di progettisti e imprese costruttrici
hanno spinto verso la realizzazione di infrastrutture sovradimensionate,
spesso inadatte al loro ruolo. Ma la tendenza è la stessa ovunque: negli
ultimi quattro anni sono stati realizzati nel nostro Paese 36 nuovi porti
turistici contro i 44 costruiti nei cinquant’anni precedenti. Sono 35 i
progetti (per un totale di 17 mila posti barca) che hanno già ottenuto
l’autorizzazione, mentre altre cinquanta richieste (altri 20 mila posti
barca) attendono il sì definitivo dalle Conferenze di servizi. Il tutto si
andrà a sommare ai 110 mila posti barca già esistenti. E questo, quando
anche secondo l’Ucina, l’organismo della Confindustria che raggruppa gli
imprenditori della nautica, su intere regioni del nostro Paese la
disponibilità dei posti barca è più che sufficiente a soddisfare le
esigenze della domanda: è il caso del Lazio, dell’Abruzzo e della Puglia.