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ambiente bush o seattle
- Subject: ambiente bush o seattle
- From: Andrea Agostini <lonanoda at tin.it>
- Date: Sat, 07 Jul 2001 10:19:24 +0200
dalla rivista del manifesto luglio 2001 Materiali per Genova Massimo Serafini BUSH O SEATTLE A1 prossimo G8 di Genova, sui temi ambientali e in particolare su come fronteggiare i mutamenti climatici, causati dall'aumento della concentrazione dei gas serra in atmosfera, si riaprirà il confronto e forse lo scontro, interrottosi alla conferenza dell'Aja fra le posizioni americane e quelle europee. I1 nodo irrisolto è la ratifica o meno del protocollo di Kyoto che, va ricordato, per avere valore legale, deve essere sotcoscritto da un numero di paesi industrializzati rappresencativo di almeno il 55% delle emissioni dei gas clima-alteranti. L'importanza della posta in palio e' evidente, come chiara è la differenza fra le due posizioni. Realizzare, infatti, gli obiettivi previsti dal protocollo, significa dover ridurre entro scadenze precise le emissioni in atmosfera dei gas clima-alteranti, in altre parole i consumi d'energia fossile, e di conseguenza dovere mettere mano a profonde riforme strutturali del sistema dei trasporti e di quello produttivo. Non farlo significa affidare il controllo del clima al mercato o ad ipotetiche e future scoperte tecnico-scientifiche in campo energetico e tecnologico. Dalla soluzione che prevarrà non dipende solo la futura qualità ambientale del pianeta, ma anche la natura dei rapporti fra la parte ricca e quella povera del mondo, le prospettive della pace, nonché la possibilità di dare un diverso indirizzo ai processi di globalizzazione, oggi governati dal liberismo e dal mercato. Proprio perché la posta in palio è cosl alta sarà decisivo partecipare ed essere in tanti a Genova, durante il G8, ed esserci in modo pacifico e insieme determinato per sostenere le ragioni dell'ambiente, della pace e della qualità sociale dello sviluppo. Dall'esito negativo della conferenza dell'Aja, molte cose sono cambiate. Si è, in primo luogo aperta, una fase economica assai incerta, nella quale prevalenti sono i segnali di crisi, soprattutto dell'economia americana. Non c'è dubbio che, le evidenti difficoltà dell'economia mondiale hanno moltiplicato le resistenze, già forti, a Kyoto. La seconda novità è la vittoria di Bush nelle presidenziali americane. Il tratto fortemente liberista e antiambientale della sua politica e' apparso subito evidente. Bush ha innanzi tutto, fatto carta straccia del protocollo di Kyoto e successivamente ha varato un piano energetico (sfruttamento dei giacimenti petroliferi dell'Alaska e massiccio rilancio dell'energia nucleare) che, se attuato, porterà a un incremento mondiale delle emissioni di gas clima-alteranti e a un aggravamento della, già drammatica, situazione ambientale del pianeta. L'Europa, pur ricercando nuovi spazi di trattativa con gli Stati Uniti, ha deciso di procedere unilateralmente nell'applicazione di Kyoto. Ma critiche alla posizione americana sono venute anche dal nuovo governo giapponese, nonché dalla Cina e dalla Russia. Le posizioni di Bush sulla questione ambientale sono apparse dunque fortemente isolate e impopolari, anche fra gli americani. Un isolamento, però, più apparente che reale. In aiuto alle tesi americane è arrivata la vittoria del centro-destra nelle elezioni italiane del 13 maggio. Fra le prime dichiarazioni di Berlusconi c'è stata quella di pieno sostegno a Bush e alla sua politica ambientale: «Applicare Kyoto avrebbe effetti trascurabili per 1'ambiente e devastanti per 1'economia e I'occupazione». Ne consegue che, sulla decisiva questione ambientale, la posizione europea al G8 di Genova sarà meno unita e quella americana meno isolata. Va però rilevato che, sia al vertice Nato di Bruxelles, sia in quello successivo di Góteborg, Berlusconi ha dichiarato solennemente che il nostro paese rispetterà gli impegni di Kyoto (contraddicendo, com'è suo costume, quanto detto una settimana prima). Ha però voluto aggiungere - unico fra i capi di Stato europei - questa poco rassicurante affermazione: «anche se poi i protocolli si possono cambiare se intervengono proposte nuove, come quella americana, su cui tutti devono discutere». Per ora, né a Bruxelles né a Goteborg, sono emerse nuove proposte da parte di Bush, anzi in quelle sedi egli ha ribadito che gli Stati Uniti non ratificheranno , mai Kyoto. L,'unica concessione fatta agli europei e', per la prima volta, il riconoscimento che 1'effetto serra non ' è solo un problema reale e grave ma in larga parte è anche causato dalle attività umane. Si tratta sicuramente di un passo avanti, dovuto al fatto che gli scienziati della National Academy of Science, cui lui aveva espressamente richiesto un parere, hanno concluso confermando le tesi del gruppo intergovernativo delle Nazioni Unite (Ipcc) che ha ribadito la stretta correlazione fra aumento delle emissioni di CO2, dovute alle attività dell'uomo, e i drammatici mutamenti climatici in atto. Nessuna nuova proposta, dunque, se non un generico appello ai paesi europei a investire in ricerca scientifica. Forse la nuova proposta cui si riferisce Berlusconi nelle sue dichiarazioni, è quella presentata da un dirigente deI ministero dell"ambiente,Corrado Clini (iniziativa di cui hanno parlato i giornali qualche settimana fa), a un meeting fra tecnici italiani e americani, tenutosi a New York il 18 e 19 maggio scorsi. II contenuto di questa nuova `base di discussione', con 1'obiettivo di coinvolgere nuovamente gli Stati Uniti e far loro prendere impegni precisi e comuni per fronteggiare le anomalie climatiche, è il seguente: si propone di eliminare 1'obbligo, da parte dei paesi industrializzati, di realizzare determinate riduzioni delle emissioni di gas clima-alteranti (1'Italia entro il 2012 dovrebbe ridurre le emissioni rispetto a quelle del 1990 del 6,5%, mentre la riduzione media per tutti i paesi industrializzati sarebbe al 2012 del 5,2%). Invece di limitare le emissioni annuali, si propone di definire un limite assoluto alla concentrazione di COz in atmosfera, pari a 450-550 ppm (parti per milione), ritenuto dai proponenti, sopportabile dagli ecosistemi naturali e dal1'uomo. È da tenere presente che, rispetto alla concentrazione di 270-280 ppm dell'era preindustriale (prima del 1850) già oggi 1'atmosfera terrestre presenta una concentrazione molto più elevata, pari a 370 ppm. Spostando il limite a 450-550 ppm, si permetterebbe ai paesi industrializzati, vale a dire quelli che, secondo il protocollo di Kyoto, avevano 1'obbligo di ridurre le emissioni, di continuare come prima per altri 15-20 anni, anzi di aumentarle, passando dagli attuali 6 GtC (Giga-tonnellate di Carbonio) fino a 11 GtC I'anno. Solo dopo aver portato il mondo a questo limite estremo sarebbe prevista una vera e propria terapia d'urto contro le emissioni di COZ, che nel giro di 50 anni dovrebbero essere ridotte dell'80%. Per ottenere questo risultato drammatico si propone per i prossimi 15 anni di spingere al massimo la ricerca scientifica nel campo delle fonti energetiche rinnovabili, ma soprattutto sul nucleare, ritenuto l'unica vera soluzione al problema energetico dell'umanita'. Ci si affida alle scoperte scientifiche del futuro, chiamate a risolvere i due grandi problemi del nucleare: quello delle scorie radioattive e quello della sicurezza dei reattori, fingendo di ignorare che la scienza si trova lontanissima da una soluzione su ambedue i versanti. L'idea di investire miliardi di dollari per ricercare il reattore intrinsecamente sicuro non regge ad alcuna valutazione costi- benefici, visto che, con risorse molto minori, si potrebbe generare I'energia e il calore necessari alla societa' e al suo sviluppo con le fonti rínnovabili. Più grave e quasi delirante è la proposta di lasciar crescere le concentrazioni dei gas clima-alteranti fino a 450-550 ppm. Basta pensare, per respingerla, che il solo passaggio dai 280 ppm dell'epoca preindustriale ai 370 attuali ha provocato gravi scompensi climatici, che hanno gi~ sconvolto numerosi paesi della terra e in particolare quelli più poveri. Il rapporto 2000 dell'organizzazione meteorologica mondiale segnala che gli eventi climatici estremi hanno provocato, nel 1999, oltre 35.000 morti, centinaia di migliaia di feriti e danni stimati in non meno di 40 miliardi di dollari (contro i nove provocati dagli stessi eventi alla fine degli anni '50). Questa nuova base di discussione presentata da Clini, com'è noto, fu duramente rifiutata dal governo Amato, a quei tempi ancora in carica, mentre, al contrario, ricevette entusiastici apprezzamenti da parte di Berlusconi e di numerosi esponenti del centro-destra, che addirittura chiesero, proprio su quella base, al ministro Mattioli di non sottoscrivere il documento comune europeo che riproponeva fedeltà a Kyoto. Ora che anche Berlusconi si è allineato alle posizioni europee e ha solennemente dichiarato che rispetterà gli impegni del protocollo, non si capisce che fine farà la proposta. Un modo per capirlo forse c'è. Basterà verificare a quali incarichi sarà destinato il suo autore dal nuovo ministro dell'Ambiente Matteoli: se al G8 sarà lui il consulente climatico di Berlusconi, vorrà dire che la base di discussione elaborata da Clini farà parte della discussione del vertice. Il popolo di Seattle, cui per ora si sta negando anche il diritto di manifestare, da solo non basta per impedire che Kyoto sia liquidato e che sia, data via libera a chi vuole `incendiare' il pianeta. All'indomani delle elezioni è stata annunciata da Francesco Rutelli un'intransigente opposizione al governo Berlusconi. Sulle questioni ambientali e in particolare su un tema cosl rilevante come quello del clima, questo annuncio potrebbe diventare realtà. Non è sufficiente chiedere al nuovo ministro dell'interno che sia garantita la libertà di manifestare. A Genova bisogna esserci e mobilitare molte forze, anche oltre il classico popolo di sinistra. Così come sarà decisiva, al fine di impedire che prevalgano tesi come quelle di abbandonare Kyoto, la presenza del sindacato e dei lavoratori. È in atto un dibattito sulle cause della sconfitta del 13 maggio purtroppo povero di idee adeguate. Ci si interroga su quante gambe deve avere I'Ulivo. L'importante è che comincino a camminare a Genova, al fianco del vasto schieramento che darà vita al controvertice, e siano soprattutto mosse da una testa capace di proporre al paese un progetto alternativo di società e di sviluppo sostenibile. Tutto ciò pone però interrogativi non facili anche al movimento, e in particolare a quello ambientalista, di breve e lungo periodo, sui contenuti e sulle forme di organizzazione e di lotta. Come si spiega che malgrado un lungo lavoro che ha diffuso in gran parte della società americana una sensibilita' ambientalista, Bush abbia compiuto immediatamente e in modo cosl radicato una svolta in tutt'altra direzione? La risposta sembra quasi owia e può bastare ad una contropropaganda efficace: egli ha dovuto soddisfare i príncipali finanziatori della sua campagna elettorale (le multinazionali del petrolio e dell'energìa). Ancora: questa svolta è destinata.a durare e a accentuarsi, oppure si moderera'? Anche qui una risposta si può leggere nei fatti: le resistenze già emerse all'interno e all'esterno, tra gli scienziati interrogati, nell'opinione pubblica, in piazza, e perfino in molti governi sembrano corpose e possono ottenere una parziale marcia indietro. Le cose sono però meno semplici, e meno rassicuranti. In realtà le scelte di Bush hanno a loro sostegno ben più dei petrolieri e affini. Anzitutto incontrano il sostegno di innumerevoli cittadini, americani e non solo, che a volte si professano anche ambientalisti se si tratta di opporsi ad una discarica o di proteggere una specie animale, ma non sono disposti a rinunciare a nulla nei propri consumi e negli stili di vita particolarmente voraci di energia, quale che essa sia, immediatamente e a buon mercato. E son favorite da un sistema produttivo oggi in crisi per una insufficienza di domanda e dunque interessato a rilanciare il consumo privato di qualsiasi tipo e a qualsiasi prezzo. Ma ha anche, a proprio vantaggio, alcune debolezze del movimento che gli si oppone. È infatti indubitabile, ad esempio, che la proposta di sostituire ai limiti di emissione decisi a Kyoto, a partire da subito su scadenze precise, più radical vaghe soluzioni future fornite dal scientifica, a tempi imprecisati e senza neppure impegni precisi di investimento,e' un imbroglio evidente. Ma è altrettanto vero che i governi che hanno firmato il protocollo di Kyoto hanno nel frattempo finora anch'essi disatteso i vincoli e, salvo alcune eccezzioni(come la Germania, in senso parzialmente positivo o come I'Italia, in modo scandalosamente negativo) non hanno fatto nulla per favorire 1'uso delle energie alternative gia' praticabili, o che con poco sforzo potrebbero presto divenire convenienti. Ed e' vero che il movimento ambientalista nell'ultimo decennio, particolarmente in Europa dove aveva anche un peso nelle istituzioni o nei governi, ha messo la questione energetica, cioè quella decisiva, ai margini nella sua attenzione culturale e nella sua pratica di movimento. D'altra parte, è del tutto evidente quanto sia moralmente indecente e logicamente infondato I'argomento di Bush quando rifiuta Kyoto in nome del fatto che i maggiori pericoli di inquinamento oggi derivano dallo sviluppo industriale dei paesi poveri che quell'accordo non vincola. Indecente perché non si può condannare i poveri a rinunciare ad un minimo di sviluppo che è necessario alla soprawivenza a fronte dell'impazzimento consumistico dei paesi opulenti. Infondato perché quel tipo di sviluppo nel quale essi sono incamminati, e che e' particolarmente pericoloso per 1'ambiente viene loro non solo suggerito per imitazione, ma direttamente imposto dalle scelte e dai ricatti dei potenti del mondo i quali delocalizzano gli investimenti alla ricerca dei bassi salari e anche per trasferire lontano dalle metropoli le produzioni inquinanti. È però anche vero che se non si riesce a concepire, nelle sue linee, e nei suoi strumenti, una diversa divisione internazionale del lavoro, un nuovo tipo di sviluppo, non affidato solo al meccanismo di mercato e alle grandi concentrazioni finanziarie e industriali,indifferenti agli effetti sociali e di lungo periodo delle loro scelte, allora diventa fatale che proprio dai paesi poveri nascano i maggiori pericoli ambientali, ed essi stessi siano obbligati ad accettarli, se non a chiederli per sé e per tutti, pur di soprawivere e affrancarsi. A quale conclusione ci porta tutto questo? Molto semplice. Per contrastare 1'attuale svolta ambientalista, che parte da Bush, ma trova già connivenze altrove, occorre izitutto un grande, radicale e globale movimento contestativo di massa, come quello partito da Seattle, ben oltre l'ambito locale e 1'azione episodica: molto di piu' di un moderato condizionamento dei i poteri esistenti. E occorre, altrettanto, cosi' nel movimento come a livello politico, definire e costruire proposte alternative, che incidano sulle scelte della ricerca, di politica economica, sulle strategie degli investimenti, sugli stili di vita e le priorita' del consumo. E inventare forme organizzative adeguate e forme di lotta che accompagnino e integrino la manifestazione di piazza, e vadano ormai oltre 1'individuazione di un nemico unificante. L'ambientalismo ha inventato una parola d'ordine su cui e' per una fase cresciuto: pensare globalmente, agire localmente. Anche se poi, spesso, ha smesso sia di pensare globalmente che di agire localmente sulle questioni cruciali. Ora si trova nella necessità di tornare a pensare globalmente sul serio e con piena autonomia dal pensiero dominante, di continuare ad agire localmente ma selezionando i temi con più rigore per potere poi efficacemente anche agire globalmente, di ottenere risultati, sedimentare organizzazione, conquistare un'egemonia più ampia e duratura.
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