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Articolo di Francesco Vignarca su PeaceReporter
http://www.peacereporter.net/it/canali/voci/dossier/040617armi
Armi, armi, armi
Anche quest´anno il SIPRI, l´istituto svedese di ricerche sulla
pace tra i più prestigiosi al mondo, ha rilasciato il proprio annuario
2004 dedicato ad "Armamenti, disarmo e sicurezza internazionale". Dai
dati in esso presenti, e che aggiornano al 2003 la fotografia della
situazione mondale, si può evincere come il tema della sicurezza sia
trattato in misura sempre maggiore con il ricorso alla forza ed alla
potenza militare.
Lo scenario è stato ovviamente dominato dall´azione bellica intrapresa,
nei mesi di marzo ed aprile, dagli Stati Uniti e dalla Coalizione dei
suoi alleati, in maniera così pervasiva che tutto il dibattito sulle
politiche di sicurezza, in ogni suo campo, ne è risultato in un certo
senso drogato. Tralasciando l´analisi più particolareggiata delle
operazioni di guerra e della situazione di cosiddetto "dopoguerra", va
comunque notato come l´intervento iracheno sia stato un azzardo ad alto
rischio, sia per il fallimento del peace-building ad esso conseguente che
soprattutto per l´incentivo a nuovi fronti di terrorismo decisamente
preponderante rispetto alla deterrenza invece auspicata.
Correttamente il rapporto SIPRI afferma che: "La buona performance delle
nuove tattiche e dei nuovi equipaggiamenti militari in Iraq incoraggerà
imitatori in altre parti del mondo, e parallelamente una ricerca di nuove
risposte asimmetriche da parte di altri attori. La concomitante
esplosione della spesa militare USA ha inoltre aggravato sia i problemi
di bilancio e di bilancia commerciale statunitensi che le incertezze
dell´intera economia mondiale". Un quadro a tinte fosche che viene
tratteggiato sulla base di una robusta dose di dati e di misurazioni.
Nel 2003 le spese militari mondiali sono cresciute, in termini reali,
dell´11%: un tasso di incremento quasi doppio rispetto al comunque già
notevole 6,5% registrato nel 2002. Prendendo a riferimento l´ultimo
biennio si arriva ad un aumento del 18% che fa lievitare il valore
complessivo dei fondi assegnati all´ambito militare fino a 956 miliardi
di dollari (correnti). Ma non solo i valori assoluti sono significativi a
riguardo: anche la distribuzione di spesa è in grado di consegnarci
ottimi elementi di analisi. In analogia per nulla casuale con la
ripartizione mondiale della ricchezza, è possibile verificare che i Paesi
sviluppati sono responsabili di circa il 75% di tutte le spese militari,
a fronte di una popolazione che raggiunge solamente il 16% di quella
mondiale.
Effettuando inoltre alcune impietose comparazioni (possibili solo con
dati del 2001 ma non per questo meno significative) si scopre che la
spesa militare combinata dei paesi ad alto reddito è di poco più alta del
debito complessivo contratto dai paesi poveri e di circa 10 volte
maggiore del livello totale degli aiuti ufficiali allo sviluppo. Il che
testimonia "il grande fossato esistente fra la volontà di allocare
risorse per mezzi militari che garantiscano sicurezza e situazioni di
potere globale e regionale, da un lato, e intenzione di alleviare povertà
e di promuovere sviluppo economico dall´altro".
Tutto questo mentre il 2003 ha visto il livello più basso di conflitti di
una certa entità dalla fine della Guerra Fredda in poi (con l´eccezione
del 1997). Secondo le valutazioni del SIPRI, magari opinabili ma che
possiedono una certa dose di coerenza capace di dare indicazione di un
trend, ci sono stati 19 conflitti in 18 diverse regioni del mondo, di cui
4 in Africa ed 8 in Asia. Il dato più interessante è comunque quello che
vede solo due di tali conflitti definibili come "inter-statali", per cui
ancora una volta sono i conflitti che hanno luogo all´interno dei confini
di uno stesso Stato a confermarsi come la tipologia di guerra più diffusa
nell´arena politica internazionale post-moderna. Senza dimenticare che
"l´attuale attenzione internazionale al pericolo del terrorismo ha
continuato ad influenzare il modo di condurre i conflitti interni agli
stati ed in alcuni casi, si pensi ai casi di Indonesia e Filippine, sta
avendo un impatto diretto sulle strategie, l´intensità ed il corso di
questi scontri".
La causa maggiore per l´incremento delle spese militari mondiali nel 2003
è stata la massiccia crescita di questo dato negli Stati Uniti d´America,
che da soli giustificano circa la metà del valore mondiale. Dopo un
decennio di riduzione della spesa dal 1987 al 1998, ed una moderata
crescita da quell´anno fino al 2001, il cambio nella dottrina e nella
strategia militare USA a seguito degli attacchi alle Torri Gemelle ha
dato la scintilla per una vera e propria esplosione del bugdet militare a
stelle e strisce. Interessante è notare come molta parte di questa
crescita dipenda dai fondi messi a disposizione per le campagne in
Afghanistan ed in Iraq, oltre che a tutte le operazioni in qualche
maniera legate al contrasto del terrorismo internazionale. Scorporando
tali quantità l´aumento delle spese militari mondiali si attesterebbe al
4%, un valore di molto inferiore a quello invece registrato.
Per tutti questi motivi si può affermare che la lotta al terrorismo
secondo la "dottrina Bush" (che sta al lettore giudicare sulla base dei
risultati positivi o negativi ottenuti) causa al mondo una crescita del
7% delle spese militari, cioè oltre una buona metà di quanto i paesi
sviluppati destinano agli aiuti allo sviluppo (basta ricordare i dati
esposti in precedenza e fare un semplice confronto).
Le spese militari stanno crescendo anche in molte altre nazioni di un
certo peso, ma sicuramente ad un livello drasticamente inferiore a quanto
visto per gli Stati Uniti d´America. In generale si può affermare che i
fondi militari sono cresciuti per ogni singolo anno del quinquennio
appena passato in sette dei maggiori paesi investitori del ramo: per
India, Giappone e Cina il livello di crescita è stato grosso modo in
linea con l´aumento del PIL, mentre Francia e Gran Bretagna stanno per
sperimentare un nuovo rialzo dopo una piccola fase di modesta
diminuzione.
Solo il Brasile, tra le medie potenze regionali, sta cercando di
influenzare la politica globale con un modello di "soft-power" che non
faccia affidamento sulle spese belliche e militari. Per tutto il corso
del 2003 il dibattito sul tema delle spese militari ha continuato a
focalizzarsi principalmente sulla necessità di aumentare le risorse in
questo campo per poter far fronte ai nuovi e crescenti rischi di un mondo
complesso e globalizzato.
Tuttavia grazie al fallimento diretto e concreto di molti interventi
basati sulla forza armata (in primis la "guerra preventiva" dispiegata in
Medioriente) ha iniziato a far nascere voci di una diversa natura. Voci
che hanno iniziato a sottolineare altri fattori quali la zavorra
economica operata dal settore militare per lo sviluppo delle società
umane e considerazioni di carattere etico e di diritto internazionale.
Perciò, sebbene le spese militari USA continueranno a contribuire
largamente alle tendenze complessive mondiali, il ritmo di incremento
potrebbe anche arrestarsi nei prossimi anni. Secondo i ricercatori del
SIPRI: "nel lungo termine non è così scontato che gli attuali livelli di
spesa militare possano essere economicamente e politicamente
sostenibili".
Francesco Vignarca
Coordinamento Comasco per la Pace
organismo facente parte di ControllARMI - Rete Italiana per il Disarmo
www.disarmo.org