Da molte settimane, ormai, pende sul capo del governo italiano una pressante richiesta. L’amministrazione Usa ci chiede di mandare un congruo numero di soldati e istruttori in Siria per contribuire allo sforzo militare che gli americani continuano a produrre nel Nord-Est del Paese. Washington procede con il solito metodo della «coalizione dei volenterosi» in voga dall’epoca di George Bush e dell’Iraq. Regno Unito, Francia e i soliti noti ci sono già, adesso toccherebbe all’Italia.
È chiaro che la superpotenza americana non ha affatto bisogno dei nostri pur preparatissimi soldati in Siria. Solo poco tempo fa il Pentagono faceva filtrare la voce di essere pronto a spedire 120 mila soldati in Medio Oriente, per fronteggiare l’Iran e altre crisi. E secondo dati diffusi dallo stesso Pentagono, a fine 2018 gli Usa avevano basi in quattordici Paesi del Medio Oriente per un totale di 54 mila uomini in divisa. Con un incremento del 33 per cento tra il 2017 e il 2018. Davvero vogliamo credere che gli siano necessari i nostri istruttori?
La richiesta di avere i nostri soldati in Siria, infatti, non ha nulla di “tecnico”. È politica. Secondo gli americani, nel Nord-Est della Siria la presenza di una coalizione militare occidentale è necessaria a causa di due pericoli. Il primo è il possibile ritorno dello Stato islamico (Isis). Il secondo è il possibile scontro tra la Turchia e le Forze democratiche siriane, l’insieme di reparti curdi e milizie arabe che, con l’aiuto degli Usa, ha valorosamente combattuto contro le milizie del Califfato.
Tradotto, tutto ciò significa due cose. E cioè: l’Italia deve tenersi alla larga dalla vera radice dell’Isis, che sta nei finanziamenti delle petromonarchie del Golfo Persico, prima fra tutti l’Arabia Saudita che, con Israele, è il principale puntello della strategia americana in Medio Oriente. Il «ritorno dell’Isis» è uno specchietto per le allodole, la bandiera da sventolare mentre si perseguono ben altri fini. Che stanno, a loro volta, nel secondo corno del problema. Ovvero, tenere a bada la Turchia, che ha sempre attuato una politica brutale verso i curdi ma che, soprattutto, negli ultimi tempi è renitente all’influenza americana e incline ad accordi con la Russia. E poi mantenere comunque un piede in Siria, dopo il fallimento (provvisorio?) dei piani per eliminare il regime di Bashar al-Assad.
Trump vuole i nostri soldati (e quelli francesi e inglesi, che peraltro accorrono volentieri) per poter dire che anche l’Italia condivide tale linea strategica. E per dimostrare a noi chi è che comanda. Noi risponderemo alla Casa Bianca? E come? Il sovranismo nostrano è diviso tra una linea molto filo-americana (diciamo, grosso modo, della Lega Nord) e una più distaccata del M5S (vedi accordi con la Cina e prudenza sul Venezuela). L’Europa è incerta, con la Commissione da rinnovare e i problemi di riforma interna ed esterna (Brexit). E il Medio Oriente è il calderone ribollente di sempre, ancor più da quando la crisi dei rapporti con l’Iran è diventata conclamata. Facciamoci gli auguri, ne abbiamo bisogno