[Disarmo] Appunti su riconversione con riferimenti a RWM Domusnovas
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- From: Elio Pagani <eliopaxnowar at gmail.com>
- Date: Tue, 8 Aug 2017 10:19:56 +0200
Appunti su riconversione con riferimenti a RWM Domusnovas
Elio Pagani 07.08.2017
La situazione creatasi attorno alla iniziativa del “Comitato per la riconversione della RWM per la pace, il lavoro sostenibile, la riconversione dell'industria bellica e il disarmo, la partecipazione civica a processi di cambiamento, la valorizzazione del patrimonio ambientale e sociale del Sulcis Iglesiente”, costituitosi nel maggio 2017, ha caratteristiche molto particolari e per alcuni versi inedite.
L'auto-costituitosi Comitato per la riconversione della RWM, che ha fatto finora, nonostante tutto, un lavoro egregio, sembra non avere contatti con lavoratori interni alla fabbrica, che anzi si sono schierati apertamente, massicciamente e monoliticamente, con i loro sindacati, contro ogni ipotesi di riconversione sottolineando di stare lavorando, in un quadro di legalità, per la difesa del Paese e per la sicurezza internazionale.
Immagino che il Comitato, oltre che sollevare un problema di coscienza civile, che ripudia la guerra e la collaborazione alla guerra “altrui”, e quello della coerenza alla nostra Costituzione e alle Leggi, avesse ipotizzato, in prima istanza, che le sue proposte sarebbero state accettate e condivise da almeno una parte di lavoratori. In effetti, nel caso il Governo vietasse quelle esportazione, sarebbe utile ai lavoratori occuparsi di riconversione almeno come tutela della loro occupazione. Ciò non è stato e questo complica di molto la situazione.
Il Comitato fa riferimento, tra l'altro, alla illegalità, o alla illegittimità della esportazione di armi alla Arabia Saudita che in azioni belliche le usa anche contro inermi civili Yemeniti, e si richiama alla Legge 185/90 che non verrebbe adeguatamente applicata. La legge in effetti vieta l'esportazione di armi a Paesi in guerra e/o che violino i diritti umani, ma il Governo, per bocca di suoi ministri, ha dichiarato la regolarità di queste esportazioni, ovvero la conformità a questa Legge, dunque la RWM aveva ricevuto l'autorizzazione ad esportare e, se non ci saranno novità di rilievo, tipo embargo ONU, continuerà a riceverla e ad esportare.
Infatti la Legge 185/90 chiede che le decisioni governative siano coerenti (a meno di specifici embarghi ONU o UE o OSCE - comma 6c art.1) , alla Politica Estera e di Difesa assunta dal nostro Paese (art.1 comma 1). Politica “di Sicurezza” che oramai è incardinata sui concetti strategici presenti nel NMD – Nuovo Modello di Difesa, aggressivo, introdotto e via via implementato dal 1991.
Bene hanno fatto i vari soggetti (RID, ecc.) a chiedere con esposti a diverse Procure la verifica della incoerenza delle esportazioni citate con la legge suddetta (anche perché allo stesso art.1 comma 1, si parla di rispetto dell'art.11 della Costituzione), ma la probabilità che questi esposti vengano archiviati o si concludano con una dichiarazione di coerenza a giustificazione di queste esportazioni è elevatissima, proprio per le ragioni suddette. Il Nuovo Modello di Difesa è palesemente in contrasto con la prima, chiarissima, parte dell'articolo 11 della Costituzione, ma il NMD dal 1991 viene costantemente implementato a dispetto dell'articolo stesso (vedi la partecipazione italiana a molte missioni militari offensive e la permanenza nella NATO, nonostante questa organizzazione abbia cessato d'essere solamente una struttura di difesa (vedi modifica dei suoi concetti strategici).
Il Comitato, a sostegno della possibilità di riconversione, si appella poi, coerentemente, all'articolo 1 comma 3 della Legge 185/90 che dice: “Il Governo predispone misure idonee ad assecondare la graduale differenziazione produttiva e la conversione a fini civili delle industrie del settore della difesa”. Concetto poi ribadito e reso praticabile col comma 2 dell'art.8 dove si dice: “... l'Ufficio (di Coordinamento della produzione di materiali di armamento) contribuisce anche allo studio e alla individuazione di ipotesi di conversione delle imprese. In particolare identifica le possibilità di utilizzazione per usi non militari di materiali derivati da quelli di cui all'articolo 2 (materiali di armamento) ai fini di tutela dell'ambiente, protezione civile, sanità, agricoltura, scientifici e di ricerca, energetici, nonché di altre applicazioni nel campo civile.” (Al comma successivo si dice, tra l'altro, che l'Ufficio “... si avvale del contributo di esperti indicati dalle organizzazioni sindacali e degli imprenditori.).
Nella interpretazione giuridica più stretta, il comma 3 dell'art.1 può significare che, qualora il Governo vietasse ad una azienda di esportare armi, dovrebbe predisporre le misure suddette per evitare che questo divieto si traduca in un danno delle aziende e dei lavoratori. Ciò traducendo in pratica gli studi effettuati sulle possibilità di riconversione.
Ma se questo divieto non c'è, il comma 3 - art.1, non si applica. Se se ne desse invece una applicazione estensiva, cioè che va al di là degli specifici divieti, significherebbe che il Governo dovrebbe predisporre comunque piani per la diversificazione e riconversione di ogni azienda bellica, piani da implementare qualora fosse necessario in ragione di decisioni politiche (applicazione della 185/90 o azioni di disarmo unilaterali o multilaterali), o anche, perché no, per ragioni di mercato, ma questo – che io sappia - non è fino ad oggi mai avvenuto, anzi, guardando al caso Finmeccanica (oggi Leonardo) la riconversione implementata è quella dal civile al militare.
Questo perché, di nuovo, viene applicato il NMD, oggi nella versione del Libro Bianco della Difesa presentato dalla Ministra Pinotti.
C'è chi ha chiesto l'istituzione di un “fondo per la riconversione dell'industria bellica”, da usare nel caso di necessità.
Se non ricordo male le prime proposte di legge per l'istituzione di un fondo per la riconversione dell'industria bellica furono presentate nel 1986 e nel 1987 dal Partito Radicale e nell' '88 dalla Sinistra Indipendente, altre proposte analoghe seguirono. Altre proposte furono depositate nel 1992 primi firmatari i senatori Salvato, Molinari, ed altre ancora e nei primi anni novanta.
Il fondo suddetto fu effettivamente istituito con la Legge 237del 1993 (Interventi urgenti a favore dell'economia) che previde uno stanziamento di 50 miliardi di lire annui per dieci anni (500 miliardi in totale), a seguito anche della lotta del “Comitato Cassa Integrati Aermacchi per la Pace e il Diritto al Lavoro”, formato da lavoratori e delegati (operai ed impiegati) “riconvertisti”, espulsi dagli stabilimenti di Venegono (Va) proprio per il loro opporsi agli indirizzi bellici della produzione.
Sul Fondo: un primo problema è che nessuno ha vigilato sul suo effettivo impiego per cui era destinato, né in quali entità, un secondo problema è che con la ripresa delle esportazioni di armi, dal secondo quinquennio degli anni '90 e con l'aumento delle spese militari questo fondo non è stato rifinanziato (almeno questo è ciò che a me risulta).
Un secondo strumento utilizzato negli anni '90 per supportare a livello dei territori il processo di riconversione al civile fu il programma di fondi europei Konver pensato per supportare aziende, lavoratori e territori nella difficile transizione dalla dipendenza del bellico dovuto alla guerra fredda. In Italia arrivarono 17,9 milioni di euro con Konver I.
I fondi Konver II furono utilizzati, in Liguria rilanciando l'occupazione sul territorio spezino, in Lombardia, in Piemonte, in Toscana, in Lazio.
Anche qui due i problemi. Primo, nessuno ha realmente vigilato sul suo effettivo impiego, né in quali entità (in Italia ci sono solo studi isolati da cui non è possibile trarre grandi insegnamenti, in Germania è andata meglio grazie all'azione del BICC - Centro Internazionale di Bonn per la Conversione, ancora attivo). Secondo, la ripresa delle spese militari che, già dai tardi anni '90, si imponevano per l'affermarsi della guerra ed il conseguente terrorismo, ha spento ben presto gli entusiasmi dei “Dividendi di Pace”. Oggi non è possibile chiedere un rifinanziamento di Konver che presupponeva una contrazione delle spese militari.
Il 5 agosto, don Renato Sacco, coordinatore nazionale di Pax Christi sul quotidiano cattolico Avvenire, dopo aver citato la bellissima, ancora attuale, lettera di mons. Tonino Bello al fratello operaio di una fabbrica di armi, cita l'esempio della riconversione della Valsella, azienda che produceva mine antiuomo. Lo fa con queste parole: “... il suo impegno di riconversione che ha visto la collaborazione di tutti: società civile, missionari, comunità cristiane, sindacati, ecc. può essere un esempio.”
Ricordo perfettamente quante partecipatissime manifestazioni facemmo per la messa al bando delle mine antiuomo e per la riconversione della Valsella, ed effettivamente c'è stata quella collaborazione trasversale che don Sacco dice, tuttavia bisogna ricordare che all'interno della Valsella ci fu un gruppo di lavoratori, soprattutto donne, che attorno alla loro leader sindacale, Franca Faita, poi per questo insignita del fregio di “Cavaliere del lavoro” lottarono dall'interno per spingere la direzione a trattare sulla riconversione, qui invece, alla RWM, sembra che tutti i lavoratori siano compattamente contro la riconversione.
Ma purtroppo, non si può andare a proporre a quei lavoratori, in un territorio già purtroppo segnato da una forte disoccupazione, una ipotesi di riconversione come quella della Valsella, poiché come alcuni studi dimostrano quella esperienza è sintetizzabile con le parole di Michele Cotti Cottini, ricercatore del Dipartimento di Economia aziendale dell'Università degli Studi di Brescia: “Alla luce di quanto esposto fin qui, si può ragionevolmente sostenere che quello della Valsella Meccanotecnica è un caso di riconversione parzialmente riuscita dal punto di vista politico-istituzionale, del tutto inconsistente dal punto di vista economico-aziendale”. E' chiaro che un modello del genere, per la sua concreta implementazione economico-occupazionale non può che essere dai lavoratori RWM rifiutato. Essi vogliono mantenere l'occupazione e il reddito attuale.
Vi sono in Italia esempi di riconversione al civile che possono essere proposti ai lavoratori RWM, esclusi quelli postbellici dove tutto era più facile perché si doveva ricostruire, l'economia era in forte espansione e si preparava il boom economico? Mi sembra di no.
Anche i molti sforzi fatti da lavoratori e delegati dalla seconda metà degli anni '80 ai primi anni '90, pur generosi, non hanno dato i frutti sperati, anche se le aziende che hanno diversificato la loro produzione verso il civile hanno meglio difeso la propria occupazione.
Significativo, da questo punto di vista è l'esempio di Agusta (oggi in Leonardo Divisione Elicotteri), con una presenza importante di produzione civile sempre difesa dai lavoratori.
Altri casi, tra i molti in cui la lotta per la diversificazione e riconversione al civile è stata più difficile ma con caratteri interessanti, sono ad esempio quello delle Officine Galileo di Firenze (oggi in Leonardo Elettronica per la Difesa Terrestre e Navale) e quello dell'Aermacchi (oggi in Leonardo Divisione Velivoli).
Nella prima metà degli anni '80, con il contributo anche di scienziati dell'USPID – Unione Scienziati per il disarmo, il Consiglio di Fabbrica delle Officine Galileo propose all'azienda sensori civili con tecnologie all'infrarosso.
In Aermacchi, alla fine degli anni '80, anche a seguito di forme di lotta innovative da parte di alcuni lavoratori e la presentazione di una piattaforma (sostenuta da oltre l'80% dei lavoratori) che chiedeva l'anticipazione a livello aziendale di quella che sarebbe stata la L.185/90 e una svolta nel civile, l'azienda iniziò a diversificare nel campo dei velivoli regionali (il programma più significativo fu il Dornier 328).
Successivamente, con l'apertura della trattativa sulla Cassa Integrazione, il Comitato di lavoratori per la democrazia, propose un ulteriore impegno verso la riconversione, ma nonostante il sostegno di molti lavoratori, non poté porre in votazione la propria piattaforma per l'opposizione dei sindacati che preferirono allearsi con l'azienda nella richiesta di commesse militari, ritenute più semplici e sicure. Tuttavia la presenza del civile garantì fino ad almeno l'anno 2000 metà degli occupati in quel campo contro una occupazione praticamente tutta militare nel1988. Come già accennato il Comitato fu annientato economicamente, e dunque politicamente, con l'espulsione definitiva della maggior parte dei suoi membri.
Uno splendido esempio di coinvolgimento dei lavoratori nelle proposte di riconversione al civile fu quello che si sviluppò, nella prima metà degli anni '70, in Inghilterra alla Lucas Aerospace dove tecnici, impiegati ed operai, svilupparono autonomamente, utilizzando gli strumenti aziendali attraverso una sorta di “sciopero al contrario”, prototipi di prodotti alternativi, socialmente utili, che poi presentavano sul banco delle trattative aziendali.
In tutti i casi sopra citati il ruolo positivo dei lavoratori fu fondamentale; si rimane senza parole se nessuno tra i lavoratori, nemmeno tra i più sindacalizzati e politicizzati, sente una spinta ad occuparsi di riconversione vista la contraddizione lancinante che vive.
Nel caso della RWM, poi le cose sono chiarissime, non c'è neppure la scusa di produrre tecnologie o strumenti duali. Quelle bombe servono per uccidere, dilaniare, massacrare, distruggere povera gente, bambini, donne e vecchi innocenti, persone che vorrebbero vivere in pace e in dignità, come giustamente lo pretendono i lavoratori della RWM.
E se fossero questi ultimi a dover pregare che bombe analoghe, prodotte in una qualche “RWM” in Yemen, non cadano sulle loro case, sulle loro famiglie?
A proposito di sindacati ed industria bellica, mi sembra che in questo caso si sia distantissimi da quella FLM della seconda metà degli anni settanta a dirigere la quale c'era Alberto Tridente. Egli nel 1977 ebbe a dire: “... i lavoratori non sono più disposti ad essere ricattati sul posto di lavoro né a farsi complici di un commercio cinico e spietato...” Così la FLM programmò le Conferenze nazionali dei delegati del settore bellico per spingere i Consigli di Fabbrica ad occuparsi di quanto nelle aziende veniva prodotto ed esportato e a proporre nelle piattaforme aziendali ipotesi di diversificazione e riconversione. E non è perché qui i sindacati sono del comparto “chimici”, ma perché questi “signori” hanno perduto ogni riferimento ai valori di fondo del sindacalismo, valori che magari, durante i congressi, proclamano a parole per ottenere ampio consenso ma che sono incapaci di praticare per pigrizia, per paura, o peggio per collusione con interessi impronunciabili.
Ricordo quello che pensai della IGMetall tedesca, quando seppi che nel '76, espulse dal suo corpo tutti i sindacalisti che in una azienda di sommergibili difendevano una produzione militare destinata ad un paese in cui vigeva un regime dittatoriale. Coerenza. Certo oggi quel tempo è passato, non vi è più la condivisione col fratello più debole, ma con “partner” più forti.
Possono Enti locali o Regioni, ad esempio quella sarda, supportare processi di riconversione? Si lo possono, abbiamo avuto importanti esempi, sebbene al momento mai risolutivi. E' fin dall' '86 che sono state proposte (la prima alla Regione Lazio), e qualche volta tradotte nella pratica, leggi regionali che prevedevano studi o sostegni alla riconversione. Credo che il più importante fu quello ottenuto in Lombardia dalla lotta durata tre anni (dal 1991 al 1994) del già citato “Comitato dei Cassaintegrati Aermacchi per la Pace e il Lavoro”, essi riuscirono a far approvare la Legge Regionale 6/1994 che finanziava progetti alternativi presentati dalle aziende. Le imprese vincitrici dei bandi e beneficiarie dei finanziamenti dovevano garantirne la loro implementazione produttiva. La Legge funzionò effettivamente alcuni anni, poi con l'avvento delle giunte Formigoni non fu più utilizzata, né fu accettata una sua versione innovativa presentata nel 2003 da un ampio schieramento di soggetti sociali. Come già dicevo, al di la del colore della Giunta l'industria bellica assumeva via via un ruolo di centralità grazie alla implementazione del NMD.
Un esempio molto ben articolato che coinvolgeva un'intera “area metropolitana” fu il GLCC - Greater London Conversion Council, creato dai laburisti a Londra nella seconda metà degli anni '70. Il GLCC favoriva anche metodologicamente e con la messa a disposizione di strumenti adeguati, gli studi ed i processi di riconversione.
Tra gli spunti offerti vi erano le domante: quali prodotti civili puoi sviluppare con le tecnologie presenti negli attuali prodotti militari? Quali sono i bisogni, eventualmente nascosti, a cui l'azienda vorrebbe rispondere sviluppando le tecnologie adeguate? Quali tecnologie sono necessarie per sviluppare nuovi prodotti socialmente utili?
Il GLCC si presentava anche come incubatore di tecnologie o di nuove professionalità. Con l'avvento della Thatcher non ebbe più vita semplice, ma il suo operato mi sembra si possa prendere ad esempio.
Consigli: Pensare globalmente ed agire sia localmente che globalmente.
Nell'immediato:
- Sostenere in tutti i modi possibili il Comitato per la Riconversione RWM.
- Fargli vivere la completezza della azione con la quale si è definito: “Comitato per la riconversione della RWM per la pace, il lavoro sostenibile, la riconversione dell'industria bellica e il disarmo, la partecipazione civica a processi di cambiamento, la valorizzazione del patrimonio ambientale e sociale del Sulcis Iglesiente”.
- Identificare i punti di forza e di debolezza del Comitato, puntando sui primi e riducendo i secondi.
- Sostenere le posizioni etico-politiche che chiedono la cessazione della esportazione e della produzione di bombe ed altri sistemi militari.
- Mettere a disposizione conoscenze e competenze utili alla loro lotta.
- Mettere in evidenza tutti i bisogni individuali e sociali insoddisfatti degli abitanti del territorio e di quelli limitrofi, i bisogni ambientali ed ecologici e comprendere quali prodotti materiali o immateriali possono soddisfarli.
- Farsi affiancare da università, e scuole superiori in grado di dare una mano per individuare prodotti alternativi e per definire strategie economiche territoriali alternative.
- Farsi sostenere da enti locali e se possibile dalla Regione, anche mediante finanziamenti.
- Cercare di ottenere consensi e supporti tra gli imprenditori del settore civile nella zona.
- Farsi sostenere da lavoratori di altre aziende civili nella zona.
- Farsi sostenere da sindacati locali o nazionali che condividono questa lotta.
- Farsi sostenere dalle associazioni, rappresentanti della società civile della zona.
- Farsi sostenere dai gruppi pacifisti ed antimilitaristi della Sardegna.
- Operare affinché il movimento pacifista apra un centro di progettazione per la riconversione.
- Sviluppare la sensibilizzazione dei lavoratori RWM facendoli incontrare, se possibile, con vittime yemenite, o mostrando loro immagini degli effetti dei bombardamenti.
- Offrire loro idee di possibilità alternative, individuali e collettive.
- Chiedere conto ai segretari nazionali dei sindacati coinvolti, della “doppia lingua” parlata in termini di rispetto dei diritti umani, di pace e disarmo.
- Chiedere conto ai partiti della incoerenza tra valori e parole spese e pratica concreta sulla questione.
Più a lunga scadenza:
- Chiedere al Governo di sottoscrivere il trattato sulla messa al bando delle armi nucleari.
- Lottare contro la Guerra a partire dal ripudio del NMD – Nuovo Modello di Difesa, cosi come fu proposto nel 1991 e come è stato via via implementato. Costruire una “Difesa non aggressiva” tendenzialmente “popolare, non-armata e nonviolenta”, a partire dal concetto di “Sicurezza comune”, reciproca, rifiutando quello di “Sicurezza unilaterale”.
- Di conseguenza lottare per l'uscita dalla NATO, non più alleanza solamente difensiva.
- Costruire nuove relazioni con regioni o paesi limitrofi dell'area mediterranea.
- Ripensare l'ONU, dissolvere il potere dell'attuale antidemocratico Consiglio di Sicurezza, proporre un nuovo ONU dei popoli.
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