I deputati pacifisti
avevano proposto che la maggioranza fosse
qualificata, almeno dei due terzi. Visto che l’articolo 11
della Costituzione ci dice che «l’Italia ripudia la guerra come
strumento di offesa», se questa deve essere dichiarata
(evidentemente in casi eccezionali, estremi e solo
per motivi di difesa dei confini), allora che sia una decisione il
più condivisa possibile. I loro emendamenti sono
stati bocciati.
Perché la modifica di venerdì notte
è gravissima? Perché la riforma costituzionale è
affiancata da una riforma elettorale (l’Italicum) che
prevede il premio di maggioranza al partito
vincitore delle elezioni. Il combinato disposto
delle due riforme dà di fatto ad un partito politico (che potrà
avere la maggioranza assoluta alla Camera anche con una
maggioranza relativa dei voti dell’elettorato) il potere e la
responsabilità di dichiarare lo «stato di guerra».
Un’aberrazione.
Pare che questa modifica sia stata
fortemente voluta dai vertici delle Forze Armate e dalle
ministre Roberta Pinotti e Maria Elena Boschi, assistite dagli
accademici molto «agguerriti» della Fondazione Magna
Charta, quella di Gaetano Quagliarello, una cima del
pensiero costituzionale.
Dal 1947 il Parlamento non ha mai
dichiarato lo «stato di guerra», anche se di guerre —
presentate come interventi umanitari e in nome dei
diritti umani — ne ha fatte tante: Iraq, Kosovo, Afghanistan e ora
forse tra qualche giorno la Libia. Mai l’articolo 11 della
Costituzione è stato così disatteso. L’ex articolo 78 era
di fatto un articolo «simbolico», che dava comunque al
Parlamento un ruolo per una decisione così
drammatica: la riforma costituzionale voluta da
Matteo Renzi ha fatto di questo articolo il simbolo di
un’altra cosa, la predominanza del governo sul
parlamento.
Matteo Renzi sembra avere seguito le
orme del vecchio Sidney Sonnino quando invocava:
«Torniamo allo Statuto». Il vecchio Statuto Albertino
infatti dava al Re il potere di dichiarare guerra. La modifica
dell’ex articolo 78 di venerdì notte — similmente — dà questo
potere al governo e al suo nuovo Re: il bullo
fiorentino.