[Disarmo] Armi ai kurdi, il fantasma libico



I kurdi e l’avanzata dell’Isis non c’entrano niente con l’invio di quelle armi. 
C’entrano invece le stel­lette Nato/belliche che la mini­stra Moghe­rini deve 
gua­da­gnarsi per la corsa al dub­bio onore di gui­dare le nuove avven­ture 
umanitario-petrolifere dell’Unione Euro­pea e, insieme, un grosso favore da 
fare a Ber­lu­sconi per evi­tare a lui e all’Italia una pos­si­bile con­danna 
Onu per la Libia

di Sergio Finardi

Era estate anche allora, i par­la­men­tari ave­vano fretta di andare in 
vacanza e il governo cer­cava di infi­lare quante più cose poteva in leggi-
omnibus. Ma c’era chi vigi­lava. La depu­tata Moghe­rini nella seduta della 
Camera del 28 luglio 2009 e la sena­trice Pinotti nella seduta del Senato dell’
1 ago­sto dello stesso anno vota­rono entrambe con­tro la pro­po­sta di legge 
(n.1715) dei depu­tati Edmondo Cirielli (Pdl) e Ste­fano Ste­fani (Lega).

La pro­po­sta di legge avrebbe poten­zial­mente dato al governo il con­trollo 
sulle armi seque­strate nel ’94 sulla Jadran Express, una nave diretta in Croa­
zia con un enorme carico ille­gale di armi e muni­zioni desti­nate alla guerra 
in Bosnia. Con Moghe­rini e Pinotti vota­rono con­tro quasi tutti gli altri par­
la­men­tari del Pd e, se aves­sero vinto, il governo sarebbe stato costretto a 
dare final­mente ese­cu­zione a un ordine della magi­stra­tura di qual­che anno 
prima che inti­mava la distru­zione di quelle armi ille­gali, custo­dite nei 
bun­ker dell’isola di Santo Ste­fano alla Mad­da­lena. Non bastò. La destra 
vinse e il decreto divenne la Legge 108 del 3 ago­sto 2009 che, all’articolo 5, 
comma 3, stabiliva:

«3. Le armi, le muni­zioni, gli esplo­sivi e gli altri mate­riali di inte­
resse mili­tare seque­strati e acqui­siti dallo Stato a seguito di prov­ve­di­
mento defi­ni­tivo di con­fi­sca dell’autorità giu­di­zia­ria pos­sono essere 
asse­gnati al mini­stero della difesa per fina­lità isti­tu­zio­nali, con 
decreto del mini­stro della giu­sti­zia, di con­certo con i mini­stri della 
difesa e dell’economia e delle finanze[…]. Le dispo­si­zioni di cui al pre­
sente comma si appli­cano anche alle armi, alle muni­zioni, agli esplo­sivi e 
agli altri mate­riali di inte­resse mili­tare per i quali, ante­rior­mente alla 
data di entrata in vigore della pre­sente legge, è stata dispo­sta ma non 
ancora ese­guita la distruzione».

Secondo le dichia­ra­zioni regi­strate dalla stampa il 21 ago­sto, il pre­mier 
Renzi, la mini­stra degli Esteri Moghe­rini e della Difesa Pinotti si rife­ri­
reb­bero para­dos­sal­mente pro­prio a quella legge, a cui si oppo­sero, per 
soste­nere il diritto a uti­liz­zare quell’arsenale, man­darlo all’Iraq e forse 
ai mili­ziani kurdi. Oltre alle ragioni con­tro l’invio, costi­tu­zio­nali e 
logi­che, espo­ste da Tom­maso Di Fran­ce­sco il 19 ago­sto su que­ste colonne, 
si pos­sono aggiun­gere tre altre impor­tanti ragioni.

1. La prima è di carat­tere mili­tare: quelle armi e muni­zioni sovie­ti­che, 
qual­che cen­ti­naio di razzi e un po’ di mis­sili gui­dati anti-carro degli 
anni 70 e 80, non avranno alcun rilievo stra­te­gico nella bilan­cia di quella 
situa­zione bel­lica, come ognuno può con­sta­tare dal conto det­ta­gliato che 
ne diedi in un arti­colo su Altre­co­no­mia nel 2011. «Ragio­ne­vole» o irra­
gio­ne­vole che sia quell’invio, esso è prima di tutto mili­tar­mente inu­tile 
e in più espone l’Italia a diven­tare ber­sa­glio pos­si­bile di ven­dette dell’
Isis o dei suoi alleati.

2. La seconda, più impor­tante, è rela­tiva alla gra­vis­sima mano­mis­sione 
di una prova della pos­si­bile vio­la­zione dell’embargo Onu (Riso­lu­zione del 
26 feb­braio 2011) sulle armi alla Libia da parte dell’Italia, pro­prio men­tre 
— e forse non a caso — gli esperti dell’Onu vi stanno indagando.

Si ricor­derà infatti che, secondo rive­la­zioni di stampa, tra il feb­braio e 
il mag­gio 2011, il pre­mier Ber­lu­sconi, il mini­stro della Difesa La Russa e 
il capo di stato mag­giore, il gene­rale Abrate, avreb­bero appro­vato l’invio 
di parte di quelle armi ai mili­ziani libici anti-Gheddafi e il governo avrebbe 
poi impo­sto il segreto di stato per impe­dire la pro­se­cu­zione di una inchie­
sta della magi­stra­tura di Tem­pio Pau­sa­nia sull’accaduto.

Quelle armi — si sospetta — dove­vano ser­vire non già a qual­che forza d’
interposizione per pro­teg­gere i civili con­tro l’esercito libico (teo­ri­ca­
mente con­sen­tita — pre­via comu­ni­ca­zione al Con­si­glio di sicu­rezza — 
dalla riso­lu­zione Onu del 17 marco 2011), ma più pro­sai­ca­mente a far (ri)
guadagnare all’Eni di Sca­roni la «sim­pa­tia» e i con­tratti ener­ge­tici dei 
futuri padroni di Ben­gasi e Tri­poli (ampi for­ni­tori di armi all’Isis e ad 
altri gruppi in Siria tra la fine del 2011 e il 2013, con l’aiuto dei ser­vizi 
segreti «occi­den­tali»), con gli esiti che conosciamo.

3. La terza ragione è che di quelle armi né il governo Ber­lu­sconi nel 2011, 
né quello di Renzi oggi, pote­vano disporre auto­ma­ti­ca­mente: il det­tato 
della legge del 2009 che abbiamo ripor­tato all’inizio non dà affatto carta 
bianca ai governi, ma auto­rizza il mini­stero della Difesa a disporre delle 
armi sotto seque­stro solo in pre­senza di un decreto «del mini­stro della giu­
sti­zia, di con­certo con i mini­stri della difesa e dell’economia e delle 
finanze». Di un tal decreto non vi è alcuna trac­cia pubblica.

I kurdi e l’avanzata dell’Isis non c’entrano niente con l’invio di quelle 
armi. C’entrano invece le stel­lette Nato/belliche che la mini­stra Moghe­rini 
deve gua­da­gnarsi per la corsa al dub­bio onore di gui­dare le nuove avven­
ture umanitario-petrolifere dell’Unione Euro­pea e, insieme, un grosso favore 
da fare a Ber­lu­sconi per evi­tare a lui e all’Italia una pos­si­bile con­
danna Onu per la Libia.