Fwd: Meno marescialli più guerre - La revisione dello strumento militare.






-------- Messaggio originale --------
Oggetto: 	Meno marescialli più guerre - La revisione dello strumento
militare.
Data: 	Sat, 10 Nov 2012 16:32:10 +0100
Mittente: 	Alberto <media.rossa at tiscali.it>
A: 	<media.rossa at tiscali.it>



*Meno marescialli, più guerre.*

*La revisione dello strumento militare secondo Di Paola – un primo
commento.*

di Alberto Stefanelli – www.guerrepace.org
<http://www.guerrepace.org/> – 09/11/2012


L’attuale revisione dello strumento militare approvata nei giorni scorsi
in Senato ed ora in attesa di ripassare passare alla Camera “non è un
nuovo modello di difesa” secondo il Ministro –Generale Di Paola e
probabilmente ha ragione in quanto più che un nuovo modello in sé questo
passo può essere visto come il completamento della ristrutturazione
iniziata nei primi anni ’90.Una ristrutturazione portata avanti per
arrivare a un nuovo modello di difesa, certo, ma senza dichiararlo
apertamente; ristrutturazione avvenuta senza una discussione pubblica,
né parlamenteare, sul provvedimento complessivo.

*Un modello di difesa ?*

Dal 1991 a oggi infatti il passaggio da un modello di difesa militare
del paese ad un “nuovo” modello adatto alla proiezione della forza
militare in giro per il mondo, come in effetti si presentano oggi le
forze armate italiane,non è avvenuto attraverso una discussione
complessiva nè in Parlamento né nel Paese: di volta in volta i singoli
provvedimenti(parti di un progetto complessivo teorizzato in un
documento del ministero della difesa dei primia anni ’90: “lineamenti di
sviluppo delle forze armate negli anni ‘90”) sono stati presentati
all’opinione pubblica e al Parlamento non come parti di un progetto
organico di ristrutturazione delle forze armate ma come singoli
provvedimentiper“rinnovare ogni giorno i nostri sforzi per accrescere la
sicurezza e le capacità operative dei nostri militari”, come appunto
afferma oggi il Ministro-Generale.

L’obiettivo dichiarato della riforma è ridurre il personale e parte
delle strutture della difesa per traformare i risparmi così ottenuti in
risorse per aumentare gli investimenti e l’operatività dello strumento.
Per quanto riguarda le strutture si tratta di ridurre, accorpando e
razionalizzando il funzionamneto, le strutture operative, logistiche,
formative, ottimizzando non solo l’impiego delle risorse ma anche
riducenzo il numero stesso delle strutture;vieneprevista una“riduzione
degli assetti organizzativi non inferiore al 30%” in sei anni. Il
personale militare invece verrà ridotto a 150.000 uomini entro il 2024
(attualmente il livello previsto per legge prevede 190.000 uomini (e
donne) anche se in realtà a inizio 2013 la stima è di 181.538
effettivi); tra questi è compresa una riduzione del 30% di generali e
ammiragli, da raggiungere in sei anni. Analogo discorso per il personale
civile della Difesa che dovrà passare dagli attuali 29.525 dipendenti ai
previsti 20.000 sempre entro il 2024. La Difesa stima così di
“risparmiare” circa 2,2 miliardi di euro, solo dai tagli al personale.
Risorse che si prevede di utilizzate per acquistare ancora più armi, per
addestrare ad usarle e poi per andare ad in giro per il mondo a far
guerre… di pace..

*E i posti di… lavoro ?*

Naturalmente non trattandosi di /normali esuberi, precari qualsiasi/ o
/ordinari esodati/, vengono previste una serie di modalità per agevolare
il passaggio ad altri impieghi. Per cui il decreto prevede innanzitutto
norme per permettere il transito del personale militare al settore
civile della Difesa, anche se tale settore risulta essere sottoposto a
ridimensionamento dallo stesso provvedimento.

Ma non basta; viene previsto anche l’aumento dei posti riservati a ex
militari nei concorsi di entri pubblici e – novità - anche negli enti
locali e nelle aziende speciali. Inoltre per quelle professioni dove tra
i requisiti c’è anche l’aver svolto il servizio di leva (ora sospeso) il
decreto prevede che tale norma si applichi con riferimento all’aver
svolto almeno un anno di servizio volontario nelle forze armate.
Ecco che ancora una volta le scelte della Difesa vanno a pesare sulla
società civile che vede ridursi ancora di più la possibilità di accesso
a quel bene raro che si chiama posto di lavoro.

Le giustificazioni ufficiali di questo provvedimento sono che,
/naturalmente/, ce lo chiedono gli alleati della Nato e che bisogna
comunque arrivare ad una diversa ripartizione delle risorse assegnate
alla “funzione difesa”. Questo perché pare che qualcuno ha stabilito che
il bilanciamento ottimale tra le diverse

voci di spesa dovrebbe essere così suddiviso: il 50% per il personale e
il 25% rispettivamente per le spese di esercizio e per gli investimenti,
mentre oggi l’Italia presenta una suddivisione che destina il 70% al
personale, il 12% all’esercizio e il 18% agli investimenti. E questo
sembra non andar bene. A questo riguardo è interessante notare che nella
documentazione parlamentare viene sottolineato come il Libro Bianco
della Difesa del 2002 presentava già allora unadivisione della spesa
pari al 48% per il personale e rispettivamente il 26% per le spese di
esercizio e per gli investimenti. Ripartizione simile a quella definita
oggi come ottimale ma che allora il Libro Bianco – un documento
ufficiale - giudicava troppo sbilanciata.

Possibile che nessuno si è accorto che – da questo punto di vista – nel
2002 si era già in una situazione “ottimale” ? Anche all’attuale
Ministro della Difesa, alloraSegretario Generale della Difesa/Direttore
Nazionale degli Armamenti, era sfuggito questo dettaglio? Certo, per
carità, una svista può capitare; come per il caso del caccia F35/Joint
Strike Fighter quando per contenere i costi il Ministro della Difesa
annuncia il taglio di 41 dei 131 esemplari, salvo poi scoprire - come ha
dichiarato il segretario generale del ministero della Difesa e direttore
nazionale degli Armamenti, generale Claudio Debertolis - che ogni
singolo aereo costerà più del doppio, passando da 63 a 127 milioni di euro.

*Diamo i numeri ?*

Anche la motivazione, quella che secondo cui dobbiamo adeguarci a quanto
ci chiedono gli alleati della Nato è un po’ traballante, forse dovuta
alla difficolta di far di conto del ministro tecnico di questo governo
tecnico. Vediamo. Nelle interviste e nei documenti Governo e Difesa
dichiarano, lacrimando, livelli di spesa intorno allo 0,9% del pil
contro una media dei paesi europei della Nato dell’ 1,7%.

Peccato però che gli enti internazionali che per mestiere monitorano le
spese militari mondiali danno ben altri numeri; ad esempio il SIPRI
(Stockholm International Peace Research Institute), prestigioso istituto
indipendente svedese, calcola che per il 2010 (ultimi dati disponibili)
la spesa militare italiana corrisponde all’ 1,7% del pil, quindi
pienamente in linea con i livelli di spesa in Europa. Ma se non ci piace
questa fonte possiamo leggere i dati della NATO che certificano per
l’Italia una spesacorrispondente all’ 1,4 del pil, escludendo però dal
conto l’arma dei Carabinieri, altrimenti saremo all’ 1,8% come infatti
conferma la… CIA che tiene sotto controllo la spesa militare di tutti i
paesi.

Numeri questi che pur con le oscillazioni degli ultimi anni vogliono
dire comunque una spesa che si aggira intornoai 24/25 miliardi di euro
all’anno (la media negli dal 2001 a oggi si aggira intorno ai 26,6
miliardi di euro, all’anno) Quindi forse è si il caso di riorganizzare
il comparto Difesa per evitare sprechi, ma di ben misero passaggio si
tratterebbe se gli sprechi vengo trasformati in armi per le guerre.
Certo, è vero che in Europa c’è chi spende di più; infatti la Grecia
negli ultimi hanni ha investito nelle cose militari il 3.0% del pil...
E’ forse questo l’esempio /virtuoso/ che Monti e Di Paola hanno in mente?

*Un dibattito pubblico ?*

Purtroppo anche adesso si sta perdendo (volutamente, immaginiamo)
l’occasione per una discussione pubblica sulle questioni più rilevanti
riguardo lo strumento militare e il suo bilancio: a cosa servono queste
spese, il loro legame con i debito pubblico e l’intreccio tra imprese,
banche e forze armate.
Qualcosa vorrà dire se nelle prime versioni della legge delega c’erano
due punti, poi scomparsi, che prevedevanofinanziamenti decennali
blindati, aventi come base minima gli attuali livelli di spesa; e la
possibilità, per la difesa, di trasformarsi in piazzista d’armi,
attraverso attività di supporto tecnico, logistico e contrattuale per
l’acquisione di materiali di armamento prodotti dall’industria nazionale
da parte di paesi terzi con cui esistono accordi di cooperazione militare…

Possiamo star sicuri che questi saranno passaggi che ci ritroveremo tra
qualche tempo in una ulteriore riformina tecnica. Non si tratta quindi
di rimettere in discussione /solo/ le spese per le armi (comunque un
buon inizio) ma di ripensare complessivamente e radicalmente il modello
di difesa, per investire intelligenze e risorse verso un modello di
difesa difensivo e non pensato per fare la guerra. Un articolo della
Costituzione dice che l’Italia ripudia la guerra come strumento di
risoluzione delle controversie internazionali. Per Seguire questo
principio non servono gli F35.

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Per i dati sulle fonti: www.guerrepace.org <http://www.guerrepace.org/>