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[SPF:fail] Meno marescialli più guerre - La revisione dello strumento militare.
- Subject: [SPF:fail] Meno marescialli più guerre - La revisione dello strumento militare.
- From: "Alberto" <media.rossa at tiscali.it>
- Date: Sat, 10 Nov 2012 15:35:44 +0100
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Meno marescialli, più guerre. La revisione dello strumento militare secondo Di Paola – un primo commento. di Alberto Stefanelli – www.guerrepace.org – 09/11/2012 L’attuale revisione dello strumento militare approvata nei giorni scorsi in Senato ed ora in attesa di ripassare passare alla Camera “non è un nuovo modello di difesa” secondo il Ministro –Generale Di Paola e probabilmente ha ragione in quanto più che un nuovo modello in sé questo passo può essere visto come il completamento della ristrutturazione iniziata nei primi anni ’90. Una ristrutturazione portata avanti per arrivare a un nuovo modello di difesa, certo, ma senza dichiararlo apertamente; ristrutturazione avvenuta senza una discussione pubblica, né parlamenteare, sul provvedimento complessivo. Un modello di difesa ? Dal 1991 a oggi infatti il passaggio da un modello di difesa militare del paese ad un “nuovo” modello adatto alla proiezione della forza militare in giro per il mondo, come in effetti si presentano oggi le forze armate italiane, non è avvenuto attraverso una discussione complessiva nè in Parlamento né nel Paese: di volta in volta i singoli provvedimenti (parti di un progetto complessivo teorizzato in un documento del ministero della difesa dei primia anni ’90: “lineamenti di sviluppo delle forze armate negli anni ‘90”) sono stati presentati all’opinione pubblica e al Parlamento non come parti di un progetto organico di ristrutturazione delle forze armate ma come singoli provvedimenti per “rinnovare ogni giorno i nostri sforzi per accrescere la sicurezza e le capacità operative dei nostri militari”, come appunto afferma oggi il Ministro-Generale. L’obiettivo dichiarato della riforma è ridurre il personale e parte delle strutture della difesa per traformare i risparmi così ottenuti in risorse per aumentare gli investimenti e l’operatività dello strumento. Per quanto riguarda le strutture si tratta di ridurre, accorpando e razionalizzando il funzionamneto, le strutture operative, logistiche, formative, ottimizzando non solo l’impiego delle risorse ma anche riducenzo il numero stesso delle strutture; viene prevista una “riduzione degli assetti organizzativi non inferiore al 30%” in sei anni. Il personale militare invece verrà ridotto a 150.000 uomini entro il 2024 (attualmente il livello previsto per legge prevede 190.000 uomini (e donne) anche se in realtà a inizio 2013 la stima è di 181.538 effettivi); tra questi è compresa una riduzione del 30% di generali e ammiragli, da raggiungere in sei anni. Analogo discorso per il personale civile della Difesa che dovrà passare dagli attuali 29.525 dipendenti ai previsti 20.000 sempre entro il 2024. La Difesa stima così di “risparmiare” circa 2,2 miliardi di euro, solo dai tagli al personale. Risorse che si prevede di utilizzate per acquistare ancora più armi, per addestrare ad usarle e poi per andare ad in giro per il mondo a far guerre… di pace.. E i posti di… lavoro ? Naturalmente non trattandosi di normali esuberi, precari qualsiasi o ordinari esodati, vengono previste una serie di modalità per agevolare il passaggio ad altri impieghi. Per cui il decreto prevede innanzitutto norme per permettere il transito del personale militare al settore civile della Difesa, anche se tale settore risulta essere sottoposto a ridimensionamento dallo stesso provvedimento. Ma non basta; viene previsto anche l’aumento dei posti riservati a ex militari nei concorsi di entri pubblici e – novità - anche negli enti locali e nelle aziende speciali. Inoltre per quelle professioni dove tra i requisiti c’è anche l’aver svolto il servizio di leva (ora sospeso) il decreto prevede che tale norma si applichi con riferimento all’aver svolto almeno un anno di servizio volontario nelle forze armate. Ecco che ancora una volta le scelte della Difesa vanno a pesare sulla società civile che vede ridursi ancora di più la possibilità di accesso a quel bene raro che si chiama posto di lavoro. Le giustificazioni ufficiali di questo provvedimento sono che, naturalmente, ce lo chiedono gli alleati della Nato e che bisogna comunque arrivare ad una diversa ripartizione delle risorse assegnate alla “funzione difesa”. Questo perché pare che qualcuno ha stabilito che il bilanciamento ottimale tra le diverse voci di spesa dovrebbe essere così suddiviso: il 50% per il personale e il 25% rispettivamente per le spese di esercizio e per gli investimenti, mentre oggi l’Italia presenta una suddivisione che destina il 70% al personale, il 12% all’esercizio e il 18% agli investimenti. E questo sembra non andar bene. A questo riguardo è interessante notare che nella documentazione parlamentare viene sottolineato come il Libro Bianco della Difesa del 2002 presentava già allora una divisione della spesa pari al 48% per il personale e rispettivamente il 26% per le spese di esercizio e per gli investimenti. Ripartizione simile a quella definita oggi come ottimale ma che allora il Libro Bianco – un documento ufficiale - giudicava troppo sbilanciata. Possibile che nessuno si è accorto che – da questo punto di vista – nel 2002 si era già in una situazione “ottimale” ? Anche all’attuale Ministro della Difesa, allora Segretario Generale della Difesa/Direttore Nazionale degli Armamenti, era sfuggito questo dettaglio? Certo, per carità, una svista può capitare; come per il caso del caccia F35/ Joint Strike Fighter quando per contenere i costi il Ministro della Difesa annuncia il taglio di 41 dei 131 esemplari, salvo poi scoprire - come ha dichiarato il segretario generale del ministero della Difesa e direttore nazionale degli Armamenti, generale Claudio Debertolis - che ogni singolo aereo costerà più del doppio, passando da 63 a 127 milioni di euro. Diamo i numeri ? Anche la motivazione, quella che secondo cui dobbiamo adeguarci a quanto ci chiedono gli alleati della Nato è un po’ traballante, forse dovuta alla difficolta di far di conto del ministro tecnico di questo governo tecnico. Vediamo. Nelle interviste e nei documenti Governo e Difesa dichiarano, lacrimando, livelli di spesa intorno allo 0,9% del pil contro una media dei paesi europei della Nato dell’ 1,7%. Peccato però che gli enti internazionali che per mestiere monitorano le spese militari mondiali danno ben altri numeri; ad esempio il SIPRI (Stockholm International Peace Research Institute), prestigioso istituto indipendente svedese, calcola che per il 2010 (ultimi dati disponibili) la spesa militare italiana corrisponde all’ 1,7% del pil, quindi pienamente in linea con i livelli di spesa in Europa. Ma se non ci piace questa fonte possiamo leggere i dati della NATO che certificano per l’Italia una spesa corrispondente all’ 1,4 del pil, escludendo però dal conto l’arma dei Carabinieri, altrimenti saremo all’ 1,8% come infatti conferma la… CIA che tiene sotto controllo la spesa militare di tutti i paesi. Numeri questi che pur con le oscillazioni degli ultimi anni vogliono dire comunque una spesa che si aggira intorno ai 24/25 miliardi di euro all’anno (la media negli dal 2001 a oggi si aggira intorno ai 26,6 miliardi di euro, all’anno) Quindi forse è si il caso di riorganizzare il comparto Difesa per evitare sprechi, ma di ben misero passaggio si tratterebbe se gli sprechi vengo trasformati in armi per le guerre. Certo, è vero che in Europa c’è chi spende di più; infatti la Grecia negli ultimi hanni ha investito nelle cose militari il 3.0% del pil... E’ forse questo l’esempio virtuoso che Monti e Di Paola hanno in mente? Un dibattito pubblico ? Purtroppo anche adesso si sta perdendo (volutamente, immaginiamo) l’ occasione per una discussione pubblica sulle questioni più rilevanti riguardo lo strumento militare e il suo bilancio: a cosa servono queste spese, il loro legame con i debito pubblico e l’intreccio tra imprese, banche e forze armate. Qualcosa vorrà dire se nelle prime versioni della legge delega c’erano due punti, poi scomparsi, che prevedevano finanziamenti decennali blindati, aventi come base minima gli attuali livelli di spesa; e la possibilità, per la difesa, di trasformarsi in piazzista d’armi, attraverso attività di supporto tecnico, logistico e contrattuale per l’acquisione di materiali di armamento prodotti dall’industria nazionale da parte di paesi terzi con cui esistono accordi di cooperazione militare… Possiamo star sicuri che questi saranno passaggi che ci ritroveremo tra qualche tempo in una ulteriore riformina tecnica. Non si tratta quindi di rimettere in discussione solo le spese per le armi (comunque un buon inizio) ma di ripensare complessivamente e radicalmente il modello di difesa, per investire intelligenze e risorse verso un modello di difesa difensivo e non pensato per fare la guerra. Un articolo della Costituzione dice che l’Italia ripudia la guerra come strumento di risoluzione delle controversie internazionali. Per Seguire questo principio non servono gli F35. -------------------------- Per i dati sulle fonti: www.guerrepace.org
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