vittoria dele vittime militari da uranio impoverito
- Subject: vittoria dele vittime militari da uranio impoverito
- From: "Giuseppe Scano" <useppescano at virgilio.it>
- Date: Wed, 27 Apr 2005 14:25:09 +0200
dal il giornale di sardegna del
27\4\2005
L' AVVOCAT URA DELLO STATO ha riconosciuto la fondatezza della richiesta avanzata dal marescialloMarcoDiana didannobiologico per l’esposizione all’uranio impoverito per un risarcimento di 900 mila euro». Lo ha rivelato ieri Falco Accame, presidente dell’Associazione familiari vittime arruolate nelle forze armate (Anavafaf). «Qualcuno - ha commentato Accame - si accorge finalmente dopo 5 anni di lotte della pericolosità dei danni provocati dall’uranio impoverito a personale militare e civile in Italia, specie nei poligoni della Sardegna ed all’estero ». Il danno biologico, ha concluso, «deve ora essere esteso al più presto a tutti i militari e civili danneggiati, incluse le famiglie di chi ha avuto bambini nati deformi». Oltre alla richiesta del maresciallo Diana è stata accolta anche quella della famiglia di Stefano Melone, ex maresciallo dell’aeronautica morto per un tumore probabilmente dovuto all’uranio impoverito. La battaglia con lo Stato La vicenda del maresciallo di Villamassargia, esperto missilistico che nel poligono di Capo Teulada ha partecipato a diversi "giochi di guerra", ha suscitato molte discussioni.Congedato dopo aver contratto una grave e rara forma di tumore dopo aver partecipato a una missione in Somalia, Diana combatte da anni per cercare di curarsi, ovvero di trovare una soluzione alla malattia che sarebbe stata provocata dall'uranio impoverito. Alla fine dell'anno scorso è stata istituita in Senato una Commissione d'inchiesta sull'uranio impoverito che dovrà occuparsi anche del suo caso, che nei mesi scorsi è approdato anche in Consiglio regionale. « Bisogna che i fatti vengano chiariti scientificamente e che la soluzione finale sia finalmente obiettiva», aveva detto Diana, denunciando con forza come il “caso uranio” sia solo una goccia in un oceano di altre sostanze nocive alle quali altri militari in servizio sarebbero stati colpiti. «Non cerco colpevoli perché l'esercito non mi ha mai tradito - aveva aggiunto Diana -ma è necessario che i militari caduti in disgrazia e i loro familiari siano indennizzati correttamente per danni biologici legati al servizio, anche con una degna pensione che possa garantire le cure necessarie». La vedova di Stefano Melone «Vuol dire che la giustizia prevale», ha commentato Paola Melone, vedova di Stefano, dopo il riconoscimento della fondatezza della richiesta di risarcimento dei danni. Anche a Stefano Melone - originario di Caserta e residente a Canale di Orvieto - è stata infatti riconosciuta la fondatezza della richiesta per il riconoscimento del danno biologico per l’esposizione all’uranio impoverito, con un risarcimento per gli eredi di 510 mila euro. «Non c' è somma che possa pagare la vita di una persona - ha detto Paola Melone - e tutti i calvari che si fanno intorno a queste malattie, però una soddisfazione c' è, perchè vuol dire che la giustizia prevale». «Ho conosciuto Marco Diana e sono contenta », ha aggiunto spiegando di aver rischiato grosso dal punto di vista economico e, soprattutto, di essere stata lasciata sola dallo Stato. «Due giorni prima di morire Stefano mi aveva chiesto di portare avanti la battaglia legale per il riconoscimento del danno biologico, per lui e per gli altri ragazzi militari ammalati. Io l’ho fatto, ma ho rischiato grosso perchè se avessi perso in giudizio, avrei dovuto pagare somme ingenti». La vedova ha fatto tuttavia sapere che il giudizio non è ancora definitivo, ma che si è aperto un precedente importante. «Ma ancora non posso gioire per me e per tutti gli altri ragazzi militari che si trovano in situazioni analoghe». Cicu: sono felice ma in quelle zone non c'è pericolo Il sottosegretario alla Difesa: la causa del male non è nei territori dove ha combattuto «Sono felice per il arescialloMarco Diana»: questa la prima reazione del sottosegretario alla difesa Salvatore Cicu alla notizia del riconoscimento da parte dell'Avvocatura dello Stato, del risarcimento di 900 mila euro al sottoufficiale di Villamassargia. «Sono felice per lui, è un amico. - prosegue Cicu - ma non conosco nel merito la decisione dell'Avvocatura, quindi non la posso commentare». Di sicuro, lo afferma, il sottosegretario non crede che nei teatri di guerra dove ha combattuto il maresciallo fosse presente l'uranio impoverito. «Sulla materia sono intervenute commissioni come quella Mandelli -spiega l'esponente di Forza Italia - il mio governo ha creato una commissione apposita (quella sull'uranio impoverito) . La questione è delicata». E questo lo sa bene anche il maresciallo Diana che da anni sta portando avanti la sua battaglia personale dopo aver combattuto per lo Stato. Il sottosegretario esclude poi una contaminazione nei poligoni sardi. «In Sardegna sia l'Università di Cagliari sia quella di Siena hanno verificato - continua Cicu -la non presenza di questo metallo. Bisogna affrontare in modo serio l'argomento - conclude il sottosegretario - dobbiamo cercare di capire come stanno davvero le cose». (s.a.) IL PADRE DI VALERY MELIS «Questa è una piccola vittoria per la causa dei nostri ragazzi» «È una piccola vittoria per la causa dei nostri ragazzi»: a parlare è Dante Melis, padre di Valery, il caporalmaggiore dell’Esercito stroncato oltre un anno fa da una leucemia contratta dopo una missione di pace nei Balcani. In casa Melis la notizia dei 900 mila euro stanziati dallo Stato come indennizzo a Marco Diana è stata accolta con grande sorpresa: «Siamo contentissimi per Marco», ha detto Melis, «ha avuto ciò che gli spetta e ora potrà affrontare i suoi problemi con più tranquillità». Ma per la soluzione del caso di Valery bisognerà aspettare ancora. E la conclusione, qualunque essa sia, non potrà certo essere positiva. «La questione non si può chiudere con una manciata di euro» ha continuato Melis, «a noi e agli altri genitori di militari deceduti nessuno potrà ridare i nostri figli. L’eventuale vittoria delle nostre cause non sarà mai una questione di soldi: si tratta solo della dignità dei nostri cari». Valery Melis è stato ucciso nel febbraio 2004 da una rara forma di leucemia, il “linfoma di Hodgkin”. L’aveva contratta dopo alcune missioni di pace nei Balcani. Aveva 26 anni e per lui iniziava un calvario che in 4 anni l’avrebbe portato al decesso. A oltre un anno dalla sua morte, i genitori non si danno pace e lottano perché sia fatta giustizia. «Dopo questa sentenza abbiamo magari qualche speranza in più», ha precisato Dante Melis, «ma ogni caso è diverso dall’altro». Lo Stato, alcuni mesi fa, ha riconosciuto al giovane caporalmaggiore di Quartu la causa di servizio: ma era ormai inutile. Ora la famiglia aspetta la soluzione, ancora lontana, della causa intentata contro il Ministero della Difesa per la morte del giovane: il 4 maggio ci sarà la seconda udienza, la prima era coincisa con la data dell’anniversario della morte del giovane. «Tutta questa storia per noi è una presa in giro », ha concluso Dante Melis, «ci è stato confermato più volte che ci spettano anche le elargizioni previste dalla legge 308/81, ma le nostre domande sono state sempre bocciate ». Giulia Antinori ANTONIO MARTINELLI È IL PRIMO MILITARE che ha vinto la battaglia contro lo Stato. «Ma io l'ho fatto solo per giustizia». A Marco Diana, il maresciallo dei granatieri di Sardegna, che ha il cancro nell'intestino causato dall'esposizione all'uranio impoverito, è stato riconosciuto il danno biologico. Dovrebbe incassare circa 900 mila euro. La notizia si è diffusa in un baleno, ma lui non ne sapeva nulla. Ieri sera era nella modesta ma decorosa abitazione dei genitori a Villamassargia, in piazza Antonio Gramsci. È lui che apre la porta agli ospiti, ai cronisti, ai militanti dei partiti che stanno tentando di conquistare ilmunicipio. Capelli cortissimi, occhi neri e profondi, dai quali traspare tutto il dramma che sta vivendo da quando, nel 1993 cominciarono a presentarsi i primi segni della malattia. La notizia non è arrivata da Roma «No, non so ancora nulla. C'è in corso la trattativa col ministero della Difesa. Sto aspettando che mi chiamino a Roma per firmare il contratto». Il maresciallo Diana non pensa ai quattrini. «Certo, non l'ho fatto per una questione venale. Dovevo curarmi e non avevo i soldi. Ogni mese spendevo cinque milioni delle vecchie lire per acquistare le medicine». Cinque anni di battaglie durissime, montagne di carte bollate, avvocati che si sono occupati di lui per ottenere il riconoscimento del danno biologico (in particolare l'avvocatoGiancarlo Peddis) e lo studio Pettinau per il ricorso alla Corte dei Conti. «Volevo ottenere gli integratori, le medicine per continuare a vivere. Con la sola pensione non potevo fronteggiare quel mare di spese». Ad aiutarlo in questa battaglia si schierò tutto il paese, anche con raccolte di soldi. «Poi arrivò a casa Renato Soru. Ventiquattr'ore dopo ero già una persona assistita». La battagliaper la vita l'ha vinta in quel momento. «Però, prima, ne ho dovuto fare. Sono stato io ad andare a Roma a protestare davanti al Parlamento ». Poi le interrogazioni parlamentari, presentate da Forcelli, Malabarba, Maurandi. «È stata una grande vittoria. Oggi posso dire che il diritto che rivendicavo mi è stato riconosciuto. Ma non per i quattrini. Perché mi hanno dato l'opportunità di curarmi, di continuare a vivere». Ogni tantoMarco Diana trattiene il sospi ro, non riesce a parlare. «Sono imbottito di antidolorifici. Non sembra perché parlo, perché partecipo, quando posso, anche ai convegni. Ma sto morendo, sono in fin di vita. Sono solo in attesa che la metamorfosi della malattia si evolva. Poi sarà tutto finito». Non pensa a se stesso. Pensa a ringraziare chi l'ha aiutato. «Oggi la Asl di Iglesias mi da tutto. Le medicine e anche i viaggi che occorre fare». A gennaio ne ha compiuto un altro a Milano. È stato visitato, i suoi campioni hanno fatto il giro del mondo. «Non c'è niente da fare. Non c'è cura. Il mio carcinoma è uno dei cinque più rari al mondo». Ilmaresciallo non dà la colpa all'uranio impoverito. «Quelle che mi stanno uccidendo sono le sostanze mutagene e cancerogene. Quelle che si usavano quando ero in servizio. L'uranio è un componente ma non determinante. Ho le cartelle cliniche per dimostrare ciò che dico». Ora è seguito a Milano dal professor Veronesi. «Ma solo per andare avanti. I farmaci ubriacano la malattia. Ma non possono fare altro». La sua storia clinica ha fatto il giro della terra. «I miei campioni sono stati esaminati da uno scienziato del nord Europa. Il migliore che c'è. Ha detto che non esiste rimedio, che devo morire ». Una sentenza, senza appello, che Marco Diana accetta con la fede. «Credo in Dio, nel Signore, sono religioso e credo anche nell'uomo. In quegli uomini politici che hanno dimostrato di non essere politicanti». La medaglia per gli eroi Ma poi non nasconde il suo disappunto per quanto ha dovuto soffrire per arrivare a vincere la guerra contro lo Stato. «Quando un soldato muore in battaglia gli viene assegnata la medaglia d'oro al valore. Anche noi stiamo morendo, anche noi siamo eroi della Patria. Io, ancheoggi, darei la vita per il mio popolo, per la divisa. E anche noi meritiamo la medaglia d'oro, come fossimo morti a Nassirya». Quando il fotografo gli chiede di scattargli una foto non si rifiuta ma indossa subito gli alamari. «Io sono un soldato, che sta morendo per la Patria. Ho contratto questa malattia in servizio». E ricorda il suo breve ma intenso servizio che ha svolto con la divisa da granatiere. «Quando mi sono arruolato avevo 19 anni. A 28 mi sono ammalato». Si accorse dei primi sintomi al rientro dalla Somalia. «Era il 1993». Poi la grande battaglia contro la burocrazia. «Mi revocarono anche la pensione d'invalidità». Altre battaglie, altre carte bollate. «Debbo riconoscere che l'Esercito non mi ha mai abbandonato. Posso dire che è stato il triondo degli uomini di buona volontà, la vittoria della buona politica». A dare la svolta era stato il presidente della Regione Renato Soru. «Ma non solo, anche il sottosegretario Cicu e Michele Cossa. Ad un certo punto ho trovato tanta solidarietà. E posso dire che i diritti vanno sempre rivendicati perché prima o poi saranno riconosciuti». Marco Diana Non pensa a quei soldi che dovranno arrivargli. «Posso dire di aver vinto la mia battaglia quando mi fu riconosciuto il diritto ad avere le medicine gratis, ad aver il viaggio e l'albergo pagato per le visite cui dovevo sottopormi. Non ho mai pensato di diventare milionario. Chiedevo soltanto di potermi curare, di poter vivere come un essere umano». Ora gli arriveranno quei quattrini che, da Roma, dicono saranno900 mila euro. «Nonso quanto sarà. Ho lasciato fare al ministero della Difesa. Ho chiesto è ottenuto il danno biologico, lemedicine. Al resto non ho pensato. Certo, quella somma mi permetterà di avere un aiuto, pagare chi dovrà sostenermi quando le mie condizioni di salute peggioreranno Un'intera città mobilitata per comprare le medicine che gli hanno salvato la vita
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