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c'è da crederci ?
- Subject: c'è da crederci ?
- From: "giuseppe scano" <useppescano at virgilio.it>
- Date: Thu, 15 Apr 2004 14:51:57 +0200
unione sarda del 15\4\2004 A Roma conferenza di tre giorni sulla trasformazione della base missilistica ogliastrina «Uranio al Salto di Quirra? Mai usato» Carlo Landi, ex comandante della base, tranquillizza i sindaci Il computer si inceppa sulla pagina più interessante: «Nel poligono si usano solo armi convenzionali», frase sottolineata in rosso. È davvero così? Risponde il generale Carlo Landi, per un anno e mezzo al comando del poligono di Quirra: «Lì non sono mai state usate armi all'uranio impoverito». Parleranno ancora più chiaro gli esami dell'Università di Siena, commissionate dal Ministero della difesa. La sentenza dei tecnici guidati da Francesco Riccobono doveva essere pronta, ma non tarderà ad arrivare. «Forse per inizio settimana prossima», annuncia il senatore diessino Gianni Nieddu, membro della commissione Difesa, unico parlamentare presente all'avvio di tre giorni di studi sul poligono di Quirra. Il tema dell'uranio impoverito ruba lo spazio dell'incontro, organizzato ieri in serata per presentare i convegni organizzati per i giorni seguenti. Intervengono i sindaci di Perdasdefogu, Walter Mura («Le nostre porte saranno per voi sempre aperte, venite a investire») e di Villaputzu, Gianfranco Piu, più critico: «I miei concittadini mi chiedono perché vengono a lavorare persone da fuori». Ricorda che il suo paese è quello che ha dato di più, al poligono. «È un po' la nostra Fiat», dice. Si augura che la fabbrica diventi più grande, che la ricaduta economica sul paese sia maggiore. Ma la "sindrome di Quirra" ormai è un caso internazionale: «Ad oggi non c'è risposta sul collegamento tra la malattia ematica e la presenza militare. Ma dateci gli strumenti per difendervi - dice rivolto ai militari - e difenderci». L'appello sarà esaudito, forse, quando si avrà l'esito degli esami, la prossima settimana. La speranza di fare chiarezza è legata a quella tonnellata di materiale prelevato dai biologi e tecnici dell'università. Racconta Landi: «Se l'uranio c'è, è stato assorbito dalle piante, dagli animali. Hanno infatti prelevato licheni, arbusti, terra, insomma, indicatori biologici». Tra stellette e divise, nessuno crede che la colpa della morte o malattia degli abitanti della zona sia legata alla presenza del poligono. «Si usa il dolore delle famiglie per altri scopi: questo mi addolora», aggiunge Landi. Parere condiviso dai suoi colleghi militari (ci sono anche il generale Giovanni Sciandra, comandante logistico dell'aeronautica militare, e il generale Vincenzo Camporini, direttore del Centro studi dove ha sede la conferenza). Ma la pensano così anche i civili che, per periodi di almeno tre mesi, vivono nel poligono, per conto delle aziende che ce li mandano. Il Centro sperimentale materiali, per esempio, è tra queste. Nessuno dei suoi dipendenti è mai tornato malato. Eppure frequentano la zona dal 1975. Nell'attesa di saperne di più, il generale Landi spinge l'acceleratore sulla convivenza del poligono con la società civile. Il poligono è quella gente, dice il generale. Il poligono deve servire a quella gente. Come? Per spegnre i fuochi, se non ancora quelli della polemiche, si cominci con quelli degli incendi. «Abbiamo elitanker, radar. È capitato che in estate gli elicotteri facessero sosta da noi, per fare rifornimento di carburante e acqua, prima di ripartire», ricorda Landi. Perché non rendere stabile la cooperazione con la protezione civile? Ci si può pensare. Intanto, oggi e domani si parla piuttosto di armamento a guida laser e di addestramento delle forze da sbarco della marina militare, di nuovi caccia e dell'istituzione, a Perdasdefogu, del più vasto poligono europeo per l'addestramento di aerei ed elicotteri all'uso di sistemi di guerra elettronica. Quella che potrà evitare ai velivoli italiani di venire colpiti da missili avversari. «Il guaio è che ora in guerra i nostri ragazzi ci vanno sul serio - confida Landi -. Quindi l'addestramento deve essere reale». Alla faccia di chi dice che, in guerra, non ci siamo mai entrati. DIANA ZUNCHEDDU
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