i piloti dei cacciabombardieri australiani si sono rifiutati di lanciare bombe



 stampa di Sydney rivela: i piloti dei cacciabombardieri si sono rifiutati
di lanciare bombe in almeno quaranta azioni di guerra perché ritenevano gli
obiettivi scelti dalle forze Usa «non appropriati»
Iraq, australiani disobbedienti


Scontro a fuoco domenica mattina, al confine Iraq-Iran, fra soldati
americani e guardie di frontiera iraniane: un episodio grave, anche se
entrambe le parti evitano di enfatizzarlo, perché richiama i rischi di
allargamento del conflitto.
Come si sa l'Iran, al pari della Siria, è da tempo sulla "lista nera" come
uno dei prossimi possibili obiettivi della "guerra infinita" di Bush; benché
i guai che gli americani stanno passando non solo in Iraq, ma anche in
Afghanistan, a quasi due anni e mezzo dall'inizio della guerra, dovrebbero
sconsigliare di invischiarsi in altre avventure militari, tanto più in un
anno elettorale.
L'incidente è stato riferito dal generale di brigata Usa Mark Kimmit ed ha
avuto luogo nel Kurdistan, cioè nel nord-est del Paese; secondo l'alto
ufficiale, soldati della IV Divisione di fanteria di pattuglia lungo il
confine «sono stati fatti segno a colpi di arma da fuoco da quelli che si
ritiene fossero militari con indosso uniformi del tutto rassomiglianti a
quelle in dotazione alle guardie di frontiera iraniane; i soldati hanno
adottato misure di autodifesa e risposto al fuoco e subito dopo si sono
disimpegnati». Le fonti Usa aggiungono che sono in corso contatti
«attraverso canali sia diplomatici che militari» per circoscrivere
l'incidente. Sabato l'amministrazione americana in Iraq aveva annunciato
misure per rafforzare la vigilanza lungo i quasi 1.500 chilometri di confine
con l'Iran per prevenire "infiltrazioni". Teheran da parte sua nega
l'accaduto affermando che «l'incidente non c'è mai stato» e respinge al
mittente tutte le critiche e le accuse mosse dagli Stati Uniti.
Naturalmente è possibile che protagonisti dello scontro - se davvero è
avvenuto - siano stati non militari iraniani ma guerriglieri iracheni
travestiti con uniformi simili alle loro; una ipotesi non impossibile, visto
il ritmo incalzante della resistenza che anche nella giornata di domenica ha
ucciso quattro militari americani e ne ha feriti altri a Baghdad e nei
dintorni, e che ancora ieri ha ucciso tre civili, sempre americani, a Mosul.
Solo ieri poi si è saputo, da fonte ufficiale dell'amministrazione
provvisoria, che un ufficiale dell'esercito Usa è stato gravemente ferito a
coltellate sabato sera all'interno della "zona verde", vale a dire l'area
nel centro di Baghdad dove ha sede l'Autorità della coalizione (incluso il
proconsole Bremer) e che è la zona più rigorosamente controllata di tutta la
città. Evidente la preoccupazione delle fonti americane, le quali si sono
cautelate dichiarando che «per il momento non sappiamo se l'aggressore fosse
un iracheno o un altro americano» e adombrando così l'ipotesi che possa
essersi trattato non di un'azione della resistenza ma di un episodio di
"violenza privata"; ipotesi non impossibile ma comunque di carattere
evidentemente liberatorio.
Ma i guai di Bush e Bremer non finiscono qui. A Sydney il comandante di
squadriglia dell'aviazione australiana Daryl Pudney ha detto che piloti di
cacciabombardieri F/A-18 facenti parte della forza intervenuta a fianco
degli anglo-americani si sono rifiutati l'anno scorso di lanciare bombe in
almeno 40 missioni di guerra, ritenendo i bersagli loro assegnati dagli
americani "non appropriati" (cioè non militari, Ndr). Il comandante delle
Forze di difesa australiane, gen. Cosgrove, ha specificato che per
l'accaduto non sono state prese misure disciplinari. Una rivelazione
certamente non gradita per gli americani, tanto più nel momento in cui il
neo-premier socialista spagnolo Zapatero rilancia la prospettiva del ritiro
delle truppe di Madrid dall'Iraq.
Giancarlo Lannutti