dal ilmanifesto del 22\2\2004



sardi si ribellano ai militari
In 5 mila marciano a Cagliari per chiedere lo smantellamento delle basi Usa: vogliamo un referendum popolare Piazza pacifista Al corteo assente una parte della sinistra che alla regione ha votato per la dismissione della base Usa della Maddalena
VITO BIOLCHINI

CAGLIARI
Via i sommergibili nucleari, via gli americani da La Maddalena, via tutte le basi militari dalla Sardegna. In cinquemila lo hanno chiesto ieri sfilando in corteo per le vie di Cagliari. Perché sui 44 mila ettari occupati dalle forze armate in Italia, ben 26 mila sono nell'isola. E tra la popolazione cresce l'allarme per i rischi alla salute. «L'incidenza dei tumori a La Maddalena comincia ad essere alta e la gente ha paura». Maia Maiore sta dietro lo striscione del Cocis, il comitato che nell'isola dell'arcipelago cerca di sensibilizzare la cittadinanza. «Ma la gente teme anche che gli americani se ne vadano lasciando centinaia di disoccupati». Un ricatto che è più di un ricatto, non solo a La Maddalena ma anche a Teulada, Macomer, Perdasdefogu e in tutti gli altri comuni a forte economia «militare». Il corteo, pacifico e variegato, organizzato dal Social Forum cagliaritano con il sostegno di Rifondazione, ha ottenuto l'appoggio di tutte le forze della sinistra eccetto dei Ds, sempre più attorcigliati nelle polemiche sulle candidature alle prossime elezioni regionali e incapaci anche di mettere in piazza una pur minima rappresentanza. Eppure proprio il centrosinistra ha da poco ottenuto un risultato importante, con l'approvazione in consiglio regionale di un ordine del giorno che chiede lo smantellamento della base americana, frutto di un accordo segreto mai ratificato dal parlamento. Il ministro Martino si è infuriato e il Consiglio, per tutta risposta, ne ha chiesto addirittura le dimissioni, con gran scorno della maggioranza di centrodestra. Ma in piazza si è vista soprattutto la sinistra di base, arrivata a Cagliari da tutta la Sardegna. In prima fila gli indipendentisti (Sardigna Natzione e Irs di Gavino Sale, numerosissimi), poi gli ambientalisti del Wwf e di Legambiente, il Social Forum di Cagliari, i sardisti, le varie anime comuniste, i circoli anarchici cagliaritani e sassaresi, le associazioni di impegno civile e gli amici di Valery Melis, il giovane militare ucciso dalla leucemia al ritorno da una missione nei Balcani. Sull'onda della fortunata mobilitazione contro lo stoccaggio delle scorie nucleari nell'isola, il movimento prende coraggio. «Prima chiedevamo di non ampliare la base americana, ora ne chiediamo lo smantellamento in tempi ragionevoli», spiega Mariella Cao del comitato Gettiamo le basi. «La pressione popolare è servita per fermare l'arrivo delle scorie radioattive e servirà anche per far chiudere la base americana. Ma devono impegnarsi soprattutto le amministrazioni locali». La colonna sonora del corteo è fatta di brani di De Andrè e degli U2, c'è chi canta Bella ciao. Sotto i portici del consiglio regionale si improvvisa una capoeira, la compagnia «L'aquilone di Viviana» mette in scena una performance contro la guerra. «La riuscita di questa manifestazione è significativa», spiega Franco Uda dell'Arci, «perché frutto di un'adesione non ideologica e basata sul rispetto del territorio e delle popolazioni. Da sardi, il nostro no alla guerra non può che passare attraverso il rifiuto della presenza del nostro territorio delle basi militari. Questa è la prima tappa verso la manifestazione del 20 marzo, quando in tutta Europa si chiederà il ritiro delle truppe dall'Iraq». Il movimento si affida anche ad un referendum consultivo sulla permanenza americana a La Maddalena. La raccolta di firme va avanti, anche se poco sostenuta dai mezzi di informazione locale. Ad indire un referendum la sinistra ci aveva provato anche vent'anni fa. Finì con la bocciatura della Consulta e anche oggi il rischio è lo stesso, «ma vogliamo sommergerli ugualmente con le nostre firme», spiegano i promotori. Andrea Quiliquini, storico esponente del Wwf gallurese, ricorda l'alleanza con gli attivisti corsi: «Un mese fa è nato il Collettivo di intesa e difesa sardo-corso. Ambientalisti e partiti di entrambi gli schieramenti per la prima volta si sono trovati assieme per chiedere l'allontanamento del pericolo nucleare dall'arcipelago della Maddalena. Perché gli americani possono anche restare, ma i loro sommergibili no». «Smantellamento subito», chiede invece il segretario regionale di Rifondazione Sandro Valentini. «Questa è una nostra richiesta da sempre e dire che si è contro la base americana ora non basta più. Ci vuole un impegno costante con momenti di lotta. E oggi si è visto chi è contro solo a parole». Una frecciata a Renato Soru, assente in piazza ma che recentemente a La Maddalena si è detto contrario alla presenza americana? «A lui e a tutti quelli che ipotizzano una dismissione nei prossimi vent'anni. Perché in vent'anni una base nucleare può fare danni irreparabili».


La Maddalena inquinata dall'uranio»
Parla il coordinatore delle indagini effettuate nel mare vicino alla base americana
PIETRO LUPPI
Bruno Charreyron, ingegnere specializzato in fisica nucleare, ha coordinato le rilevazioni del Criirad (commissione di ricerca e di informazione indipendente sulla radioattività) nella zona dall'isola di Maddalena a Bonifacio al fine di stabilire il livello di radioattività nelle acque.

Quali sono stati i risultati di questa ricerca?

Abbiamo preso campioni di alghe che sono state raccolte dalle associazioni locali: il Wwf sardo e l'Abcd di Bonifacio. In queste alghe, che abbiamo studiato nel nostro laboratorio in Francia, non abbiamo trovato radionuclei artificiali ma un eccesso di torio 234 che mostra un eccesso di uranio 238; cioè, su due campioni di alghe raccolte vicino alla base di S. Stefano alla Maddalena abbiamo misurato un eccesso di questo elemento radioattivo, il Torio 234.

L'uranio 238 è un elemento chimico riconducibile alla combustione nucleare che alimenta i sommergibili americani presenti nella zona?

Questo uranio può essere di origine naturale. Il problema è che la quantità che abbiamo misurato è di 4000 bequerel per chilogrammo secco, mentre la normalità è di qualche decina di bequerel per ogni chilogrammo secco. Dunque la domanda è: a cosa è dovuto questo eccesso di uranio? Può essere una presenza naturale, ma può anche avere un'origine militare. Io non penso che sia direttamente in relazione con l'incidente del sottomarino avvenuto nel novembre scorso. Credo piuttosto sia in relazione con le attività della base nucleare di S. Stefano o delle altre installazioni militari presenti nella zona. Esiste un tipo di uranio che viene chiamato «impoverito» ed è utilizzato dai militari. Le ricerche che abbiamo fatto non sono abbastanza complete per stabilire se si tratti di uranio naturale o di uranio impoverito. Per rispondere a questa domanda abbiamo bisogno di fare nuove misurazioni: il problema è che le nuove analisi che dovremmo fare costano molto. Il nostro laboratorio non è statale, ma di un'associazione. Le prime analisi le abbiamo realizzate usando i nostri soldi, ma se la popolazione locale vorrà avere informazioni più complete dovrà aiutarci.

Come mai chiedete un contributo alle collettività locali e non alle istituzioni? In questo problema sono coinvolte le autorità italiane, quelle francesi, per non parlare poi di quelle statunitensi, che sono alla fonte di tutto.

La nostra associazione vuole essere totalmente indipendente dal potere politico e da quello economico-industriale. Siamo nati in Francia nel 1986 dopo la catastrofe di Chernobyl: in quell'occasione abbiamo dimostrato che il territorio francese era contaminato, mentre il governo negava che nel nostro paese ci fosse inquinamento nucleare. E' per questo motivo che noi teniamo molto a essere indipendenti dagli stati.

Poco più di un mese e mezzo fa l'Istituto di radioprotezione e sicurezza nucleare francese ha comunicato che nelle Bocche di Bonifacio i livelli di radioattività sono normali, come mai?

Il problema è che questo istituto ufficiale non ha raccolto campioni vicino alla base di Santo Stefano. Stiamo aspettando che i laboratori ufficiali ci diano altri risultati, ma che si riferiscano allo stesso parametro con il quale abbiamo misurato noi: il torio 234 rilevato su campioni di alghe raccolte vicino alla zona di Santo Stefano


LA MADDALENA
Storia di una servitù militare
MANLIO DINUCCI
Il fatto che il consiglio regionale sardo (con una maggioranza di centro-destra) abbia chiesto lo smantellamento della base Usa della Maddalena, e le dimissioni del ministro della difesa Martino che ne ha autorizzato l'ampliamento, riporta in primo piano la vicenda apertasi cinquant'anni fa. E' nel 1954, infatti, che viene stipulato l'accordo segreto fra Italia e Stati uniti relativo a «infrastrutture bilaterali», nel cui quadro viene costituito a La Maddalena un «punto di approdo per una nave appoggio della Us Navy per sottomarini da attacco». Sotto questa denominazione viene in effetti costruita una vera e propria base per i sottomarini da attacco nucleare della Sesta flotta. Trent'anni dopo, nel 1984, il ministro della difesa Spadolini sostiene ancora che si tratta di «uno speciale punto di attracco oggetto di vari accordi (nel 1954, 1972 e 1978) tra il governo italiano e quello degli Stati uniti, e mai si è pensato di trasformarlo in base operativa». Spadolini garantisce anche che «non esistono missili nucleari Cruise, tipo quelli di Comiso, a La Maddalena né nelle acque territoriali italiane». Viene però sconfessato quattro anni dopo da una ricerca compiuta, anche sulla base di documenti ufficiali declassificati, da due analisti statunitensi, William Arkin e Joshua Handler (Briefing paper on La Maddalena: a key site for sixth fleet Tomahawk Cruise missiles, Greenpeace News, 22 giugno 1988). «La base della marina statunitense a La Maddalena - documentano - si trova al centro della corsa agli armamenti nucleari navali nel Mediterraneo. La Maddalena costituisce uno dei più attivi e completi depositi nucleari e centri di riparazioni della marina statunitense. Nessun'arma nucleare è depositata a terra alla Maddalena, ma la nave appoggio Orion per sottomarini, ormeggiata all'isola di Santo Stefano, funge da deposito galleggiante di armi nucleari». Essa è stata trasformata infatti, nel 1983, in «unità addetta allo stivaggio e al trasbordo dei Tomahawk (missili da crociera lanciati dal mare) a testata nucleare». Per di più, «i sottomarini che visitano regolarmente la base trasportano armi nucleari nelle acque italiane».

Finita la guerra fredda, La Maddalena è divenuta ancora più importante nella strategia statunitense: alla sua funzione di base di appoggio per i sottomarini armati di missili a testata nucleare si è aggiunta quella di base di appoggio delle operazioni belliche in Medio Oriente e nei Balcani. Nelle due guerre contro l'Iraq e in quella contro la Jugoslavia i sottomarini riforniti e assistiti da questa base hanno attaccato gli obiettivi dal Mediterraneo, usando missili da crociera Tomahawk a testata convenzionale (non nucleare) con gittata di oltre 1.100 km. E, dato che la strategia statunitense prevede altre guerre, la base della Maddalena deve ora essere ampliata e potenziata.

Rientra in tale quadro la sostituzione della nave appoggio Simon Lake, nel 1999, con la più moderna Emory Land: dotata di 13 ponti e 913 settori specifici, con un personale di 1200 marinai e tecnici, essa è in grado di rifornire e riparare simultaneamente 12 sottomarini. E' progettata per assistere in particolare i sottomarini da attacco della classe Ssn 668 Los Angeles: nati per la guerra sottomarina contro le forze navali sovietiche, queste unità hanno assunto successivamente anche altre funzioni, tra cui quella di attacco di obiettivi terrestri con missili Tomahawk e di incursione in territorio nemico con forze speciali. Sono per questo armati, oltre che di siluri Mk-48, di missili Harpoon e Tomahawk, sia a testata convenzionale che nucleare.

La fine della guerra fredda non ha dunque fatto diminuire ma aumentare i pericoli derivanti dalla base della Maddalena. Anzitutto quelli dovuti agli incidenti dei sottomarini a propulsione nucleare, dei quali la popolazione e anche le autorità sono tenute all'oscuro.

Le uniche notizie che si hanno sono quelle sfuggite alla cappa del segreto militare. Il 22 settembre 1972, ad esempio, entra nella rada della Maddalena, per esservi riparato, il sottomarino Ray, danneggiato da un urto contro il fondale; il 19 giugno 1982, la nave appoggio Orion lascia l'ormeggio di S.Stefano per riparare, poco lontano, un altro sottomarino danneggiato; il 13 novembre 2002, il sottomarino Oklahoma City resta danneggiato in una collisione nel Mediterraneo e viene quindi portato alla Maddalena; il 25 ottobre 2003 si incaglia nelle acque dell'arcipelago maddalenino il sottomarino Hartford: il contrammiraglio Stanley parla di «incidente di piccola entità», ma silura i vertici della base che vengono destituiti. La possibilità di fughe radioattive e di altre sostanze pericolose, sia in caso di incidenti che di normali riparazioni, è dunque reale. Il sistema di rilevamento è stato lasciato a un livello inaffidabile, nonostante che alla Maddalena si siano verificati diversi casi di malformazione cranica dei neonati che potrebbero derivare da inquinamento radioattivo.

La possibilità di un incidente catastrofico è reale: tra i compiti della nave appoggio Emory Land vi è quello di «riparare e testare i sistemi nucleari», ossia i reattori (in genere ad acqua pressurizzata) a bordo dei sottomarini. Così l'Italia, che con il referendum del 1986 ha deciso la chiusura dei reattori elettronucleari, è esposta a un rischio ancora maggiore. Non si può neppure escludere la possibilità di una esplosione che, pur non innescando una reazione a catena nucleare, diffonderebbe radioattività in un vasto raggio. La Maddalena potrebbe così divenire una nuova Chernobyl. Il nuovo piano di evacuazione, preparato nel 2003 dai ministeri dell'interno e della difesa «in sostituzione di un precedente piano classificato» (ossia ignoto alla popolazione), appare del tutto inaffidabile: in 60 minuti dovrebbero essere evacuate 15 mila persone. Come il primo, sarebbe rimasto a conoscenza di pochi se l'Unione sarda non ne avesse pubblicate alcune parti il 16 dicembre.

Vi è infine un aspetto non meno pericoloso: La Maddalena, che non è una base Nato ma solo statunitense, rientra a tutti gli effetti nella catena di comando del Pentagono. Pur essendo in territorio italiano, essa è quindi sottratta a qualsiasi meccanismo decisionale italiano. Quando e come deve essere usata viene deciso a Washington. Così, quando il governo statunitense decide di attaccare un paese, l'Italia è automaticamente coinvolta, indipendentemente da qualsiasi decisione parlamentare.