perché difendiamo la legge 185/90



Difendiamo la legge!

Ciò che rende innovativa la legge 185/90 sono le misure di trasparenza e i divieti di esportazione di armamenti espressi nell’art. 1, comma 6:

·       verso Paesi in stato di conflitto armato e in contrasto con i principi dell’art. 51 della Carta delle Nazioni Unite, che vieta l’uso della forza armata;
·       verso Paesi la cui politica contrasti con l’art. 11 della Costituzione, quindi, verso gli Stati che si dimostrino propensi a mettere in atto aggressioni;
·       verso Paesi nei cui confronti sia dichiarato un embargo dalle Nazioni Unite;
·       verso Paesi i cui governi siano responsabili di accertate violazioni delle convenzioni internazionali in materia di diritti dell’uomo;
·       a Stati che, ricevendo aiuti dall’Italia, destinino al bilancio militare risorse eccedenti rispetto alle esigenze di difesa del Paese.

Per l’importanza che attribuisce al rispetto e alla promozione dei diritti umani, alla prevenzione dei conflitti e per le formulazioni avanzate dei divieti, la legge italiana rappresenta un modello nel panorama internazionale, che tuttavia, in dieci anni di applicazione, è stato disatteso sotto diversi aspetti. La 185 è stata aggirata attraverso un susseguirsi di atti regolamentari e da una tendenza interpretativa sempre più riduttiva, che rischiano di vuotare la disciplina.
 Sono state sottratte, infatti, all’applicazione di questa legge la maggior parte delle armi leggere classificate come “civili” e sono finite in Sierra Leone e nella ex Jugoslavia malgrado gli embarghi delle Nazioni Unite.
Per salvaguardare “la riservatezza commerciale delle imprese” il Governo ha diminuito la quantità e la qualità delle informazioni contenute nella Relazione Annuale alle Camere e, di conseguenza, il ruolo di controllo e indirizzo del Parlamento. Non è più possibile incrociare i dati relativi alle armi vendute coi Paesi destinatari e, quindi, sapere con esattezza cosa si è esportato e a chi.  
Una delibera restrittiva ha affidato l’accertamento delle violazioni dei diritti umani (che fa scattare automaticamente il divieto dell’art. 1) solo ad organi delle Nazioni Unite e dell’Unione Europea che si sono dimostrati inappropriati e non particolarmente attivi nell’infliggere condanne. Inoltre il Ministero degli Esteri valuta discrezionalmente “il grado di tensione” del conflitto o la misura della “latente conflittualità” e quindi decide, di volta in volta, quali tipi di armamento tollera la guerra in corso. 

Il 29 dicembre 1999 il Governo italiano, con l’alibi dell’ “europeizzazione” del mercato e delle regole, aveva già presentato un Disegno di legge favorevole alle esigenze ed alle posizioni dell’industria militare ed ai “venti” di revisione che hanno ispirato numerose proposte di modifica avanzate negli ultimi anni.
Negli ultimi anni si mira, attraverso accordi e disegni di legge che si susseguono sempre più frequentemente, a sottrarre dall’applicazione della 185/90 le coproduzioni industriali di materiali di armamento con Paesi membri dell’UE, dell’Unione dell’Europa occidentale e della NATO, che verrebbero regolati esclusivamente da specifici accordi intergovernativi. I vari pezzi e componenti d’arma fabbricati in Italia sarebbero quindi esportati liberamente nei Paesi partners per un particolare progetto, e venduti poi ad un acquirente che non necessariamente debba rispondere alle caratteristiche richieste dalla 185. In assenza di una regolamentazione internazionale adeguata e con il solo ausilio di un Codice di Condotta Europeo non vincolante, lacunoso in molti aspetti e più debole rispetto alla disciplina della 185, vi è il grave rischio di consegnare armi e soprattutto tecnologia  a paesi instabili che non danno alcuna garanzia sul rispetto dei diritti umani o che potrebbero riesportarle a terzi destinatari verso cui, dall’Italia, non sarebbe possibile il trasferimento.

Oltre a ridimensionare il ruolo del Ministero degli Affari Esteri a vantaggio del Ministero della Difesa, ad esempio nell’aggiornamento dei materiali a cui si applica questa disciplina, si vuole anche eliminare il ruolo consultivo che possono svolgere le organizzazioni non governative, sulla situazione dei diritti umani nei Paesi importatori di armi.


La trasparenza nella l. 185/90

Uno degli aspetti legati al commercio di armi che quindi ci preme di più è quello della trasparenza.
L’art 5 della l. 185/90 stabilisce che il Governo, entro il 31 marzo di ciascun anno, riferisca al Parlamento in merito alle operazioni autorizzate e a quelle svolte entro il 31 dicembre dell’anno precedente presentando una Relazione Annuale composta di sette allegati, in ognuno dei quali ciascun Ministero coinvolto informa sulle proprie attività. Ma se le prime due Relazioni presentate al Parlamento indicavano in una tabella il tipo di arma esportata, il valore, la quantità e il Paese acquirente, dal 1993, per tutelare "la riservatezza commerciale delle imprese" è stata omessa la colonna che permetteva di individuare l’importatore. Attualmente, quindi, solo incrociando i dati delle varie tabelle si riesce a ricostruire una parte delle esportazioni.
La Relazione Annuale ha il pregio della completezza, poiché contiene una grande quantità di dati, ma difetta sul versante della chiarezza e non risulta "leggibile" a causa della mole di dati disaggregati. In particolare bisognerebbe tornare ad indicare con chiarezza il tipo di armamenti forniti ai vari Stati come avveniva sino al 1993 (e come avviene nel Rapporto Annuale del Regno Unito che, però, a sua volta non indica la quantità e l’importo totale dell’esportazione).

A livello internazionale
Subito dopo la guerra del golfo, nel 1991, è stato creato il Registro ONU delle Armi Convenzionali. Ogni Stato che ha aderito deve comunicare annualmente le vendite e le importazioni di grandi sistemi d’arma (carri armati, aerei, navi da guerra...). Tuttavia il Registro ONU non obbliga gli Stati a dichiarazioni complete e veritiere e molti Paesi, in particolare quelli dell’area del Medio Oriente (tra cui l’Arabia Saudita), non hanno aderito. Inoltre, questo strumento non contempla le armi leggere, perciò molti Stati, rilevando tale anomalia, hanno chiesto l’estensione a tali equipaggiamenti.
 Un importante passo in avanti è stato compiuto con l’adozione nel 1998 del Codice di Condotta dell’Unione Europea sulle Esportazioni di Armi. Ma il Rapporto Consolidato dei Paesi dell’UE sui trasferimenti di armi è assolutamente scarno e insufficiente.
Tutti questi strumenti sono complementari tra loro, ma necessitano di essere migliorati nelle lacune, applicati rigorosamente, armonizzati, estesi a tutti gli Stati e a tutte le categorie di armi, e, soprattutto, resi obbligatori.

Obiettivi
·       L’obiettivo principale è quello di ottenere informazioni complete sui destinatari. Vogliamo sapere quali sono i Paesi importatori di tutti i trasferimenti (come è avvenuto nelle prime due Relazioni Annuali).
·       Vogliamo inoltre che vengano inserite nella Relazione Annuale informazioni sulle esportazioni di armi leggere non comprese nell’applicazione della legge.
·       Uno degli obiettivi che la Campagna si propone è quello di ottenere in primavera è una discussione in Parlamento in occasione della presentazione della Relazione Annuale (in aprile). In particolare, cercheremo di spingere i parlamentari a chiedere la discussione (che non si è mai veramente tenuta in 12 anni!) informandoli e chiedendo loro di esprimere le nostre preoccupazione. Uno degli scopi della Campagna è infatti quello di stimolare il ruolo di controllo del Parlamento.




---

SCHEDA A CURA DELLA CAMPAGNA IN DIFESA DELLA LEGGE 185/90