export armi: il quadro europeo



IL QUADRO EUROPEO

·       2 giugno 1998: approvazione del Codice di Condotta Europeo.

Il Codice di Condotta approvato dai Ministri degli Esteri il 2 giugno 1998 è stata un’iniziativa importante in quanto ha rappresentato un primo passo verso lo sviluppo di un approccio comune responsabile sull’export di armi da parte degli Stati Membri dell’Unione Europea.
Il Codice è basato sui seguenti 8 criteri:
1) Il rispetto degli impegni internazionali degli Stati membri EU, in particolare delle sanzioni decretate dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite e di quelle decretate dall’Unione, degli accordi sulla non-proliferazione e su altri punti, così come degli altri obblighi internazionali.
2) Il rispetto dei diritti umani  da parte del Paese di destinazione finale.
3) La situazione interna del paese di destinazione finale, in funzione dell’esistenza di tensioni o conflitti armati.
4) Il mantenimento della pace, sicurezza e stabilità regionale.
5) La sicurezza nazionale degli Stati membri e dei territori la cui politica estera dipenda dalla responsabilità di uno Stato membro, così come dei Paesi alleati o amici.
6) L’atteggiamento del Paese acquirente nei confronti della comunità internazionale, con particolare attenzione al suo comportamento nei confronti del terrorismo, alla natura delle sue alleanze e al rispetto del diritto internazionale.
7) L’esistenza del rischio che l’equipaggiamento possa essere deviato all’interno del Paese acquirente o verso destinazioni indesiderate.
8) La compatibilità delle esportazioni d’armi con la capacità tecnica ed economica dello Stato ricevente, tenuto conto del fatto che gli Stati dovrebbero soddisfare le proprie esigenze legittime di sicurezza e di difesa con un coinvolgimento minimo delle risorse umane ed economiche per gli armamenti.

Purtroppo l’accordo, oltre ad essere troppo vago sulle modalità di applicazione dei suddetti principi e, soprattutto, a non essere vincolante, presenta ancora ampie lacune nel garantire un pieno rispetto del diritto umanitario internazionale e delude nell’istituzione di meccanismi e procedure adeguate affinché gli Stati Membri possano promuovere iniziative efficaci di controllo e monitoraggio sui trasferimenti di armi da parte degli Stati Membri e sulle loro esportazioni nazionali di servizi ed equipaggiamenti militari, paramilitari e di sicurezza.
Nonostante numerosi appelli da parte di molte organizzazioni non-governative europee, non sono stati contemplati espliciti divieti a proibire trasferimenti a forze che con grande probabilità potrebbero utilizzare tali trasferimenti per commettere gravi violazioni del diritto umanitario internazionale (che definisce le regole di guerra). Inoltre, teoricamente  non vi sono disposizioni per arginare le attuali lacune nei regimi di controllo sull’export di armi in molti Stati europei, così come mancano stringenti regolamentazioni sulle intermediazioni internazionali e sulle licenze di produzione, o provvedimenti per adottare rigorosi sistemi di certificazione e monitoraggio sull’uso finale.
Infine, il Codice non prevede alcuna disposizione per uno scrutinio pubblico e parlamentare sui trasferimenti di armi dall’Europa, creando così uno stimolo insufficiente per una maggiore trasparenza e affidabilità sul commercio di armi in Europa. E’ necessario rettificare queste omissioni nel prossimo futuro se è vero che il Codice deve raggiungere quegli obiettivi di elevati standard comuni nell’obiettivo di regolamentare severamente i trasferimenti di armi.
E oggi la mancanza di trasparenza è resa ancora più inquietante dalla continua crescita di programmi di coproduzioni europee.
Mentre alcuni Stati Membri continuano a rifiutarsi di redigere rapporti annuali dettagliati sulle loro esportazioni di armamenti, ai cittadini dell’Unione Europea sono negate le informazioni necessarie per valutare se le azioni dei loro governi contrastino con le dichiarazioni ufficiali. Le ONG europee chiedono ai loro governi di rendere pubbliche informazioni dettagliate su:
·       quali licenze d’esportazione di armi sono state concesse dagli Stati Membri e verso quali destinazioni;
·       quali licenze sono state invece respinte e per quale motivo;
·       se qualche Stato Membro ha concesso licenze respinte da un altro Stato Membro.

Il 5 ottobre 2000 il Parlamento Europeo ha invitato a rendere vincolante e più restrittivo il Codice di Condotta Europeo. Le ONG sostengono questo invito e chiedono con urgenza agli Stati Membri di introdurre:
·       controlli sulle licenze e l’istituzione di un registro dei mediatori di armi europei;

·       un rigoroso sistema comune per monitorare  l’utilizzo finale delle armi europee esportate;
·       controlli sulle licenze di produzione di armi all’estero da parte di compagnie europee.


·       15 novembre 2000: ratifica dell’OCCAR.

In Italia, il 15 novembre 2000 la Camera dei Deputati ha ratificato in via definitiva (legge n° 348) la convenzione tra i Governi italiano, francese, tedesco e britannico sull’istituzione dell’Organizzazione Congiunta per la Cooperazione in materia di Armamenti (OCCAR), un accordo che era stato firmato e presentato all’air show di Farnborough il 9 settembre 1998.
L’Organizzazione congiunta è stata istituita con l’obiettivo di pervenire ad una comune politica in tema di approvvigionamento degli armenti, nell’ottica della realizzazione di un’Agenzia europea per gli armamenti. 
L’Organizzazione si propone di coordinare a livello europeo le politiche relative al settore della difesa per permettere di ridurre i costi della ricerca e dell’approvvigionamento di armamenti, di migliorare la competitività dell’industria militare europea (in particolare nei confronti dei grandi colossi statunitensi), di coordinare e promuovere attività congiunte  per migliorare l’efficacia della gestione dei progetti di cooperazione in termini di costo, tempi e prestazioni, di promuovere i contatti tra le imprese. Se sono chiari i motivi economici che hanno portato Francia, Germania, Italia e Regno Unito a sottoscrivere questo accordo, meno chiari sono i meccanismi decisionali che regoleranno le future esportazioni di armamenti dall’Europa e relative conseguenze. Quali le preoccupazioni? Viene meno, in particolare, ogni garanzia a difesa delle leggi italiane sui trasferimenti di armamenti tra gli Stati, in particolare la legge 185/90. Sottolineiamo ancora una volta che, tra i quattro stati firmatari, l’Italia possiede al momento le leggi migliori nello stabilire da un lato un controllo efficace del Parlamento, dall’altro il divieto di commerciare con Paesi in guerra, che non rispettino i diritti umani e che non offrano sufficienti garanzie sulla capacità di prevenire triangolazioni. La ratifica di questo accordo internazionale trasferisce ad un organismo diverso dal Parlamento nazionale il controllo sulla gestione dello scambio internazionale di armamenti. La direzione da seguire è invece quella opposta: chiedere agli altri Stati europei l’adozione di criteri rigorosi nello scambio e nel controllo degli armamenti, nell’ottica della stabilità internazionale e del rispetto dei diritti umani.
Un altro elemento allarmante è costituito dal fatto che all’Organizzazione sarà attribuita la personalità giuridica che le permette di avere capacità negoziale propria (stipula di contratti, assunzione di personale, conduzione di attività negoziali in genere).
Il testo dell’accordo non prevede alcun criterio etico nella scelta dei Paesi, organizzazioni ed istituzioni con i quali l’OCCAR intende concludere contratti, acquisire e cedere tecnologia, fornitura e struttura militari. La legge di ratifica intende svuotare di ogni contenuto non solo la legge 185/90, ma anche i timidi tentativi posti in essere con il Codice di Condotta europeo del 1998 per dotare i Paesi dell’Unione Europea di criteri guida omogenei nelle relazioni commerciali con Paesi terzi nel commercio di armamenti, nell’assistenza militare e nella cooperazione per la ricerca tecnologica. Per quanto riguarda la possibilità di avviare procedimenti legali, è da considerarsi che la posizione contrattuale dell’OCCAR sarebbe al riparo di un accordo internazionale ratificato dai Parlamenti nazionali, e sarebbe quindi in grado di prevalere in sede giudiziaria nei confronti di provvedimenti e scelte di livello nazionale, che dipendano anche da ragioni etiche, che vadano contro gli interessi dell’OCCAR. 
E ci chiediamo poi quali meccanismi di trasparenza consentiranno il controllo da parte dei parlamenti nazionali. Secondo l’articolo 5 della convenzione sono previste relazioni annuali sull’andamento di ogni singolo programma. A chi verranno presentate tali relazioni? E saranno comunicate ai parlamenti “a giochi fatti” (come già succede in Italia con la relazione Annuale del Presidente del Consiglio che riferisce al Parlamento solo delle autorizzazioni già concesse nell’anno precedente)? Le relazioni annuali, inoltre, riguarderanno solo i progetti (probabilmente di ricerca), non le altre attività e le trattative dell’OCCAR.
Già dal 1998 stiamo assistendo alla continua sottrazione dei programmi di coproduzione militare dalla Relazione annuale che il Presidente del Consiglio presenta al Parlamento in base all’art. 5 della legge 185/90 (come l’importante programma Eurofighter e quello dell’elicottero NH90). Le relazioni presentate negli ultimi anni presentano gravi lacune su questo versante e con questo accordo si continua ad andare verso la pericolosa direzione dell’eliminazione dall’informazione al Parlamento dei programmi di coproduzione militare più importanti, economicamente e strategicamente, in cui sono coinvolte le industrie italiane di armamenti. Le coproduzioni in ambito europeo coprono già il 50% delle esportazioni italiane, senza che alcun controllo possa essere esercitato dal Parlamento e da organismi di controllo indipendenti.

·       27 luglio 2000: firmato l’Accordo quadro relativo alle misure per facilitare la ristrutturazione e le attività per la difesa europea.

Nella stessa direzione di successivi snellimenti procedurali e liberalizzazione degli scambi in ambito europeo va il Framework Agreement Concerning Measures to Facilitate the Restructuring and Operation of the European Defense Industry, che presto potrebbe essere ratificato dal Parlamento italiano, e che minerebbe definitivamente qualsiasi possibilità di controllo democratico sulle esportazioni di armamenti.
L’accordo quadro è stato firmato il 27 luglio 2000 dai Ministri della Difesa di Francia, Germania, Italia, Spagna, Svezia, Regno Unito, ossia i Paesi che nel totale esportano il 90% degli armamenti europei.
Esso delinea una struttura di base per la discussione sulle misure per facilitare la ristrutturazione dell’industria europea della difesa. L’accordo è legalmente vincolante, con lo status di trattato internazionale, e prevede la ratifica da parte dei parlamenti nazionali.
L’Accordo quadro ha un impatto diretto sulle politiche e sulle procedure di controllo delle esportazioni dei Paesi firmatari. Scopo dell’Accordo è facilitare la ristrutturazione dell’industria della difesa europea in modo tale da renderla più competitiva sul mercato globale. L’Accordo prevede di:
·       semplificare e ridurre le procedure di controllo delle esportazioni in tutti i programmi di coproduzione tra i 6 Stati partecipanti. L’industria sostiene frequentemente che l’esistenza di procedure per il rilascio di licenze impedisce le coproduzioni tra i Paesi europei. Questo accordo consentirà la libera circolazione delle componenti e dei prodotti finali di coproduzioni tra i 6 Paesi. Diventa così più che probabile che ciò si traduca nell’allentamento di quasi tutti i controlli sui trasferimenti di armi tra i 6 Paesi, per i beni destinati all’uso interno, o delle successive esportazioni all’interno dell’EU.
·       assicurare che le decisioni sulle licenze di export saranno prese in base ad un consenso comune, di tutti gli Stati partecipanti alla coproduzione. Attualmente la decisione sulla destinazione finale dell’equipaggiamento coprodotto è di responsabilità del Paese in cui si realizza l’ultimo assemblaggio. Ad esempio, Francia , Germania, Regno Unito e Svezia possono partecipare tutti ad una coproduzione, ma se il prodotto finale viene assemblato in Francia la decisione sulla destinazione finale può essere presa solo dalla Francia. In base ai termini di questo nuovo Accordo tutti i Paesi partecipanti dovranno esprimere la loro opinione sulla destinazione finale. Ad ogni modo, sebbene si tratti di un processo di decisione all’unanimità è molto probabile che l’influenza del Paese sulla destinazione finale sarà proporzionata al ruolo ricoperto nel progetto: ad esempio, se la Spagna fornisce solamente minuteria e bulloni per un aereo, il suo potere di veto riguardo all’esportazione sarà minimo.
·       redigere una “Lista bianca” di destinazioni accettabili. Per ogni coproduzione gli Stati Partecipanti concorderanno una “Lista bianca” di destinazioni legittime verso le quali gli equipaggiamenti di difesa potranno essere esportati. Queste liste potranno variare in base al progetto - per esempio restrizioni sull’esportazione di un elicottero potranno essere differenti rispetto a quelle per le armi leggere.
Mentre molti ufficiali governativi coinvolti nelle negoziazioni sostengono che si tratti di un’iniziativa positiva, vi sono diversi punti dell’Accordo che sono causa di preoccupazione da parte di ONG e di parlamentari impegnati nella richiesta del rafforzamento dei controlli sull’export di armi.
·       Vi è la reale possibilità che i controlli verranno ridotti al minimo comun denominatore. L’Accordo afferma esplicitamente che ogni nuova intesa avverrà nell’ambito del Codice di Condotta Europeo sulle Esportazioni di Armi”. Tuttavia, dal momento che i criteri del Codice sono soggetti ad interpretazioni differenti, ci potrebbero essere considerevoli differenze tra i 6 partecipanti sulla legittimità di alcuni potenziali destinatari di armi. Inoltre, nel Codice si dice con chiarezza che è inteso come un “minimum set of guidelines”, che non pregiudica l’adozione di standard superiori da parte degli Stati Membri, ed è noto che le politiche nazionali di controllo delle esportazioni di alcuni Paesi europei - tra i quali Italia, Germania, Spagna (che sono tra i 6) - sono più restrittive del Codice. Ora, procedure semplificate per l’esportazione di armi sollevano preoccupazioni sul rischio di allentamento dei più rigorosi criteri di questi Paesi, aumentando la possibilità che i controlli UE verranno appiattiti sul minimo comun denominatore.
·       Le “Liste bianche” non verranno rese pubbliche. Scopo dell’Accordo è promuovere un’industria della difesa europea competitiva. Le liste bianche non verranno rese note per motivi di “riservatezza commerciale”. Ciò si contrappone al principio stabilito dal Codice di Condotta Europeo di promuovere una maggiore trasparenza tra i 15 Paesi membri dell’UE.


·       Il disegno di legge 1927.

E’ attualmente in discussione il disegno di legge n.1927 recante la ratifica ed esecuzione dell’accordo quadro relativo alle misure per facilitare la ristrutturazione e le attività per la difesa europea, che comporta, al contempo, emendamenti alla legge n. 185/90.
La modifica principale consiste nell’introduzione di un nuovo tipo di autorizzazione alle esportazioni di armamenti, la cosiddetta autorizzazione globale di progetto.

La legge vigente che regola la trasparenza e il controllo del commercio italiano di materiali di armamenti, ossia la 185/90, si caratterizza di tre aspetti distintivi:
1. il principio secondo cui le esportazioni sono subordinate alla politica estera dell’Italia, alla Costituzione e ad alcuni principi del diritto internazionale, da cui discendono i divieti di cui all’art.1.5 e 1.6 (tra cui il divieto di esportare armi se queste contrastino con la lotta al terrorismo internazionale, il divieto di esportare a stati che responsabili di violazioni delle convenzioni internazionali sui diritti umani e il divieto di esportare a paesi in stato di conflitto), che hanno anticipato i criteri del Codice di Condotta Europeo;
2. il sistema di controllo che prevede chiare procedure di rilascio delle autorizzazione e meccanismi di controllo successivi, segnando una chiara distinzione tra mercato lecito e illecito. Di estrema importanza è il divieto di cedere armi quando manchino adeguate garanzie sulla destinazione finale, richiedendo che alla domanda di autorizzazione sia allegato un certificato di uso finale attestante che il materiale non verrà riesportato senza preventiva autorizzazione dell’Italia. E’ rilevante che la legge richieda che il CUF sia rilasciato dalle autorità governative: per cercare di evitare traffici illeciti e il fenomeno delle triangolazioni si mira a coinvolgere le autorità del paese in modo da impegnarlo a svolgere un’attività di controllo sugli operatori economici;
3. infine la legge recepisce le istanze di trasparenza interna ed esterna emerse in sede ONU prevedendo un’ampia e significativa informazione al Parlamento, e quindi all’opinione pubblica, sulle esportazioni e importazioni di armi italiane, tramite la presentazione di una relazione annuale al Parlamento del Presidente del Consiglio dei Ministri, che riporta dati dettagliati su azienda fornitrice, materiale esportato, valore, destinatario finale, banche coinvolte, etc.
Per tali norme e principi l’Italia si colloca in una delle posizioni più avanzate a livello europeo, sul versante della trasparenza, dei controlli e della prevenzione dei conflitti, ed è risultata uno dei paesi meno coinvolti nel riarmo di paesi instabili quali ex Jugoslavia, Iraq e Afghanistan.

Il disegno di legge 1927 ruota attorno all’introduzione di una nuova modifica dell’autorizzazione all’esportazione di materiale di armamento: l’autorizzazione di progetto globale.
Fino ad oggi, secondo la legge vigente, esisteva un unico tipo di licenza individuale, da rilasciare all’operatore per l’esportazione, importazione e transito sia di pezzi che di componenti che di materiali finiti.
Nella domanda di autorizzazione doveva essere specificato il tipo di materiale da esportare, il valore, i compensi per intermediazioni finanziarie, il destinatario intermedio e il destinatario finale. Ad essa doveva essere allegato un certificato di uso finale, rilasciato dalle autorità governative del paese destinatario.
Il procedimento autorizzatorio era preceduto da un’autorizzazione alle trattative e da una autorizzazione alle transazioni bancarie e seguito da controlli successivi, documentazione a dogana, certificato di arrivo a destino.
Il concorso e l’elevato livello di collaborazione tra diversi ministeri (Esteri, Difesa, Tesoro, Finanze, etc.) limitava i pericoli di collusione e garantiva l’efficacia di controlli previsti per legge tramite un incrocio dei dati finanziari, fiscali, doganali ed economici. Nel caso di coproduzioni internazionali con partner europei o Nato, le rigorose procedure autorizzatorie si applicavano a ciascun componente esportato, con il fine di evitare che tali pezzi e componenti di marca italiana venissero assemblati in un paese estero e successivamente trasferiti a stati terzi considerati secondo la politica estera italiana e la nostra normativa, inaffidabili o a rischio.
Le nostre autorità avevano, inoltre, secondo la legge vigente, piena sovranità e responsabilità sulla destinazione finale di materiali assemblati all’estero, prodotti con pezzi e componenti italiani, ed esportati a paesi terzi. Nei casi di coproduzione l’operatore doveva dichiarare sin dall’inizio non solo l’industria e il paese con cui coproduceva, ma anche l’eventuale paese terzo che avrebbe acquistato il materiale di armamento. Era sul destinatario finale che il Ministero degli esteri valutava la coerenza con i principi ed i divieti della legge ed era il destinatario finale che appariva nella relazione annuale del governo al parlamento.

Il ddl n.1927 introduce un nuovo tipo di autorizzazione all’esportazione: l’autorizzazione globale di progetto. Essa si applica a tutti i programmi di coproduzione intergovernativi o interindustriali di produzione, ricerca o sviluppo di materiale di armamento svolti con imprese di paesi dell’Unione Europea e della Nato. In questi casi e per ciascun programma di coproduzione, l’autorizzazione globale di coproduzione si sostituisce alle singole autorizzazioni di ciascun pezzo e componente. Per ottenerla l’operatore deve dichiarare solo “la descrizione del programma congiunto; le imprese dei paesi di destinazione o di provenienza del materiale; il tipo di materiale”. Scompaiono quindi i riferimenti al numero di pezzi, al valore, al destinatario finale, alle intermediazioni finanziarie. Non è richiesto il certificato di uso finale. Le autorizzazioni globali sono inoltre esentate dai controlli bancari, certificato di arrivo a destino. Le informazioni sul destinatario finale, valore etc, non essendo richieste nell’autorizzazione non sono ovviamente riportate nella relazione annuale del governo al Parlamento.

Il campo di applicazione del nuovo tipo di autorizzazione risulta piuttosto vasto ed è prevedibile che nei prossimi anni essa arriverà a coprire una parte non indifferente delle nostre esportazioni. La licenza globale di progetto si applica infatti a tutti i programmi congiunti, sia intergovernativi che interindustriali, di produzione, ricerca e sviluppo di materiali di armamento, realizzati con imprese dei paesi della Nato o dell’Unione Europea, che abbiano sottoscritto con l’Italia accordi per aderire ai principi ispiratori della nostra normativa.
Considerando che le esportazioni italiane di armi a paesi dell’Unione europea nell’ambito di programmi di coproduzione intergovernativa coprivano già, secondo i dati riportati dalla relazione l’anno passato, più del 50% delle nostre esportazioni verso l’area, e che il processo di globalizzazione e integrazione dell’industria europea degli armamenti si sta intensificando, è prevedibile che tale percentuale sia destinata ad aumentare e a divenire maggioritaria. A tale quota va aggiunta la percentuale di coproduzioni interindustriali. L’operatore che avrà l’accortezza di stringere un accordo con un’azienda con un paese europeo o Nato con una legislazione più permissiva potrà allargare i mercati, per godere di procedure autorizzatorie semplificate ed eludere la nostra normativa.

Dunque, per tutte le esportazioni che rientreranno all’interno dell’autorizzazione globale, non saranno applicabili i normali controlli, né il Governo (con le eccezioni relative ai programmi di coproduzione realizzati con i cinque paesi che hanno ratificato l’accordo), né il Parlamento saranno informati sulla destinazione finale del materiale nel caso in cui sia assemblato in un paese partner ed esportato ad un paese terzo. Al momento del rilascio dell'autorizzazione il governo (con le stesse eccezioni) si esprimerà ed applicherà i principi ed i divieti della legge solo sulla destinazione intermedia (ovvero il paese con cui si coproduce), e non sulla destinazione finale. La relazione annuale del governo al parlamento, ovviamente, non riporterà valori e destinazione finale dei materiali che ricadono all’interno dell’autorizzazione globale. Non sarà infine possibile ricostruire i dettagli e il valore aggregato delle esportazioni italiane di materiale di armamenti, né operare congrue analisi diacroniche dei dati. In sintesi non saranno applicabili i tratti salienti della nostra normativa: procedure autorizzatorie, controlli contro le triangolazioni, i controlli bancari, né sui pezzi e componenti, né sul prodotto finito, i divieti di esportare a paesi instabili o aggressivi (nel caso in cui il materiale sia assemblato nel paese con cui si coproduce), trasparenza e controllo del parlamento e dell’opinione pubblica.
 
Se il campo di applicazione dell’accordo (e quindi la licenza globale di progetto) è circoscritto ai soli programmi di coproduzione intergovernativa e ai soli sei paesi parte dell’accordo, le modifiche introdotte dal disegno di legge si spingono oltre:

- a) Per ciò che concerne i requisiti, le modalità di rilascio e i controlli della licenza globale di progetto, il disegno di legge ha introdotto la formula più generica, una sorta di autorizzazione tipo open (senza specificare numero di pezzi, modalità di comunicazione dell’uscita dei materiali e di verifica), per la quale non è chiaro come possano essere effettuati controlli sull’effettiva aderenza delle esportazioni al programma per evitare deviazioni di pezzi e componenti verso paesi o individui pericolosi.
Considerando che l’autorizzazione globale di progetto si sostituisce alle singole autorizzazioni alle esportazioni per un programma di coproduzione che può durare anche anni, essa dovrebbe essere pensata e formulata in modo tale da garantire un nucleo minimo di controlli, anche periodici, al fine di verificare la rispondenza dell’esportazione effettiva dei pezzi e componenti, al fine di verificare l’arrivo a destino dei pezzi, strumenti per effettuare controlli sull’affidabilità delle industrie e un sistema, anche informatico che permetta di sapere esattamente quanti pezzi sono usciti e in quale paese ed industria si trovi, seguendo l’iter dei pezzi usciti dall’Italia.
Tale controllo a livello nazionale andrebbe man mano integrato e sostituito con controlli multinazionali che passino tramite una collaborazione tra autorità nazionali, dogane e polizie dei vari paesi.

- b) Sull’esportazione a paesi terzi (ovvero che non partecipano all’accordo di coproduzione), i problemi principali sono imputabili innanzitutto alle modifiche introdotte dal ddl e non previste dall’accordo.

- 1. La prima concerne l’applicazione dell’autorizzazione globale non solo agli stati parte dell’accordo che quindi si sono impegnati a decidere assieme tramite la procedura del consensus, sull’esportazione ad una non parte, ma anche ai restanti paesi dell’Unione Europea o della Nato. Per i paesi che non hanno aderito all’accordo quadro (Belgio, Canada, Repubblica Ceca, Danimarca, Grecia, Ungheria, Islanda, Lussembugo, Olanda, Norvegia, Polonia, Portogallo, Spagna, Turchia, Stati Uniti, etc. alcuni dei quali hanno legislazioni estremamente permissive e controlli molto blandi) non valgono le norme relative alla procedura del consensus per definire assieme la lista delle destinazioni lecite. Nei confronti di tali paesi (che hanno normative e politiche estere differenti da quella italiana, molte volte meno rigorose), il rilascio della licenza globale di progetto, equivale ad un’abdicazione di sovranità e responsabilità ovvero a conferire una delega in bianco sulla scelta delle destinazioni finali al paese con cui si coproduce, senza che le nostre autorità possano controllare nulla in merito.
Nell’autorizzazione globale di progetto l’operatore deve infatti indicare solo il paese e l’industria con cui coproduce e non il destinatario finale (ovvero l’eventuale paese terzo che acquisterà il materiale), né il valore. Ciò significa che in tutti i casi di rilascio di tale autorizzazione a stati non parte dell’accordo né governo né parlamento saranno informati sulla destinazione del materiale di armamento coprodotto con pezzi e componenti di marca italiana e assemblato all’estero.

- 2.La licenza non si applica solo a coproduzioni intergovernative, come previsto dall’accordo quadro, che possiamo considerare relativamente più sicure in quanto prevedono un accordo preventivo tra governi, ma anche a semplici accordi tra industrie. Sarà quindi sufficiente per una società italiana stringere un accordo con una qualsiasi società turca o ungherese (anche costituita ad hoc) per godere delle procedure semplificate.

-       Il disegno di legge prevede un’ulteriore modifica non richiesta dall’accordo quadro. Essa riguarda il divieto di esportare a paesi i cui governi siano responsabili di accertate violazioni dei diritti umani. Il disegno di legge precisa che le violazioni delle convenzioni devono essere gravi e accertate da appropriati organi dell’UE e dell’ONU. L’aggiunta dell’aggettivo gravi, che restringe la cerchia dei paesi che ricadono all’interno del divieto, viene motivata con la necessità di “adeguarsi al criterio numero 2 previsto dal "Codice di condotta", che prevede la specificità della gravità per le violazioni dei diritti dell'uomo”. Merita precisare che il Codice di Condotta, approvato nel 1998 e non vincolante giuridicamente, è stato inteso come una base di partenza, un minimo comun denominatore sul quale costruire una regolamentazione più rigorosa e vincolante. I criteri che introduce, specifica lo steso documento, “should be regarded as the minimum for the management of, and restraint in, conventional arms transfers by all EU Member”. Ed ancora, nelle disposizioni operative è precisato che il Codice “non ostacolerà il diritto degli Stati membri di operare politiche nazionali più restrittive”.

In linea generale, lo spirito delle modifiche apportate, anche nel contesto di accordi e documenti internazionali, come l’accordo quadro e il codice di condotta, sembra rispecchiare da parte del nostro paese una politica rinunciataria che risponde al principio del minimo comun denominatore. Al contrario l’Italia, in forza della propria normativa, che la poneva, fino adesso, in una delle posizioni più avanzate, avrebbe potuto svolgere un ruolo guida, propulsivo e responsabile, volto a costruire una regolamentazione europea di trasparenza e controllo del commercio delle armi orientata verso standard alti.
Solo con un atteggiamento responsabile si può costruire politica estera e di sicurezza dell’UE, orientata al mantenimento della pace e della sicurezza europea ed internazionale, che si basi anche su misure preventive realmente efficaci e lungimiranti.



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SCHEDA A CURA DELLA CAMPAGNA IN DIFESA DELLA LEGGE 185/90