L'AVVENIRE DEI LAVORATORI La più antica testata della sinistra italiana, www.avvenirelavoratori.eu Organo della F.S.I.S., organizzazione socialista italiana all'estero fondata nel 1894 Sede: Società Cooperativa Italiana - Casella 8965 - CH 8036 Zurigo Direttore: Andrea Ermano Settimanale in posta elettronica – Zurigo, 5 marzo 2014 |
IPSE DIXIT Giunto il momento - «E' giunto il momento di unirci e agire per un'Europa sociale e democratica.» – Martin Schulz Una fortuna più grande - «Rimane viva la incommensurabile gioia di aver potuto rimanere fedele al socialismo, fedele a me stessa. Una fortuna più grande di questa non me la sarei potuta sognare.» – Angelica Balabanoff
Angelica Balabanoff (Černihiv, 1878 – Roma, 1965) co-fondatrice dell’Internazionale Socialista Donne e dell’Otto Marzo, giornata internazionale della Donna. |
L'AVVENIRE DEI LAVORATORI contribuisce da oltre 115 anni a tenere vivo l'uso della nostra lingua presso le comunità italiane nel mondo tra quelle persone che si sentono partecipi degli ideali socialisti-democratici di Giustizia e Libertà. Conformemente alla Legge 675/1996 tutti i recapiti dell'ADL Newsletter sono utilizzati in copia nascosta. Ai sensi del Codice sulla privacy (D.L. 30.6.03, 196, Art. 13) rendiamo noto che gli indirizzi della nostra mailing list provengono da richieste d'iscrizione o da fonti di pubblico dominio o da risposte ad E-mail da noi ricevute. Il nostro servizio d'informazione politica, economica e culturale è svolto senza scopo di lucro e non necessita di "consenso preventivo" rivestendo un evidente carattere pubblico e un legittimo interesse associativo (D.L. 30.6.03, 196, Art. 24). |
EDITORIALE Fortuna di Andrea Ermano "E' giunto il momento di unirci e agire per un'Europa sociale e democratica", con queste parole Martin Schulz ha concluso il suo discorso d’investitura a Roma, dov'è stato designato dal congresso del PSE quale candidato alla presidenza della Commissione europea. Sabato scorso, 1° marzo 2014, è stata sancita sempre al congresso di Roma anche l’adesione del PD al PSE: "Un fatto storico, un giorno storico per il partito democratico, ma anche per il nostro Paese", ha commentato l’ex segretario Pierluigi Bersani. Dunque, l’Europa ha ora in Schulz un candidato che, assumendo la guida della Commissione, potrebbe realmente invertire l'attuale misera rotta dell’UE. Mentre l'Italia possiede infine anch'essa un grande partito facente riferimento al socialismo europeo e in grado di concorrere al governo del Paese. Paese che il PD per altro già guida con Matteo Renzi a Palazzo Chigi. <> In Italia quel che mancava era una grande organizzazione laburista, laica, riformista, dotata di cultura di governo. Questa "formula magica" – cui oggi aggiungeremmo l’ecologismo e il femminismo come vincoli ulteriormente essenziali – non si era mai concretamente inscritta nel DNA di alcuna organizzazione egemone nella sinistra del nostro Paese, mancando sempre un quid all’appello. Così, i Democratici di Sinistra da D'Alema a Fassino apparivano troppo sottodimensionati rispetto al compito, mentre invece l'Ulivo di Prodi e Veltroni risultava troppo subalterno alla Curia e alla grande finanza. Per converso, l'Alleanza dei Progressisti di Occhetto e Bertinotti o, in altri tempi, il Fronte Democratico Popolare di Nenni e Togliatti portavano con sé il gravame di un eccessivo antagonismo. E lo stesso dicasi in tempi antichi e tragici per il "diciannovismo" di Bombacci, che intorno al programma rivoluzionario di "fare come in Russia" raccolse il 32,3% dei consensi elettorali, mentre ben lontano da questa forza elettorale si era dovuto invece fermare il PSI di Costa, Turati e Anna Kuliscioff che pure fu ad inizio Novecento la "Cosa" meglio approssimata alla "formula magica" di cui sopra. <> Tornando all’oggi, la grande novità delineatasi con l'adesione del PD al PSE è evidente. E il "premio alla regia" per questo conseguimento storico va anzitutto a Pierluigi Bersani e a Massimo D'Alema. Il PD a trazione bersaniana, oggi guidato da Renzi, ha saputo consolidare un peso doppio rispetto ai maggiori partiti socialisti-riformisti precedenti, recuperandone però gli elementi d'impostazione strategica fondamentale. Con Massimo D'Alema la Foundation for European Progressive Studies (FEPS) ha ridato un impulso programmatico "di sinistra" al dibattito continentale, che pareva collassato in ineffabili soliloqui onirici tipo bella addormentata nel bosco. Tutto bene quel che finisce bene, dunque? Be’, non dimentichiamo, per favore, che alcune congiunzioni astrali favorevoli di rara Fortuna hanno agevolato molto assai la navigazione al porto socialista europeo. Ne menzioniamo tre: 1) La (reiterata!) presenza di un "migliorista" come Giorgio Napolitano al Quirinale. 2) L’avvento (improvviso!) di un papa "contaminato" dalla Teologia della Liberazione come Jorge Mario Bergoglio. 3) La positiva influenza di un presidente come Barack Obama che ha (incredibile!) catapultato la questione socialdemocratica dapprima dentro la Casa Bianca e poi sulle rotte geo-politiche transatlantiche. Ecco un combinato disposto di eventi davvero portentosi che, a volerli tradurre dal linguaggio della storia universale in una facile parola quotidiana, potremmo riassumere in queste tre sillabe: Tombola. <> Al di fuori di una “tombola” siffatta, più unica che rara, è probabile il Partito democratico e l'intero centro-sinistra italiano si attarderebbero tuttora in un piccolo cabotaggio di tutela più o meno consapevole dei "poteri forti" e dei loro intangibili privilegi di casta. Occorre allora mettere in atto ancora un ultimo evento stupefacente: deve scoppiare la concordia nel campo socialista… Evento completamente improbabile dopo centovent’anni di baruffa continua. E però questo è ciò che serve ora: la convergenza e, ovunque possibile, la confluenza di tutte le forze d’ispirazione socialista democratica dentro un'unica compagine a sostegno della candidatura di Martin Schulz nelle elezioni per il rinnovamento del Parlamento di Strasburgo e della Commissione di Bruxelles. Perché? Ma perché è a Strasburgo e a Bruxelles che si deciderà il futuro di tutti, inclusi i disoccupati, i giovani, le donne e i lavoratori italiani. A quanto pare è giunto davvero il momento di unirci e agire senza "se" e senza "ma" in nome della vocazione europea del socialismo italiano. Avanti, Popolo Socialista, alla riscossa! |
DONNE E SOCIALISMO L’on. Pia Locatelli al 120° della FSIS Il mio saluto in sorellanza e nel ricordo di Angelica Balabanoff Care compagne e cari compagni, ringraziandovi del vostro invito alle celebrazioni del 120.mo anniversario della nascita della Federazione Socialista Italiana in Svizzera e non potendo, come sapete, essere con voi a causa di altri impegni inderogabili, vi invio i miei auguri di buon lavoro e il mio saluto in sorellanza. Un saluto non solo formale perché tanti sono i temi che ci fanno sentire vicini sin dall'inizio della vostra storia. Temi e figure di riferimento come quella di Angelica Balabanoff, una delle fondatrici dell'Internazionale Socialista Donne che proprio in Svizzera, presso la Camera del Lavoro di San Gallo, si prodigò nell'aiuto a lavoratori e lavoratrici italiani emigrati. Angelica Balabanoff fondò il periodico "Su compagne" per la propaganda socialista fra le donne ed ebbe un ruolo fondamentale nella costruzione della vostra organizzazione e del suo periodico “L'Avvenire dei lavoratori”. Fu una grande donna, una convinta sostenitrice della causa femminile e di una sinistra allergica alle dittature, pacifista fedele a un intransigente internazionalismo socialista, protagonista di una grande stagione del socialismo libertario e antitotalitario. Una socialista libertaria come lei non poteva che aderire al socialismo democratico e umanitario, per conseguire l'ideale di una società «giusta» attraverso un percorso che concili gli ideali socialisti e la difesa a oltranza della libertà. Voglio citare, a conclusione del mio saluto, la frase che lasciò scritta quasi a testamento della sua vita: “Rimane viva la incommensurabile gioia di aver potuto rimanere fedele al socialismo, fedele a me stessa. Una fortuna più grande di questa non me la sarei potuta sognare". Che questo suo ultimo messaggio rimanga presente a voi e a tutti noi per non dimenticare mai lo scopo e il valore del nostro impegno. Ancora auguri e un caro saluto Pia Locatelli presidente onoraria Internazionale Socialista Donne parlamentare italiana
L’on. Pia Locatelli (PSI) |
LEGALITÀ L’on. Laura Garavini al 120° della FSIS Celebrato a Zurigo il 120° della Federazione Socialista Italiana. Laura Garavini (Pd) “Oggi si avverte sempre più il bisogno di buona politica, Necessario il contrasto internazionale alle mafie” ZURIGO – “Le mafie si possono sconfiggere, ma solo se c´è la volontà politica di farlo: una politica consapevole delle nuove modalità mafiose e del pericolo da esse rappresentato. Soprattutto una politica che non si fermi all’antimafia di facciata, ma miri a fatti concreti e in tempi celeri, introducendo una serie di reati in Italia, armonizzando le leggi a livello europeo e potenziando gli organi inquirenti anche a livello internazionale.” Lo ha dichiarato Laura Garavini, componente dell’Ufficio di presidenza del gruppo Pd alla Camera, intervenendo a Zurigo alla celebrazione della FSIS, Federazione socialista italiana in Svizzera, che si è tenuta il 23 febbraio scorso al Cooperativo, storico locale dell’emigrazione italiana. “Oggi – prosegue la deputata eletta nella ripartizione Europa – si avverte inoltre sempre più il bisogno di buona politica – in Italia, in Svizzera, in Europa. Una politica pulita, non distorta dalle ambizioni di profitto personale, rivolta all’interesse del Paese. Una politica capace di scelte coraggiose, anche se scomode. Una politica sobria, impermeabile alla corruzione. Una buona politica – ha concluso la Garavini – che rimetta al centro dei propri obiettivi gli interessi dei cittadini così da promuovere politiche giuste, ugualitarie, sociali, all’insegna della legalità”. (Inform)
L’on. Laura Garavini (PD) |
Il Manifesto del PSE Al primo posto il lavoro "Crediamo fermamente che la Ue debba cambiare". E' questo l'incipit del Manifesto del Pse, approvato al Congresso di Roma in vista delle prossime elezioni europee.
Martin Schulz e Matteo Renzi al congresso del Partito Socialista Europeo di Roma Ecco i dieci punti programmatici del manifesto (che potete leggere sul prossimo ADL, nella sezione delle appendici): 1. E' ora di mettere l'occupazione al primo posto 2. E' ora di far ripartire l'economia 3. Porre il settore finanziario a servizio dei cittadini e dell'economia reale 4. Verso un'Europa sociale 5. Un'Unione di uguaglianza e di diritti delle donne 6. Un'Unione delle diversità 7. Una vita sicura e sana per tutti 8. Maggiore democrazia e partecipazione 9. Un'Europa verde 10. Promuovere il ruolo dell'Europa nel mondo. Insieme cambieremo l'Europa |
Da MondOperaio http://www.mondoperaio.net/ Un’altra Europa di Riccardo Nencini *) Per la sinistra italiana il congresso di Roma del Partito del socialismo europeo rappresenta un punto di arrivo. L’adesione del Partito democratico, infatti, mette fine ad un’anomalia che non solo in questo secolo ne ha indebolito il ruolo. Ed è significativo che questo avvenga nel momento in cui alla guida di quel partito siede chi proviene da un’esperienza politica in seno alla quale molti esorcizzavano il rischio di dover “morire socialisti”. Evidentemente ora il rischio da esorcizzare è quello di morire tout court: un rischio che la sinistra italiana ha corso ogni volta che si è tenuta lontana dal socialismo europeo, e che ha condizionato non poco il ruolo che essa ha giocato nell’ultimo ventennio, e la stessa vitalità del sistema politico in cui ha operato, e che ora non a caso è giunto al capolinea. C’è però un altro rischio dal quale è bene che il congresso di Roma ci consenta di stare lontani: il collasso dell’Unione europea. Il sogno e’ finito da almeno un lustro. Il continente naviga in balia degli euroscettici: nazioni scosse da movimenti populisti e della destra estrema, mancanza di un progetto che non sia quello egemonico della Germania, crisi economica durevole. Non è l’Europa pensata sul finire del secolo passato. Si è allargata l’Unione verso est ma sono stati dimenticati gli ingredienti naturali per renderla protagonista, pur vivendo le relazioni internazionali una fase di straordinari cambiamenti. Non abbiamo avuto né una politica estera e di difesa comuni, né regole di mercato che tracciassero una via originale e certa, magari con la politica alla testa. La cornice aurea in cui la sinistra deve muoversi oscilla tra la redistribuzione della ricchezza, il coinvolgimento popolare più largo possibile nell’assunzione delle decisioni più rilevanti, l’affermazione di un “tavolato comune di diritti e di doveri pubblici” cui attingano tutti i cittadini tutti. Non esiste una terza fase dell’Unione se non si fissano questi cardini. L’Unione europea nasce per combattere lo spettro del nazismo appena sconfitto e il fantasma del comunismo che aleggia su mezzo continente; infine per unire democrazie giovani e risorse - ferro e acciaio - indispensabili per la ricostruzione postbellica. La seconda tappa è a Maastricht, quaranta anni più tardi: moneta unica, gli Stati orientali che si avvicinano, la fissazione di un portolano per interpretare il futuro alle porte. E’ il terzo tempo che manca, ed è una colpa grave. Senza bisogno di scomodare le tante epoche costruite dall’Occidente e offerte all’intero pianeta sotto forma di scoperte tecnologiche e riferimenti culturali, da ieri l’Europa non incide più nelle grandi questioni che affascinano e scuotono il mondo. Una buona ragione perché il congresso si faccia eretico e consegni a Martin Schulz un mandato a osare: prima per coinvolgere e appassionare i cittadini europei in una campagna elettorale difficile e a tutt’oggi considerata di secondaria importanza; e poi, se eletto, per svincolarsi da un abbraccio, quello di Berlino, poco in linea con l’idea di Europa che i socialisti hanno infisso nella Carta di Lipsia. A cominciare dagli eurobond, da politiche economiche e finanziarie che non siano partigiane, e dall’armonizzazione delle politiche fiscali. Sono i mercati che vanno tenuti a freno, e va combattuta l’austerità a senso unico: questo deve fare il Pse. Vi è un secondo nodo da sciogliere. Masse di migranti ci guardano con speranza. Sono un dovere irrinunciabile l’integrazione dei profughi che fuggono dalle guerre e dalla carestia e l’apertura delle nostre frontiere a chi intende studiare nelle nostre università e cercare un’occupazione. Non può esserci né una limitazione nel godimento dei diritti fondamentali né accondiscendenza verso forme di multiculturalismo lesive dei medesimi diritti. Le tradizioni e i costumi che confliggono con le fondamenta della civiltà vanno combattuti con fermezza. L’Europa deve impegnarsi nel Mediterraneo sostenendo quei movimenti che difendono l’avanzata dei valori di libertà e di democrazia. E’ la strada maestra e va percorsa con decisione. Infine, la nuova Europa va ribattezzata. Urge una legittimazione nuova delle istituzioni comunitarie. La scelta da parte del Parlamento del Presidente della Commissione Europea è un buon inizio. Un buon inizio, appunto. Ma in un’Europa che va dall’Atlantico ai confini con le steppe il tema della sovranità va ridiscusso, e vanno allargate le maglie della partecipazione democratica alle scelte più significative. Le procedure decisionali fissate nel Novecento sono superate. C’è bisogno di più unità politica, di maggiore incisività, di una efficienza più marcata. Un’opinione conclusiva. La presenza di forti partiti “estremi” in molti paesi - a partire da Francia, Italia e Grecia – incide profondamente nei sistemi politici nazionali. Il Pse deve sentire come un’urgenza il tema delle alleanze. Continuo a pensare che il mondo liberaldemocratico possa condividere con noi il cammino per governare le emergenze e per costruire dimensioni statuali più vicine al cuore dei cittadini. *) Segretario nazionale del PSI, viceministro Infrastrutture e Trasporti |
SPIGOLATURE Sulle note di "Bella ciao" di Renzo Balmelli MITO. Cantano sulle note di "Bella ciao" i partigiani ucraini che svegliandosi la mattina hanno trovato l'invasore russo alle porte di casa nella ridente, ma ora non più tanto, Crimea. Che l'inno della Resistenza risuoni anche da queste parti ha un che di suggestivo e in pari tempo di allarmante, pensando tra l'altro proprio all'incredibile destino della penisola su Mar Nero che – paradosso dei paradossi – Krusciov donò ai fratelli di Kiev senza immaginare che un giorno il regalo sarebbe tornato a Mosca, non più capitale dell'impero, come un boomerang avvelenato. Il brusco se non proprio inatteso ritorno al passato da la piena misura di quanto sia profonda la più grave e per molti del tutto incomprensibile crisi politico-diplomatica che l'Europa si trova ad affrontare dopo la caduta del Muro. Sotto i calcinacci della guerra fredda è come se la storia si fosse rimessa in movimento per scardinare una volta ancora gli assetti del Vecchio Continente. Quegli assetti che Roosevelt, Stalin e Churchill, tentarono di ricostituire dopo gli orrori del nazismo già pensando però, avvolti nei loro cappotti, a come spartirsi il mondo nelle rispettive zone di influenza. E nel vedere come stanno mettendosi le cose, cioè male, pare che al Cremlino il tempo sia rimasto congelato dentro il mito illusorio di Yalta. PROMESSA. Roma non sarà più la "caput mundi", ma resta la culla dei Trattati comunitari . Negli auspici della sinistra non poteva quindi iniziare che da lì la campagna per le elezioni europee sulle quale dopo i drammatici fatti di Kiev gravano oscuri presagi. Per le forze progressiste la consultazione di fine maggio assume un'importanza quasi decisiva nell'intento di tenere a bada la preoccupante avanzata della destra eversiva che morde alle caviglie. Occorreva dunque dare un segnale forte ed è quanto è stato fatto al congresso degli eurosocialisti sia con l'adesione del Pd al PSE sia con la designazione di Martin Schultz – colui che Berlusconi apostrofò con l'epiteto infamante di kapò – quale candidato socialista alla guida dell'Unione. Dal Tevere sale dunque la solenne promessa di non lasciare nelle mani dei populisti le sorti dell'Europa mentre i demoni della xenofobia cercano di tornare indietro. AFFINITÀ. Dopo la crociata contro la libera circolazione, la Svizzera comincia a fare i conti col rischio di trovarsi estraniata dal concerto delle nazioni europee. E non sono rose e fiori. Qualcuno ha addirittura proposto di tornare alle urne per fare ciò che non sarebbe stato fatto: spiegare meglio agli elettori l'importanza della posta in palio. Francamente però l'idea appare piuttosto labile nel Paese dei referendum. Certo, avere Mario Borghezio quale paladino della causa elvetica non è che faccia molto piacere ai cittadini rossocrociati. Nonostante alcune affinità elettive, finanche l'UDC del tribuno Blocher che ha promosso l'iniziativa anti stranieri tende a distanziarsi dall'ingombrante compagnia. Ma chi semina vento raccoglie tempesta ed è in questo clima che Berna deve ora misurarsi con i suoi partner abituali per salvare i cospicui vantaggi derivanti dagli indispensabili accordi bilaterali con l'UE. RIDENS. Se D'Alema stuzzica Renzi ammonendolo di non esagerare con il pop corn per non ingrassare e se il premier replica affermando che seguirà le mosse del rivale sgranocchiando mais gonfiato come se fosse al cinema, di una cosa si può essere quasi certi: il duello a distanza tra la vecchia volpe del Pd e il "fanciullo vivace e goloso" del nuovo corso promette scintille. Ma d'altronde nel politichese un po' barboso dell'ufficialità, un bello scambio di battute ispirate alla commedia dell'arte può tornare utile per risollevare lo spirito. Questi sono tempi poco inclini al castigat ridendo mores e una risata di tanto in tanto aiuta a sfogare la tensione. Ciò che conta, alla fine, è che l'irruzione del simpatico diversivo nell'epico scontro tra le varie anime della sinistra non porti a un uso smodato del pop corn, col rischio, questo sì, di procurarsi un mal di pancia non solo metaforico. INDIZI. Sarà pure un fortuito concorso d'indizi. Ma i giallisti cresciuti alla scuola di Agatha Christie sanno che tre indizi costituiscono una prova. E' quindi con l'animo del segugio che i Poirot della politica indagano tra le pieghe degli editoriali apparsi sulle testate della premiata casa editrice di Arcore per capire a cosa mirano le serenate a Matteo Renzi. Senza tante perifrasi il capo del governo diventa se non proprio un amico quanto meno un alleato nella lotta al nemico comune: cioè i "comunisti" che da sempre popolano gli incubi del Cavaliere. La coincidenza è fin troppo evidente per essere frutto del caso nel bel mezzo di scelte difficili e compromessi laboriosi sulla via delle riforme e di ciò che ne consegue per la tenuta dell'esecutivo. Tanto più che la conclusione, aperta a svariate ipotesi, è un crescendo di amorosi sensi: Forza Renzi, Forza Italia (sic) che porta diritto alla classica domanda del cui prodest. MONITO. Come a volte accade con i film italiani d'autore, anche "La grande bellezza" di Paolo Sorrentino, insignita dell'Oscar per il miglior film straniero, al suo apparire ha raccolto più consensi all'estero che in patria. Il ritorno in Italia della statuetta, a quindici anni dal riconoscimento andato a Benigni, dovrebbe comunque consentire di rianimare il dibattito sia attorno alla pellicola, sia nel merito degli interrogativi posti da una società decaduta, senza stimoli e raccolta intorno all'illusione delle feste eleganti. In quest'ottica, al di là del talento indiscutibile del regista, il premio ha una sua indubbia valenza politica intesa come un monito a chi governa, mentre Pompei crolla e Roma frana. A Palazzo Chigi è insomma arrivata l'ora di considerare la cultura, ancora oggi sofferente a causa dell'infausto ventennio berlusconiano, come una cosa viva su cui costruire qualcosa di valido per le generazioni a venire. |
FONDAZIONE NENNI http://fondazionenenni.wordpress.com/
Parliamo di socialismo Petroselli e l’unità a sinistra Un grande sindaco vissuto troppo poco purtroppo, ma rimasto nella memoria collettiva come un mito. di Vittorio Emiliani Sabato mattina è stato proiettato all’Auditorium Parco della Musica un interessante film sulla figura di Luigi Petroselli, regista Andrea Rusich. Interessante perché, se non altro, racconta la figura, umana prima che politica, di un grande sindaco vissuto troppo poco purtroppo, ma rimasto nella memoria collettiva come un mito. Giustamente. L’ho conosciuto bene, l’ho seguito, frequentato e appoggiato, anche da direttore del “Messaggero”, subendo qualche rimprovero. Quando venne eletto nel 1981 con una preferenziale altissima (nel ’79 era subentrato ad uno stanchissimo, sfinito Giulio Carlo Argan, come la legge del tempo, saggiamente, consentiva) scrissi un fondo dal titolo “A Roma è successo qualcosa” che ancora qualcuno – per esempio Piero Salvagni, uno dei “ragazzi di Petroselli”, tornato a fare l’ingegnere – ricorda. Petroselli era profondamente unitario. Al di là di un aspetto trasandato e persino “burino”, era un uomo fine, colto, a Viterbo aveva studiato a fondo l’urbanistica di una città storica e per questo poté cogliere bene a Roma alcune concezioni avanzate, come le idee di Benevolo, Cederna e Insolera sul Parco dei Fori. Era un uomo problematico. Dopo i fatti di Ungheria del ’56, a 24 anni, rimase fuori per svariati mesi dal Pci. Era profondamente unitario nei confronti del Psi … Continua la lettura sul blog della Fondazione Nenni |
LAVORO E DIRITTI a cura di www.rassegna.it «Per giudicare Renzi aspettiamo il programma» Barbi (Cgil): "Il Jobs act del governo è solo una serie di titoli, non sono nemmeno quelli principali. Sembra che il problema sia solo del sistema italiano, mentre non c’è traccia di Europa e del resto del mondo". intervista raccolta da Guido Iocca “A oggi è molto difficile, quasi impossibile, dare un giudizio sul governo presieduto da Matteo Renzi. Saremo in grado di farlo solo quando si passerà dall’enunciazione dei titoli al programma vero e proprio”. Danilo Barbi, segretario confederale della Cgil, non si vuole sbilanciare rispetto al discorso pronunciato in Senato da Matteo Renzi lo scorso 24 febbraio. “La Cgil – prosegue il responsabile delle politiche economiche di corso d’Italia – è da tempo che invoca la necessità di un governo di cambiamento. Ci auguriamo che questa esigenza, imprescindibile per affrontare una stagione difficile comel’attuale, trovi un riscontro concreto nelle scelte politiche dei nuovi inquilini di Palazzo Chigi. Al momento, sappiamo di sicuro che la maggioranza è uguale a quella del governo Letta, mentre ancora poco si è capito sulle reali novità programmatiche e, soprattutto, su dove reperire le risorse che servono”. Al di là del suo discorso programmatico, ancora troppo generico per essere valutato, con il Jobs Act, presentato alla direzione del Pd lo scorso 16 gennaio, Renzi era già entrato nel merito del suo piano per il lavoro. Che giudizio ne dai? Barbi Una serie di titoli, che poi non sono nemmeno quelli principali. Perché la priorità non può essere rappresentata dalle regole del lavoro, che pure sono importanti, ma piuttosto dalla creazione – concreta e fattiva – del lavoro. Cos’altro non convince la Cgil di quel documento? Barbi L’analisi della crisi e le risposte necessarie al suo superamento. A leggere il Jobs Act renziano sembra che il problema sia solo del sistema italiano, mentre non c’è traccia del livello europeo e del livello globale della crisi. La nostra convinzione è invece che ci troviamo a dover affrontare tre crisi sovrapposte e intrecciate. Una crisi del modello di sviluppo dei paesi avanzati, dovuta soprattutto alla globalizzazione finanziaria e alla degenerazione nel capitalismo finanziario di un sistema di produzione e di consumo del sistema internazionale. Accanto a questa, c’è una crisi del Vecchio continente, con la grande architettura europea, incompiuta e contraddittoria, che invece di aiutare a risolvere i problemi, li ha addirittura moltiplicati. Il terzo livello della crisi è naturalmente quello italiano… Barbi La crisi italiana è una crisi di lungo periodo che riguarda innanzitutto il modello di specializzazione produttiva, che è troppo polarizzato. Mi riferisco al fatto che noi abbiamo alcune imprese assolutamente avanzate, che hanno una produttività dei fattori e del lavoro assolutamente paragonabile alle imprese migliori tedesche e francesi. È la gamma delle imprese medie, quelle che reggono la sfida della qualità delle esportazioni e del valore aggiunto, a differenza delle piccole e delle grandi. Queste ultime non esportano e non sono in grado di fare prodotti competitivi perché non investono abbastanza, non certo perché i lavoratori non sono bravi, mentre la pletora di piccole imprese non organizzate, non consorziate, non è in grado di stare al livello dei nuovi mercati sovranazionali. C’è dunque un problema di modello. Cos’è che noi produciamo? Di tutti i prodotti innovativi, dalla telefonia alla microelettronica, noi non realizziamo niente. Sul versante della specializzazione produttiva c’è una responsabilità anche della politica… Barbi Direi soprattutto della politica. Da noi è mancata per 30 anni una politica industriale degna di questo nome. Negli altri paesi scelte finalizzate all’innovazione le hanno sempre fatte: le politiche degli Stati, non solamente delle singole imprese. E non si tratta di certo dell’unico ambito nazionale in cui l’assenza della politica ha prodotto danni… Continua la lettura sul sito di Rassegna.It |
Economia L’economia ad una svolta La nostra situazione è seria. Con poche eccezioni, si conferma una situazione stagnante in Italia e nell’intera Europa. Non poco ha inciso la stretta creditizia, mentre continua il “credit crunch”. di Mario Lettieri, già Sottosegretario all'economia (governo Prodi) e Paolo Raimondi, Economista Le priorità dell’Italia sono gli investimenti, il lavoro, l’innovazione, la ripresa delle produzioni industriali e del credito produttivo. Dal 2007 a oggi la disoccupazione è raddoppiata e rischia di superare la soglia del 13% della forza lavoro. Per i giovani tra i 15 e i 24 anni è, purtroppo, del 42 %. Dal 2010 la produzione industriale è scesa del 9%. Confrontando la differenza tra le previsioni di crescita e l’andamento reale, dal 2007 ad oggi l’economia italiana ha perso 230 miliardi di euro di ricchezza. Secondo un recente studio della Banca Centrale Europea, nel 2013 il credito totale delle banche alle imprese e alle attività produttive in Europa è sceso del 3,9% rispetto all’anno precedente, anch’esso con segno negativo. Per analizzare gli andamenti nei vari Paesi dell’eurozona, la Bce ha fissato a 100 il livello dei crediti bancari del 2011. Sulla base di tale parametro risulta che nel 2013 la Germania ha mantenuto costante il livello del suo credito bancario, la Francia è scesa a 98, l’Italia a 89, la Spagna a 72. In altre parole nel nostro Paese i crediti bancari alle imprese e alle famiglie sono diminuiti dell’11% in due anni! Continua quindi il “credit crunch” che intacca le capacità di ripresa dell’intera Unione europea. Se è vero come è vero che il 60% di tutte le esportazioni tedesche vanno nel resto dell’Europa, la stessa Germania dovrebbe riconoscere la “insopportabilità” di tale situazione.. E’ indubbio tuttavia che il problema del credito e degli investimenti è diventato da tempo sistemico e globale. Non riguarda solo l’Europa. Secondo quanto emerso in un convegno della Banca dei Regolamenti Internazionali il tasso di investimento nel mondo, in rapporto al Pil, è del 2-4% inferiore rispetto a quello del 2009. Ciò nonostante che i profitti azionari siano stati ai massimi livelli in parecchie economie avanzate ed emergenti. La mancanza di crediti alle imprese, in particolare alla Pmi, da parte del sistema bancario e i bassi tassi di investimento purtroppo si combinano anche con una accentuata tendenza delle grandi multinazionali ad accumulare liquidità (cash) in quantità che non ha precedenti. Per esempio, le grandi corporation giapponesi avrebbero in cassa soldi liquidi per 2,8 trilioni di dollari, quelle americane per 1,5 trilioni e quelle europee per 1 trilione di dollari. Le multinazionali britanniche da sole avrebbero soldi liquidi per un valore superiore a quello di tutti i loro impianti e macchinari. E’ evidente che l’accumulo di liquidità del settore privato nelle economie avanzate mira ad utilizzare il risparmio esclusivamente per ridurre i debiti purtroppo a scapito degli investimenti. In molti casi nuovi debiti verrebbero addirittura contratti soltanto per ristrutturare o abbattere quelli accesi in passato e spesso per distribuire dividendi. Tali comportamenti ci dicono che la crisi non è finita e che per i “grandi giocatori” l’incertezza del futuro offre loro l’occasione per continuare ad influenzare la finanza e l’economia. In tale contesto l’Italia può affrontare con efficacia le proprie persistenti difficoltà economiche e sociali se il nuovo governo e il parlamento saranno in grado di imporre lo sblocco del credito e lo snellimento delle procedure amministrative e, nel contempo, in sede europea di intesa con gli altri Paesi del Sud, di ottenere l’esclusione delle spese per gli investimenti e per le infrastrutture dal rigido parametro del 3% del rapporto deficit/Pil. Se gli investimenti avranno priorità nelle politiche europee di sviluppo essi non saranno secondari nelle scelte di cooperazione e di intesa internazionali che prevedono la realizzazione di grandi reti infrastrutturali come per esempio quella euroasiatica. Naturalmente diventa più impellente per l’Italia e per l’Europa un vero protagonismo nella definizione di una efficace governance e di nuove regole stringenti del sistema finanziario, tenendo conto dei nuovi segnali di rischio di crisi globale. |
8 MARZO A TORINO WOMENAREUROPE PER UN'ALTRA EUROPA, LAICA E DEI DIRITTI SABATO 8 MARZO – ORE 14,30 PIAZZA VITTORIO VENETO (TORINO) Le prossime elezioni per il Parlamento Europeo saranno un’importante occasione per scegliere, secondo il principio della democrazia paritaria, le donne e gli uomini che decideranno le politiche europee per i prossimi anni. Infatti l’Europa non è un’entità lontana, bensì incide sulla nostra vita quotidiana. Oggi le politiche economiche e finanziarie dell’Europa, basate sull’austerità e sul cosiddetto “rigore”, invece di essere la cura per la crisi economica europea, ne costituiscono invece spesso la causa primaria e causano disoccupazione, taglio dello stato sociale e impoverimento delle popolazioni a vantaggio delle istituzioni bancarie e della finanza speculativa. Occorre assolutamente una svolta, per costruire un’altra Europa dei popoli, laica e dei diritti per tutti, uomini e donne. Per queste ragioni manifestiamo l’8 MARZO, GIORNATA INTERNAZIONALE DELLA DONNA, perché il sogno di un’altra Europa diventi realtà. Le parole chiave per le quali saremo in piazza l’8 Marzo sono: LIBERTA’, DEMOCRAZIA, STATO DI DIRITTO, UNIVERSALITA’ DEI DIRITTI, AUTODETERMINAZIONE, SESSUALITA’ CONSAPEVOLE, CONTRASTO ALLA VIOLENZA DI GENERE E DI ORIENTAMENTO SESSUALE, WELFARE-LAVORO-STATO SOCIALE. Sulla base di questi principi fondanti, rivendichiamo: · difesa della legge 194 sull’interruzione volontaria di gravidanza, per l’aborto libero, sicuro e garantito · libertà di accesso all’aborto farmacologico (pillola RU486) · libertà di accesso alla sterilizzazione volontaria · libertà di accesso alla contraccezione, anche a quella d’emergenza (pillole del giorno dopo e dei 5 giorni dopo, anche da parte delle minorenni) · maternità responsabile e consapevole · insegnamento curriculare di educazione sessuale nelle scuole di ogni ordine e grado · riconoscimento giuridico delle coppie di fatto (sia di persone dello stesso sesso, che di sesso diverso) · libertà di accesso al matrimonio egualitario per le coppie dello stesso sesso (costituite da donne o uomini) · libertà di accesso alla fecondazione assistita (per tutte le coppie, sposate e conviventi e anche per le donne singole, di qualsiasi orientamento sessuale) · divorzio breve · libertà di adozione di minori da parte delle coppie conviventi (composte da persone della stesso sesso o di sesso diverso) e anche da parte delle donne single · lotta contro le mutilazioni genitali femminili (infibulazione, clitoridectomia ed escissione delle piccole e grandi labbra) · lotta contro la violenza sulle donne, contro il femminicidio, contro l’omolesbotransfobia, contro qualsiasi discriminazione basata sull’odio · lotta conta la tratta delle donne migranti e degli esseri umani di qualsiasi nazionalità e contro la loro riduzione in schiavitù · lotta contro la prostituzione coatta e le organizzazione criminali che la gestiscono · diritto alla casa · diritto al lavoro dignitoso · sostegno adeguato al reddito delle persone disoccupate (salario di cittadinanza) · sostegno alla scuola pubblica di ogni ordine e grado (a partire da quella dell’infanzia, aperta e assicurata a tutte le famiglie che ne facciano richiesta) · politiche attive di sostegno alla maternità e alla paternità · democrazia paritaria nelle istituzioni, nelle forze politiche, nei sindacati, nelle associazioni · incentivo all’accesso delle donne nei posti di lavoro, nelle professioni, nei consigli di amministrazione delle aziende pubbliche e private. 8 MARZO: perché dalla “Festa” delle donne parta una nuova stagione di conquista di libertà per tutte e per ciascuna e per l’intera società. CONSULTA TORINESE PER LA LAICITA’ DELLE ISTITUZIONI COORDINAMENTO TORINO PRIDE GLBT- SE NON ORA QUANDO - DONNE PER LA DIFESA DELLA SOCIETA’ CIVILE - ASSOCIAZIONE FEMMINILE FRIDA MALAN - UNIONE DONNE DEL TERZO MILLENNIO – SCAMBIAIDEE - FERMATA D’AUTOBUS – SPAZIO DONNA “CASCINA ROCCAFRANCA” - AZIONE CIVILE TORINO. |
La situazione politica Un capo giovane e veloce di Paolo Bagnoli Matteo Renzi ha conquistato, in uno stretto giro di tempo, prima il partito e poi il governo facendone “il governo del Pd di Matteo Renzi.” Ecco il punto politico vero che chiude i vent’anni post-Tangentopoli caratterizzati dalla costruzione dello sfascio di sistema di cui Berlusconi è il primo responsabile anche se il Pd non è esente da responsabilità. E’ d’obbligo dire: vedremo cosa riuscirà a combinare il governo Renzi; il quale, al di là delle chiacchiere, ha subito suonato il tasto della tassazione. La cosa non può che destare perplessità. Al comunicatore che annunciava cose che poi non faceva, è succeduto il comunicatore della velocità; colui che ha addirittura calendarizzato i provvedimenti da prendere. Ancora: vedremo. Confessiamo che siamo rimasti molto stupiti dal basso livello del discorso che Renzi ha tenuto in Parlamento. Credevamo, infatti, che, presentandosi come l’iniziatore di una nuova fase storica della vita politica della Repubblica, le cui sorti stanno nelle mani di un personale politico che fa del dato anagrafico la prima indiscutibile qualità, la consapevolezza fosse pari all’intenzione e l’orgoglio alla consapevolezza. Abbiamo avuto, invece, una sequela di comunicazioni e la sostanziale richiesta di un affidamento del Paese, in toto, non alla classe politica del Pd, ma a quella, appunto, "del Pd di Matteo Renzi". Con ciò il presidente del consiglio ha impostato un’equazione politicamente anomala e non scevra di una qualche pericolosità: Pd eguale Renzi e questi eguale governo. Com'era avvenuto con Berlusconi il programma del governo, quindi, è ciò che decide chi lo presiede. La conferma ci viene da più parti. Se prescindiamo da Renzi, come potremmo politicamente definire il governo? Se il precedente era residuale alle grandi intese – e comunque a Letta va riconosciuto il merito di aver spaccato Forza Italia – questo cos’è? Lo si può definire solo declinando le sue componenti principali: un governo del centrosinistra in quanto Renzi e del centrodestra in quanto Alfano. Guarda caso ciò che prevale, traguardando i due lati, è il centro che, però, non è una politica, ma una persona, ossia ancora Matteo Renzi. Dal centro che diviene centralità egli può giocare sulla sinistra, entrando dopo sette anni di inutili discussioni nel Pse – qui si apre un altro problema che riguarda il socialismo europeo che al momento mettiamo da parte – oppure può fare intese parallele, rispetto all’asse del governo, con Silvio Berlusconi. Intendiamoci: che Renzi abbia cercato una sponda nel vecchio leader di FI non ci meraviglia, anche se la situazione nella quale questi si trova avrebbe richiesto almeno accortezza. Ci meraviglia bensì che in due – sì, avete capito bene, in due – abbiano deciso quali sono le riforme da fare, compresa la legge elettorale. Essa, pare di capire, punta a formalizzare un bipolarismo forzato e a impedire la nascita di nuovi soggetti politici. Indigna letteralmente che in tutto ciò non possano essere messe le mani, come più volte ribadito, perché quello è l’accordo tra i due. Qui la natura parlamentare della nostra democrazia, già in ginocchio per tante ragioni, è addirittura stesa a tappeto. Inoltre, siamo convinti che se quell’accordo fosse sottoposto, come sarebbe naturale, a sindacatura da parte delle altre forze politiche, Renzi potrebbe tranquillamente scomporre il suo governo potendo contare sul sostegno parlamentare dell’altro contraente l’accordo. Prevediamo che ciò accadrà poiché, tanto più Renzi cinguetta con Berlusconi, tanto più Alfano si distanzia. E alla fine, riteniamo che, sulla sorte di Alfano, i due siano perfettamente d’accordo poiché ciò porterebbe, inevitabilmente alle elezioni. Così Renzi, che controlla partito e governo, ma non i gruppi parlamentari, tenterebbe il colpaccio. Dopodiché, accanto al partito e al governo, avremmo anche “il Parlamento di Renzi”. Sempre che ce la faccia a vincere; in ogni caso i gruppi parlamentari nascerebbero nel segno dell'indiscussa fedeltà al capo giovane e veloce. "Tutto ciò che c’azzecca?”, direbbe Di Pietro (del quale, peraltro, non si sente la mancanza). La deriva della mancata risoluzione della crisi post-Tangentopoli ha condotto a questo punto che è di assoluto personalismo in quanto il senso, il valore nonché la forma della democrazia sono del tutto spersonalizzati. Da ultimo non rimane che adattare a un sistema amorfo la Costituzione della Repubblica. Probabilmente sarà il prossimo passaggio. Di certo non siamo più nella consequenzialità numerica delle stagioni della Repubblica, ma ormai proprio in un altro tipo di Repubblica. |
Il dibattito a sinistra La sfida europea alla sinistra di Felice Besostri *) Non si conoscono ancora le liste dei candidati, sia dei soggetti già presenti, che di quelli nuovi sulla scena europea, come Altra Europa per Tsipras. Non si sa neppure se l’entrata del PD nel PSE avrà come risultato la presentazione di una lista comune ed unitaria dei partiti italiani affiliati al PSE, come richiederebbero una raccomandazione della Commissione Europea e una risoluzione del Parlamento Europeo del 2013. Recepire quella raccomandazione/risoluzione significava mettere mano alla legge n. 18/1979 come modificata dalla legge n.10/2009 per adeguarla alla Costituzione, nonché al Trattato di Lisbona e alla Carta dei Diritti Fondamentali dell’UE entrati in vigore il 1° dicembre 2009. Si chiedeva troppo a un Parlamento politicamente delegittimato dalla sentenza n. 1/2014 della Corte Costituzionale e troppo impegnato a metterla da parte con l’Italicum. Un Parlamento talmente distratto da non essersi accorto che nella legge elettorale europea non ci sono norme sul riequilibrio della rappresentanza di genere in violazione dell’art. 51 Cost. e dell’art. 23 Carta dei Diritti Fondamentali dell’UE e da dimenticarsi di modificare le norme sulla trasmigrazione dei seggi da una circoscrizione ad altra, censurata dal Consiglio di Stato con sentenza passata in giudicato (caso Gargani/Collino). Un Parlamento tuttavia attento a conservare i privilegi de liste collegate a gruppi già presenti nel Parlamento nazionale e/o europeo e delle minoranze linguistiche francese della Val d’Aosta, tedesca della Provincia di Bolzano e slovena del Friuli V.G., dimenticandosi di altre riconosciute con la legge n. 482/1999 e altrettanto, consistenti, se non di più come la sarda e la friulana. In questo quadro generale, che non lascia ben presagire sulla regolarità delle prossime elezioni la sinistra si presenta divisa: un fatto normale e forse inevitabile come constatazione di una differenza si condotte politiche nei singoli paesi nazionali. Non è questo che preoccupa, ma la direzione di marcia di contrapposizione, come se il nemico principale fosse per gli uni la socialdemocrazia e per gli altri l’estremismo di sinistra. In realtà né il PSE, né la Sinistra Unita Europea sono blocchi omogenei, all’interno di quest’ultima partiti nostalgici del comunismo sovietico e anti europei coabitano con Syriza, critica sulle politiche economiche europee, ma contraria a sciogliere la UE e a rinunciare all’Euro. Nel PSE la critica crescente all’austerità e alla riduzione della protezione sociale si accompagna a rigorosi custodi dell’equilibrio di bilancio come i laburisti olandesi e i socialdemocratici finlandesi e le critiche dei socialdemocratici tedeschi hanno un forte limite nell’accordo di Grande Coalizione a guida Merkel. Se non cambiano i rapporti di forza complessivi tra destra e sinistra i vincitori saranno ancora una volta le lobby finanziar-bancarie, che stanno preparando una crisi come quella del 2007-2008 dalla quale non siamo usciti. Per essere precisi i disoccupati e i precari sono cresciuti, i ceti popolari e la classe media si sono impoveriti: solo l’1% dei superricchi è ancora più ricco e festeggia i favolosi guadagni in Borsa, provocati da bolle speculative e titoli tossici, che hanno assorbito la liquidità creata dalla FED senza una significativa ricaduta nell’economia reale, nella ricerca/innovazione e nella prevenzione dei disastri ambientali e nella riduzione degli squilibri planetari, che producono guerre e migrazioni di massa. Una sinistra che accetta la sfida deve contestare i meccanismi economici e finanziari che subordinano la politica e i diritti al guadagno speculativo, tanto non pagano per loro errori, come questa crisi ha reso palese. I costi della crisi sono scaricati sulle spalle delle prime principali vittime: pensionati, lavoratori, donne e giovani. A milioni hanno perso il lavoro o hanno visto bruciati e risparmi di una vita la speranza in un futuro migliore. Senza una contestazione radicale dell’ordinamento economico e sociale esistente non si esce dalla crisi. Ora si vede se c’è una risposta socialista concreta e praticabile, che salvaguardi le condizioni de vita della maggioranza della popolazione difendendo ed estendendo la democrazia sia negli Stati nazionali che nelle istituzioni europee. Ovvero è una parola nostalgica rivolta al passato. La contraddizione è accentuata se la scelta alla fine sarà per uno Schulz accaparrato dal PD, che nel suo complesso non è un partito di sinistra (il suo leader ha detto co chiarezza che la distinzione destra/sinistra non ha più senso) e uno Tsipras, espressione di una nicchia minoritaria della sinistra sulle orme di Rivoluzione Civile e della Sinistra Arcobaleno e non di un nuovo civismo europeo, capace di ripetere gli exploit dei referendum sull’acqua. Se la dialettica è questa né SEL né i socialisti di sinistra hanno un ruolo attivo e positivo da giocare, ma neppure i federalisti europei, cioè delle uniche forze che avevano la possibilità di costruire un clima unitario a sinistra con proposte istituzionali e di politiche economiche alternative alla destra e ai populismi anti-europei, cui si vuol delegare la difesa egoista e nazionalista dei ceti popolari più colpiti dalla crisi. *) Presidente di Rete Socialista-Socialismo Europeo |
Da CRITICA LIBERALE riceviamo e volentieri pubblichiamo La sinistra da Bobbio a Renzi di Paolo Bonetti Prima di sviluppare il mio ragionamento, vorrei fare una premessa, che mi pare indispensabile, sul significato del titolo. Intanto va subito detto che le sinistre sono molte, si va da quella classicamente liberale ma non liberista a quella liberalsocialista, da quella socialdemocratica a quella comunista, da quella cattolica a quella populista. Personalmente sono un liberale non liberista ed è questo il punto di partenza delle mie riflessioni. C’è poi da chiarire il significato di un confronto fra Bobbio e Renzi, uomo di pensiero il primo con scarsa propensione (lo ha confessato lui stesso) per il gioco quotidiano della politica politicante, completamente immerso il secondo nella lotta per il potere, ma non privo di riferimenti ideali come quello di un certo cattolicesimo sociale che va dal famoso sindaco fiorentino Giorgio La Pira fino a papa Francesco. Ma poiché Renzi ha inserito un suo commento alla nuova edizione del celebre saggio “Destra e sinistra” di Bobbio ripubblicato da Donzelli a distanza di vent’anni, un commento che, come ha scritto Nadia Urbinati, è una specie di manifesto di quel Partito democratico di cui Renzi è il segretario, oltre ad essere diventato il capo del governo italiano, questo confronto deve essere fatto per capire bene in quale direzione intende muoversi un uomo che è ormai al centro della vita politica italiana. Piaccia o non piaccia, Renzi è un vero figlio del nostro tempo, di cui interpreta gli umori con una capacità di sintonizzarsi con la “pancia” del paese del tutto ignota alle vecchie nomenklature delle varie sinistre italiane, di cui ha potuto sbarazzarsi con facilità, a cominciare dalla sinistra interna del Partito democratico, perché, a parte qualche lodevole eccezione, non c’ in esse ombra di pensiero. Sono zombi perduti nella sterile nostalgia di un mondo morto per sempre. Ma non è invece uno zombi, anche se non è più fra noi, Norberto Bobbio, il cui pensiero, tormentato e complesso talvolta fino all’ambiguità, mi appare più che mai attuale e rivolto al futuro. Ha, quindi, torto Renzi a ritenerlo il rappresentante di una società che non è più quella nella quale viviamo e che ha visto il passaggio dagli Stati nazionali, con reali capacità di intervento nei processi economici e sociali, al mondo dell’economia e della finanza globalizzate dove le ricette del welfare non servono più, dove sono scomparse le vecchie classi e sono comparsi gli individui atomizzati, dove il compito della politica è ormai, prevalentemente, quello di creare le condizioni più favorevoli per il dispiegamento delle energie individuali, mentre il problema della giustizia sociale torna ad essere, come un tempo, un problema da risolvere soprattutto con il sentimento della solidarietà cristiana. Un mix insomma, come ha osservato opportunamente Nadia Urbinati, di produttivismo liberista e di carità francescana. Bobbio, nel corso della sua lunga riflessione di filosofo della politica, si è sempre preoccupato, invece, di tenere uniti i due concetti di libertà e di uguaglianza, consapevole che le sorti della democrazia liberale sono necessariamente connesse ad un’idea di libertà che tende ad estendersi, mediante una effettiva e non astratta uguaglianza delle opportunità, a un sempre maggio numero di cittadini. La democrazia liberale è sopravvissuta agli attacchi che, nel corso del secolo passato, le sono venuti da destra e da sinistra, perché ha saputo, mediante la costruzione dello Stato sociale e le riforme del welfare, integrare milioni di individui nelle istituzioni che garantiscono i fondamentali diritti civili e politici. Ma li garantiscono, e questo dovrebbe essere ben chiaro agli apologeti del mercato puro e duro, perché riescono al tempo stesso a promuovere i diritti sociali, a cominciare dal diritto al lavoro, come è chiaramente affermato nella nostra Costituzione. Quando Bobbio connota la sinistra come quella parte politica che ha come principale valore di riferimento l’uguaglianza, egli non concepisce quest’ultima come piatto egualitarismo, ma come veicolo indispensabile di tutte le libertà della tradizione liberale. Per questo è così importante il ruolo della politica che ha il compito di regolare i processi sociali secondo criteri di giustizia che non possono essere ridotti alla semplice dimensione cristiana della carità e della solidarietà. Naturalmente, perché la giustizia non sia una parola vuota e retorica, occorre che ci siano le risorse che permettono di realizzare concretamente l’uguaglianza delle opportunità e queste risorse non possono che essere trovate attraverso una politica economica che incoraggia l’intraprendenza, premia il merito, elimina le sacche di parassitismo pubblico e privato, orienta e facilita gli investimenti attraverso un fisco non oppressivo e una burocrazia efficiente e non invadente. Renzi, nelle sue dichiarazioni, sembra essere d’accordo su questo, ma preoccupa il fatto che egli non abbia ben compreso il significato di “uguaglianza” nella prospettiva liberale o liberalsocialista di Bobbio, e parli, piuttosto, dell’alternativa fra conservazione e innovazione. Ma la categoria del “nuovo” (ne abbiamo avuto la dimostrazione con il finto liberalismo berlusconiano) è uno schema vuoto e ingannevole, se non lo si riempie di contenuti concreti, e questi contenuti non possono consistere nella semplice apologia della realtà così come si presenta, nella sua spontaneità non governata. Questa spontaneità può anche contenere in sé gravi squilibri, disuguaglianze eticamente inaccettabili, discriminazioni che offendono il sentimento della pari dignità dei cittadini. Nelle affermazioni di Renzi (anche in quelle fatte nei suoi discorsi in Parlamento per la presentazione del nuovo governo) manca purtroppo la coscienza della gravità dei mali che affliggono lo Stato di diritto italiano, che è spesso tale solo formalmente, e della importanza di quei diritti civili che non sono un lusso borghese, ma riguardano milioni di uomini e donne che anche in questo campo chiedono uguaglianza, vale a dire giustizia. Il giovane primo ministro italiano ha un modo energetico di porre i problemi, che fa un piacevole contrasto con la sonnolenza della vecchia classe politica e certamente seduce larga parte dell’opinione pubblica, ma è poi inevitabile chiedersi quanto fumo populista ci sia dietro certe dichiarazioni e promesse. Si veda, come necessaria controprova, la questione dell’informazione e della sua libertà. Che ne sarà della Rai e in genere dei problemi sempre più angoscianti dell’editoria italiana in tutte le sue specificazioni, adesso che Renzi ha nominato sottosegretario all’editoria Claudio Lotti, uno degli uomini che gli sono più vicini? Siamo alla vigilia di un nuovo appoderamento e di un nuovo conformismo? Non basta mettere in certi posti uomini nuovi, occorre anche che agiscano con criteri radicalmente nuovi, mettendo da parte le vecchie logiche del potere correntizio e clientelare. E, invece, la composizione del governo è stata in buona parte una riaffermazione di questi criteri, perfino con la nomina di persone indagate per abusi proprio nel campo dell’informazione. La distinzione destra/sinistra resta valida finché c’è una reale contrapposizione di valori a cui corrispondono comportamenti politici in sintonia con i valori che si dice di voler promuovere. I valori della destra non sono identici a quelli della sinistra, proprio perché la destra non crede a quel primato della politica che, per la sinistra, deve essere fatto valere anche nell’epoca della globalizzazione economica, rimodellando le istituzioni, nazionali e internazionali, in modo tale che esse promuovano quell’uguaglianza liberale di cui parlava Bobbio, senza mai confonderla con la falsa uguaglianza dei populisti o dei collettivisti. Renzi è un cattolico che tende spontaneamente, anche per temperamento personale, a quel populismo che annega i problemi in un mare di parole suggestive e ingannatrici. Un po’ come il papa, se posso permettermi questo paragone sacrilego. Speriamo che la dura esperienza del governo corregga questi suoi difetti, senza spegnere la sua energia. Critica liberale |
LETTERA Con Mumford, controcorrente La Grande Bellezza… Roma è veramente bellissima, ma ci vogliono lenti speciali per amarla. Ci vuol sapere, educazione, tempo. Tutte risorse conculcate a dei cittadini che si dannano ogni giorno per sopravvivere alle sue numerose e stratificate inefficienze… Mi capita spesso di rileggere Mumford. Quando nel 1961 scriveva a proposito di Necropoli, Paolo Sorrentino era forse solo un desiderio confuso nella testa dei suoi genitori e Toni Servillo poco più che un lattante. "Sotto l'aspetto politico e urbanistico, Roma è ancora oggi un'importante lezione su ciò che occorre evitare: la sua storia offre una serie di tipiche segnalazioni di pericolo utili ad ammonire chiunque si stia avviando in una direzione sbagliata. Ovunque le masse si raccolgano in quantità esorbitanti, ovunque salgano vertiginosamente gli affitti e peggiorino gli alloggi, ovunque lo sfruttamento unilaterale abolisca la necessità di un armonioso equilibrio, lì risorgono quasi automaticamente le istituzioni dell'edilizia Romana esattamente come accade oggi: l'arena, i grandi casamenti, le gare e le esibizioni di massa, le partite di calcio, i concorsi internazionali di bellezza, lo spogliarello reso onnipresente dalla pubblicità, il continuo titillamento dei sensi attraverso il sesso l'alcool e la violenza, il tutto in uno stile tipicamente Romano. E così la moltiplicazione delle stanze da bagno, le spese eccessive per autostrade, una massiccia concentrazione collettiva su ogni sorta di cose piacevoli ed effimere, realizzate con estremo virtuosismo tecnico. Sono tutti sintomi della fine: esaltazione di un potere demoralizzato, minimizzazione della vita. Quando questi segni si moltiplicano, Necropoli è vicina, anche se non è crollata neppure una pietra. Perchè i barbari hanno già conquistato la città dall'interno. Vieni avanti boia ! Fatti sotto, avvoltoio." Lewis Mumford, La città nella storia. E' passato più di mezzo secolo da quando queste lucidissime parole venivano scritte da Mumford e, in un modo molto italiano, venissero recepite e sublimate in un lunga teoria di "cose piacevoli ed effimere realizzate con grande virtuosismo tecnico" da Fellini fino Sorrentino. "Ce lo siamo meritato Alberto Sordi" disse una volta Nanni Moretti, sferrando un cazzotto al Paese in guanto di velluto. Ma questo paese di incassatori imbolsiti è in grado di digerire qualsiasi cosa per sputarla fuori rimasticata come si faceva ai tempi dei saturnali. Oggi, 2014, stormi di avvoltoi volano alti sul cielo di Roma Capitale pronti ad avventarsi e smembrare quel che resta del patrimonio industriale, paesaggistico, immobiliare della città. Aspettano solo che il capo dei boyscout gli consenta di planare. Nelle more continuiamo così: dai, facciamoci del male ! Vito Antonio Ayroldi |
L'AVVENIRE DEI LAVORATORI EDITRICE SOCIALISTA FONDATA NEL 1897 Casella postale 8965 - CH 8036 Zurigo Direttore: Andrea Ermano Amministratore: Sandro Simonitto Web: Maurizio Montana L'editrice de L'Avvenire dei lavoratori si regge sull'autofinanziamento. E' parte della Società Cooperativa Italiana Zurigo, storico istituto che dal 18 marzo 1905 opera in emigrazione senza fini di lucro e che nel triennio 1941-1944 fu sede del "Centro estero socialista". L'ADL è un'editrice di emigranti fondata nel 1897 dalla federazione estera del Partito Socialista Italiano e dall'Unione Sindacale Svizzera. Nato come organo di stampa per le nascenti organizzazioni operaie all'estero, L'ADL ha preso parte durante la Prima guerra mondiale al movimento pacifista di Zimmerwald; ha ospitato l'Avanti! clandestino (in co-edizione) durante il ventennio fascista; ha garantito durante la Seconda guerra mondiale la stampa e la distribuzione, spesso rischiosa, dei materiali elaborati dal Centro estero socialista di Zurigo. Nel secondo Dopoguerra L'ADL ha condotto una lunga battaglia per l'integrazione dei migranti, contro la xenofobia e per la dignità della persona umana, di chiunque, ovunque. Dal 1996, in controtendenza rispetto all'eclissi della sinistra italiana, siamo impegnati a dare il nostro contributo nella salvaguardia di un patrimonio ideale che appartiene a tutti. |
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