[Diritti] Una bandiera No Tav per l’ANPI
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- Date: Sat, 8 Mar 2014 11:16:03 +0100 (CET)
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Una bandiera No Tav per l’ANPI
Sabato 8 marzo. Sulla cancellata di ingresso della sede della sezione
ANPI “Renato Martorelli” di via Poggio è stato appeso nella notte uno
striscione con la scritta “No Tav liberi”, accanto è stata issata una
bandiera No Tav.
Un anonimo reporter di passaggio nel cuore di
Barriera di Milano ha scattato qualche
foto.
Facile intuire le ragioni di un gesto
che parla da solo. Il giorno prima proprio da quella sezione ANPI era
partita l’iniziativa di una
serata in cui si mescolavano la mafia, il
terrorismo e il movimento No Tav. Ospiti d’onore l’ex Procuratore capo di
Torino Giancarlo Caselli e l’ex parlamentare del Partito Comunista
Italiano Dino Sanlorenzo. Un esponente di punta del “nuovo corso” della
sinistra dopo la caduta del muro di Berlino e un anziano stalinista.
Quella stessa sera circa 150 No Tav hanno fatto un presidio rumoroso a
pochi metri dalla sala di via Leoncavallo, dove, circondati da camionette
e poliziotti in tenuta antisommossa, parlavano Caselli e Sanlorenzo.
Il presidio è poi diventato corteo nelle vie limitrofe.
L’arresto di quattro No
Tav in carcere da tre mesi con l’accusa di
“attentato con finalità di terrorismo” è stato il sigillo finale della
carriera di Caselli. Un curriculum vitae che culmina con la missione di
attaccare con inaudita violenza il movimento No Tav. La facciata del
“democratico” che persegue i “fatti” e non le idee si infrange nel mare di
carte processuali che dimostrano un fatto solo: la volontà di trasformare
usuali pratiche di lotta in reati gravissimi. L’accusa di terrorismo per
un compressore danneggiato è solo la punta di un iceberg. Nella neolingua
di Caselli e dei suoi tutto cambia di segno: un blocco stradale si
trasforma in violenza privata, un banale sabotaggio diventa terrorismo, la
resistenza ad uno sgombero un atto eversivo.
Di Sanlorenzo è
sufficiente ricordare il famigerato questionario anonimo, che invitava
alla delazione per scovare i “terroristi”. Erano gli anni Settanta e, con
il pretesto della lotta armata, quelli come Sanlorenzo tentarono ogni
mezzo, persino quelli più vili, per tappare la bocca ai tantissimi, specie
nelle periferie operaie come Barriera, lottavano per un mondo senza
padroni, sfruttamento, dominio.
Pochi lo sanno. Proprio negli
anni Settanta il circolo Risorgimento di via Poggio, lo stesso che ospita
la sezione ANPI “Renato Martorelli”, venne commissariato dai vertici del
Partito Comunista.
Oggi come trent’anni fa offre l’immagine di un
centro sociale frequentato soprattutto da anziani, tra caffè, vino, gioco
delle bocce.
Nessuno avrebbe oggi potrebbe immaginare che in quel
circolo sonnacchioso, dove si ritrovavano anche tanti partigiani, negli
anni Settanta qualcuno avesse osato discutere la linea del Partito,
sostenendo che le insorgenze sociali di quegli anni fossero legate con un
filo rosso alla guerriglia partigiana.
Ogni 25 aprile proprio da
quel circolo un drappello sempre più sparuto di anziani con la banda e i
gagliardetti esce per un breve giro nelle strade vicine.
A volte chi
conserva la memoria è il primo a tradirla.
L’auspicio è che la
bandiera No Tav offerta all’ANPI questa notte, una bandiera di lotta e di
Resistenza, ricordi che la lotta partigiana era lotta di ribelli,
fuorilegge, banditi.
Chi ricorda oggi la Barriera delle
barricate elettrificate del 1917, quella degli scioperi di mesi, le casse
di mutuo appoggio e i bambini mandati in campagna in una rete di
solidarietà che permetteva ai loro genitori di resistere meglio sapendoli
nutriti?
Chi ricorda gli operai della Fiat Ricambi – adesso di
chiama IVECO – che bloccavano le strade, la produzione in scioperi senza
regole né lacci?
Chi ricorda che mettere qualcosa nell’ingranaggio,
sabotare la produzione, magari solo per riposare un’oretta e fare due
chiacchiere, era normale in lungo Stura Lazio?
Chi ricorda una
Barriera dove la gente, anche quella che non sapeva di barricate e
sabotaggi, sapeva però sempre da che parte stare?
Lo ricordano
quelli che oggi, in questo quartiere, in Val Susa, in ogni dove, quella
memoria la fanno propria nella lotta.
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