[Resistenza] La situazione è eccellente. Trasformare la fase di ingovernabilità nel primo passo della costruzione della nuova governabilità delle masse popolari organizzate.




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Comunicato n. 09/2013 - 28.02.13
Comunicato DN

La situazione è eccellente.
Trasformare la fase di ingovernabilità nel primo passo della costruzione della nuova governabilità delle masse popolari organizzate. 
 
Grande è la confusione sotto il cielo della Repubblica Pontificia, perciò la situazione è eccellente. La trappola delle elezioni anticipate e a rito abbreviato è diventata un uragano politico per i politicanti borghesi, gli esponenti “responsabili” della politica, degli affari, della finanza, del clero, dell’amministrazione pubblica, delle forze armate e delle polizie (i vertici della Repubblica Pontificia). Dimezzati i voti ai partiti che negli ultimi 20 anni  si sono alternati nell’attuare il programma di lacrime e sangue degli “italiani che contano”, Bersani piombato “dalle stelle alle stalle” si avvia a fare la stessa fine di Occhetto nel ’94, Fini e altri pezzi “storici” del personale politico della Repubblica Pontificia sono fuori dal Palazzo, i “sogni di gloria” di Monti sono durati lo spazio di un mese e mezzo, la Lega precipitata ai minimi storici si consola con la regione Lombardia, i residui partiti della sinistra borghese che avevano puntato su Ingroia per rientrare in Parlamento hanno fatto un tonfo ancora peggiore del 2008. Ma soprattutto in Parlamento entra la “mina vagante” di 163 esponenti del M5S eletti per il loro impegno a fare piazza pulita della casta della politica, degli affari e della finanza e per le aspirazioni di rinnovamento di una parte importante, maggioritaria, delle masse popolari.
 
Un passo indietro per analizzare meglio la situazione e capire che fare. Con l’indicazione di voto al M5S che abbiamo dato il 22 febbraio, dopo aver condotto una “nostra campagna elettorale” basata sullo sviluppo del protagonismo delle organizzazioni operaie e popolari, abbiamo annunciato anche che tale indicazione di voto aveva il preciso e cosciente scopo di contribuire alla situazione di ingovernabilità che si è creata. Molte e tumultuose sono state le reazioni in varie forme ostili alla nostra indicazione (dal sarcasmo alle accuse di essere “venduti”), rimane il fatto che a fronte di tanto “stupore” (quando travestito da entusiasmo a scoppio ritardato e quando da aperto sconforto) di fronte ai risultati elettorali da parte di portavoce, dirigenti ed esponenti della sinistra borghese (partiti, associazioni, circoli, aggregati sindacali e di movimento), la situazione politica generale risponde in pieno alla situazione che abbiamo indicato come positiva e favorevole per lo sviluppo del movimento popolare, per la costruzione della nuova governabilità delle masse popolari organizzate. Più che limitarsi a verificare il numero concreto di voti che con il nostro comunicato abbiamo “spostato” in favore del M5S (di certo è un numero relativamente esiguo che non spiega il successo del M5S), è utile concentrarsi sul fatto che quella indicazione politica andava in favore di un giusto orientamento generale. Che tale indicazione corrisponda alla realtà dei fatti è, infine, utile a vedere il passo successivo che il movimento popolare può e deve fare. Andiamo per ordine.
 
Cosa succederà adesso? Lasciamo ai sondaggisti e agli opinionisti di regime il toto scommesse tra governissimo PD-Pdl, governo di transizione guidato da un Amato scongelato per l’occasione, governo balneare PD-Monti e pezzi del Pdl, “modello Sicilia”, ritorno alle urne o altro. La realtà dei fatti è che i vertici della Repubblica Pontificia hanno fallito l’obiettivo che si proponevano con queste elezioni: ottenere una parvenza di consenso popolare ai loro partiti e la copertura parlamentare all’azione antipopolare ed extraparlamentare del loro prossimo governo. Anzi, l’onda lunga della resistenza operaia contro il piano Marchionne e la riforma Fornero, del movimento NO TAV e dell’opposizione dei precari, dei disoccupati, dei Forconi siciliani e dei Pastori sardi alla rapina del governo Monti è in qualche modo entrata in Parlamento, non sulle gambe malferme dei Ferrero, dei Di Pietro e dei Diliberto (erano già stati messi alla prova con il governo Prodi, ma non hanno imparato la lezione: perché le masse popolari avrebbero dovuto dare loro un’altra possibilità?), ma, che piaccia o meno, sulle gambe del M5S. Dalle elezioni è uscito un Parlamento ingestibile, al punto che per i vertici della Repubblica Pontificia anche mettere assieme un qualche governo è un’impresa difficoltosa. Giocheranno tutte le carte che hanno a disposizione, in barba alle leggi, alla morale e all’etica. Che ci riescano o meno, a questo punto, non è più una possibilità che dipende da loro e dai loro mezzi e mezzucci. La situazione politica del prossimo futuro dipende da noi, dal complesso delle masse popolari organizzate.
Adesso succederà quello che le masse popolari organizzate faranno succedere. Mai prima d’ora sindacati di base, sinistra sindacale, movimenti popolari, aggregati di RSU e coordinamenti, movimenti nazionali e locali, ambientalisti e pacifisti, lavoratori del pubblico e del privato hanno avuto tanta possibilità di incidere direttamente sulle scelte politiche del paese. Nella complessità e nella fluidità della situazione il compito che spetta a chi vuole avere voce in capitolo è relativamente semplice: rompere gli indugi e smetterla di aspettare di vedere “come evolve la situazione”, ma prendere in mano, da subito, la via dell’iniziativa e della mobilitazione.
Ciò che fa e farà la differenza è l’azione combinata su due livelli: la mobilitazione di piazza, nelle scuole, nei posti di lavoro, zona per zona e fabbrica per fabbrica, azienda per azienda e la spinta a chiamare gli eletti del M5S a dare seguito concreto a ciò che hanno promesso (in modo più o meno esplicito), la partecipazione dal basso: costituire a tutti i livelli Comitati di Salvezza Nazionale che operino come governo ombra.
 
Gli eletti del M5S sono una schiera di parlamentari poco avvezza ai riti e alla prassi vigenti nella Repubblica Pontificia. Già questo qualifica questa nutrita pattuglia come una mina vagante per inciuci, segreti, accordi sottobanco che hanno regnato nelle stanze della Repubblica Pontificia e hanno regolato i rapporti (e le guerre per bande) fra le loro fazioni. Il loro ruolo sarà tanto più positivo e dirompente quanto meno si preoccuperanno della governabilità di uno Stato che genera e opprime disoccupati e precari, devasta l’ambiente, fa servizi per i finanzieri e i guerrafondai a stelle e strisce, uccide di lavoro o di mancanza di lavoro. Uno Stato che nello stesso giorno ha ridotto condanna e pene per i responsabili della strage della Thyssen-Krupp e ha mandato a morire un operaio (il terzo, in cinque mesi!) nel reparto a caldo dell’Ilva di Taranto deve solo andare in malora! Non siamo i partigiani della confusione, del caos o del “tanto peggio tanto meglio”. E’ chiaro che occorre “governabilità”, ma non quella di cui parlano Bersani, Berlusconi, Monti a braccetto con Napolitano, Draghi, Barroso e la Merkel. La governabilità che serve alle masse popolari non nasce a Montecitorio né a Palazzo Chigi, ma nelle aziende, nelle scuole, negli ospedali, nei quartieri. Il futuro delle masse popolari (e del M5S) è nello sviluppo concreto della governabilità dal basso.
E quanto maggiore sarà l’impegno che metteranno nel favorire la piena partecipazione delle organizzazioni operaie e popolari alla vita politica, alle decisioni, alle scelte, alla definizione di misure concrete per fare fronte alla crisi e alla mobilitazione per attuarle.
Se e nella misura in cui gli eletti del M5S lo faranno, daranno il miglior contributo  possibile, stante le loro caratteristiche, aspirazioni e contraddizioni, all’avvio di una nuova fase, la fase in cui la decadenza politica e morale dei vertici della Repubblica Pontificia soccombe di fronte alla vitalità, alla creatività, alla forza e all’organizzazione dei lavoratori e delle masse popolari.
 
Tutto il polverone mediatico sulle presunte spaccature interne al M5S rispetto alla possibilità di dare la fiducia a un possibile governo “di inciucio” con il PD lo consideriamo per quello che vale. Se è vero che i margini di “fallibilità” del M5S e dei suoi eletti (una parte dei suoi eletti) esistono, è vero, e i fatti hanno la testa dura, che dove e quando si sono assunti responsabilità politiche (in Sicilia in primis) e basano il loro orientamento sul legame con le masse popolari, sono conseguenti. Il loro contributo dai seggi del Consiglio Regionale alla battaglia contro MUOS ne è l’esempio più chiaro.
 
E adesso veniamo a noi… al campo degli aggregati, dei partiti, dei movimenti e fin dei singoli compagni che compongono, insieme, lo “zoccolo duro” del movimento popolare di questo paese. Che ruolo abbiamo? Che cosa possiamo e dobbiamo fare?
Lo abbiamo già accennato, ma meglio spiegarlo e spiegarsi bene. Come se la lezione del governo Monti non avesse insegnato niente, ancora oggi c’è chi propone timidamente, ma fa valere dall’alto dell’autorevolezza che esercita, di “aspettare che la situazione si definisca”. Compagni, questo vuol dire giocare al ribasso, giocare per perdere il meno possibile. E l’esempio dell’atteggiamento rispetto al governo Monti è proprio calzante: a forza di aspettare che le cose si chiarissero e a forza di ripetere scemate tipo “la gente subisce il fascino del montismo” abbiamo permesso le peggiori riforme possibili in brevissimo tempo (Monti ha realizzato quello che non riuscì a realizzare la banda Berlusconi).
Parliamo chiaro…  Il Comitato No Debito (CND) e il Comitato Promotore del No Monti Day (CPNMD) devono abbandonare gli indugi e sviluppare da subito una decisa unità d’azione con gli eletti del M5S, combinando l’azione che questi svolgono nel Parlamento con l’azione nelle piazze, nelle fabbriche, nelle aziende, negli ospedali, nelle case occupate, ecc. Gli esponenti del CND e del CPNMD devono scrollarsi di dosso lo sbandamento e lo smarrimento che questa situazione genera in loro, respingere le sirene dell’attendismo (“vediamo prima che cosa farà questo governo”) e l’indecisione sul da farsi. Questa situazione rende ancora più impellente la trasformazione del CND-CPNMD in un centro che mobilita tecnici e professori ad elaborare le misure necessarie per far fronte alla crisi, che chiama all’organizzazione, alla mobilitazione e alla lotta, che coordina le organizzazioni operaie e popolari per attuare queste misure qui ed ora a partire dalla lotta contro la chiusura delle aziende!
Hanno ragione coloro che nel CPMND (come ad es. Bernocchi) dicono che 163 esponenti del M5S in Parlamento giovano alla lotta per non pagare la crisi e sottostare ai diktat della Troika: si tratta ora di passare dalle parole ai fatti. E ha ragione Giulietto Chiesa che indica la via di una coalizione di salvezza nazionale: ma anche qui si tratta di passare dalle parole ai fatti, dare gambe a questo progetto!
La Rete 28 Aprile, l’USB e i Cobas e gli altri sindacati di base devono avviare una campagna di mobilitazione, lotta, disobbedienza civile da subito! L’assemblea che si terrà il 22 marzo ad Avellino per la riapertura dell’Irisbus e sulla nazionalizzazione delle aziende in crisi deve segnare un prima tappa di questo percorso.
Un esempio positivo lo fornisce ancora una volta il movimento NO TAV, la realtà più capace di legare la mobilitazione popolare all’intervento nelle contraddizioni del teatrino della politica borghese: l’annunciata partecipazione di tutti gli eletti del M5S alla manifestazione nazionale del 23 marzo è una fra le migliori dichiarazioni, pratiche, su come si valorizzano 163 parlamentari per la lotta contro l’Alta Velocità.
 
Non sempre il treno passa due volte (ditelo a Diliberto, Ferrero, Di Pietro…!). O siamo noi, è il movimento popolare, il movimento della sinistra sindacale e del sindacalismo di base a indicare agli eletti del M5S la via da seguire oppure ognuno inizi a ragionare sul fatto che sarà del tutto inutile recriminare su quello che gli eletti del M5S hanno fatto o non hanno fatto, hanno saputo fare, hanno mantenuto, quanto hanno resistito agli attacchi e alle lusinghe dei vertici della Repubblica Pontificia.
Il risultato elettorale ha spianato la strada per chi vuole percorrerla. La costruzione del Comitato di Salvezza Nazionale è oggi un obiettivo alla portata delle organizzazioni operaie e popolari. Il fatto che riesca ad operare come vero e proprio governo ombra è un obiettivo che dipende in parte dagli eletti del M5S e dall’intero corpo di attivisti del M5S, ma soprattutto dagli esponenti e portavoce, dirigenti, del movimento popolare. L’obiettivo che le misure elaborate e indicate dal Comitato di Salvezza Nazionale diventino pratica, la loro realizzazione, dipende da quanto tutto questo percorso si basa, trae forza e linfa, dalle organizzazioni operaie e popolari in cui sono raccolte (centinaia di migliaia di persone, forse milioni) le masse popolari, la parte migliore di questo paese. Questo è il percorso concreto (contraddittorio, non lineare, non pacifico) per la costruzione di un governo di emergenza popolare. Lo realizzeremo? Non è un obiettivo facile. Ma il contesto generale indica con chiarezza che i nostri nemici sono deboli, disorganizzati, frantumati da lotte interne e la base del loro potere (il consenso o almeno il rassegnato silenzio della maggioranza delle masse popolari) è in disgregazione.
 
Tante sono le discussioni, caotiche, sulle priorità politiche della fase, sui compiti che un governo di rottura dovrebbe adottare e sulle misure che dovrebbe realizzare. Il governo di emergenza popolare è tale se opera attorno a questo programma:
1. assegnare a ogni azienda compiti produttivi (di beni o servizi) utili e adatti alla sua natura, secondo un piano nazionale (nessuna azienda deve essere chiusa),
2. distribuire i prodotti alle famiglie e agli individui, alle aziende e ad usi collettivi secondo piani e criteri chiari, universalmente noti e democraticamente decisi,
3. assegnare a ogni persona un lavoro socialmente utile e garantirgli, in cambio della sua scrupolosa esecuzione, le condizioni necessarie per una vita dignitosa e per la partecipazione alla gestione della società (nessun lavoratore deve essere licenziato, a ogni adulto un lavoro utile e dignitoso, nessun individuo deve essere emarginato),
4. eliminare attività e produzioni inutili o dannose per l’uomo o per l’ambiente, assegnando alle aziende altri compiti,
5. avviare la riorganizzazione delle altre relazioni sociali in conformità alla nuova base produttiva e al nuovo sistema di distribuzione,
6. stabilire relazioni di solidarietà, collaborazione o scambio con gli altri paesi disposti a stabilirle con noi.

Noi comunisti dobbiamo fare tutto quello di cui siamo capaci perché gli eletti della lista M5S non cedano ai tentativi di arruolarli che certamente faranno i vertici della Repubblica Pontificia (sia la banda Berlusconi sia l’accoppiata Bersani-Monti). Gli eletti della lista M5S devono assolutamente evitare l’errore di credere di poter cambiare loro il paese inserendosi, sia pure con intelligenza e buona volontà, nelle alte sfere dell’Amministrazione della Repubblica Pontificia. È questa la linea fallimentare che per ingenuità, opportunismo o cinica macchinazione hanno preso esponenti e partiti della sinistra borghese che “la forza delle cose” ha poi costretto a diventare destra moderata, a subire l’egemonia della destra borghese come hanno chiaramente dimostrato i governi di centro-sinistra. Bando alle illusioni che un governo (o un’opposizione) senza la mobilitazione delle masse popolari organizzate a cambiare la propria condizione (il sistema di relazioni sociali in cui svolgono la loro vita), abbia la capacità e la forza necessarie per cambiare una società ricca di relazioni e di risorse come l’attuale società dei paesi imperialisti.
Gli eletti della lista M5S sono in grado di essere un importante motore della trasformazione se e solo se mettono in moto le masse popolari e in primo luogo gli operai, se diventano promotori della mobilitazione e dell’organizzazione degli operai e degli altri elementi delle masse popolari, se svolgeranno la parte principale della loro opera non nel Palazzo, ma nel paese, sul terreno, tra le masse popolari. Questo va loro chiesto, questo devono proporsi, su questo saranno valutati e giudicati: questo è nel futuro immediato il loro ruolo sociale e personale. Per svolgere questo compito, non occorre essere già comunisti, avere già assimilato la concezione comunista del mondo: per costituire e far costituire organizzazioni operaie e popolari non occorre essere comunisti.
Gli eletti della lista M5S devono usare tutte le risorse che la loro nuova posizione consente loro e quelle di cui sono capaci di appropriarsi (senza riguardi per una legalità di cui le Autorità della Repubblica Pontificia si fanno beffe benché l’abbiano elaborata esse stesse su misura dei loro interessi e privilegi)
 principalmente per mobilitare, organizzare e orientare la classe operaia e il resto delle masse popolari, appoggiare le loro iniziative per far fronte alla crisi del capitalismo, dare forza e sviluppo ad esse;
in secondo luogo per intralciare, ostacolare, paralizzare, smascherare, denunciare l’attività del governo dei vertici della Repubblica Pontificia, della sua Amministrazione Pubblica, della Chiesa Cattolica, dell’Unione Europea, della NATO e dell’Amministrazione USA.
Se si dedicheranno a quest’opera gli eletti della lista M5S costituiranno una grande forza e adempiranno a un compito storico (dal Comunicato del (n)PCI, n. 7- 26.02.13).
 
Que se vajan todos i rappresentanti, i complici e i servi dei poteri forti nostrani e della loro comunità internazionale!
Nessuna collaborazione con governicchi, governissimi o governi balneari dei poteri forti!
Lo tsunami deve continuare: formare da subito Comitati di Salvezza Nazionale a ogni livello per avanzare verso la costituzione di un Governo di Blocco Popolare!
Approfittiamo degli scombussolamenti determinati dalle elezioni per costruire la governabilità dal basso delle masse popolari organizzate!
 
Qualche approfondimento
 
Analisi del voto
Gli elettori chiamati alle urne (alla Camera) erano circa 46,9 milioni in Italia e circa 3,5 milioni all’estero.
Votanti, astenuti e schede bianche e nulle
I votanti sono stati, sempre per la Camera, in Italia 35,3 milioni (75,32%) e all’estero circa un milione (29,7%). L’affluenza del 2008 era stata dell’80,5%.
Gli astenuti per Camera in Italia, rispetto alle ultime elezioni politiche del 2008, sono aumentati di 2,1 milioni (da 9,5 milioni del 2008 a 11,6 milioni del 2013).
Le schede bianche sono state: 395.000 (nel 2008: 486.000); quelle nulle: 871.000 (nel 2008: 931.000), complessivamente 1,26 milioni. I voti validi sono stati circa 34 milioni (72% degli elettori).
 
1.Il M5S-Grillo (lista  non presente alle precedenti elezioni del 2008) che è diventato il primo partito con 8,7 milioni di voti (25,5% dei voti) e con una nutrita squadra di parlamentari (109 alla Camera e 54 al Senato).
 2. I partiti che hanno sostenuto la giunta Monti-Napolitano  (PD, PDL, Lista Monti) e Lega nord, cioè quei partiti che si sono alternati al governo del Paese negli ultimi 20 anni  hanno insieme raccolto circa 23,4 milioni di voti (meno del 50% degli elettori), ma assieme si sono attribuiti, grazie alla loro legge elettorale porcata, ben 460 seggi su 630 (ben il 75%). Bersani&C con meno del 30% dei voti alla Camera hanno avuto ben 345 deputati (il 55% dei seggi).
3. Il Senato uscito dall’elezioni risulta privo di maggioranza grazie al premio di maggioranza a livello regionale. Bersani&C non hanno la maggioranza avendo 123 senatori su 315 (il 39%) neanche con il sostegno dei 19 senatori eletti nella Lista Monti. Lo schieramento dei partiti della Repubblica Pontificia al Senato ha ottenuto 21,9 milioni di voti su 42,2 milioni di elettori (circa il 50%), mentre il M5S ha ottenuto 7,3 milioni di voti (23,8%) e RC-Ingroia 550mila voti (1,8%).
 
I risultati degli schieramenti in campo (Camera)
1. La destra moderata (PD di Bersani) quello “doveva vincere facile” e i suoi fidi alleati di “copertura a sinistra”, Vendola (SEL) e di “copertura al centro”, Tabacci (CD), si è attestato al 29,5% dei voti con complessivamente 10 milioni di elettori. Nel 2008 la coalizione composta da PD e IDV aveva avuto 13,6 milioni di voti  (37,5%).
Il PD ha perso dal 2008 ad oggi 3,5 milioni di voti  (il 28,5% dei consensi) passando da 12 milioni a 8,6 milioni. SEL ha preso circa 1 milione di voti (3,2%), mentre il CD-Tabacci si è fermato allo 0,49%.
2. Il blocco della destra reazionaria. Berlusconi  e la sua banda, grida vittoria perché ha resistito al previsto tracollo, mantenendo il 29,2% dei voti che corrispondono a 9,9 milioni di elettori. Nel 2008 la coalizione aveva vinto con 17 milioni di voti  (46,8%).
Il PDL ha perso dal 2008 ad oggi 6,3 milioni di voti  (il 46,2% dei consensi) passando da 13,6 a 7,3 milioni.
La Lega Nord ha perso il 54% dei voti del 2008, passando da circa 3 milioni a 1,4.
Nel campo della destra fascista c’è da registrare
- un magro bottino per La Destra di Storace che si presentava nella coalizione con il PDL: 220 mila voti, 0,6% (nel 2008 si presentava da sola e aveva ottenuto  885 mila voti, il 2,4%).
- Forza Nuova: 90 mila voti, 0,26% (nel 2008: 108 mila voti, il 0,3%)
- Casapound: 47 mila voti, 0,14%.
In totale per questo schieramento hanno votato poco più di 10 milioni di elettori (nel 2008 erano stati circa 18 milioni).
3. Il nuovo blocco di destra (Monti-Casini-Fini). Il blocco benedetto dal papa e dall’UE e sostenuto da Montezemolo si è attestato al 10,5% con 3,6 milioni di voti. Nel 2008 solo l’UDC di Casini aveva avuto 2 milioni di voti e il 5,6%, che in questa occasione ha preso solo 608mila voti (1,8%).
4. La Sinistra borghese (RC-Ingroia). Oltre a PRC-PdCI raccoglieva anche parte dell’IdV di Di Pietro. Nella campagna elettorale si è caratterizzata per le continue suppliche di accordo a Bersani&C (proponendosi di fare la sponda  da sinistra esterna al PD) è stata travolta e ha subito una sconfitta più eclatante di quella subita nel 2008 dalla lista Arcobaleno di Ferrero&C. Ha raccolto appena 765 mila voti (2,2%). Nel 2008 solo la lista Arcobaleno aveva avuto più di un milione di voti (il 2,4%), mentre IdV, che allora era in coalizione con il PD, aveva avuto  1,6 milioni di voti (4,3%).
5. PCL. Ha raccolto circa 90 mila voti (0,26%), mentre nel 2008 ne aveva raccolti 208 mila (0,57%).

Da segnalare la debacle di SEL e di Vendola in Puglia (motivo della vittoria del PdL) e il fallimento dell’investitura di De Magistris al progetto Rivoluzione Civile (dato il sostegno del Sindaco di Napoli, era prevista nei sondaggi una affermazione significativa in Campania). Prendiamo questi risultati, a cui si può facilmente accostare la batosta del centro sinistra in Lombardia, come una dimostrazione che la strada intrapresa dalle giunte “arancioni” è fallimentare. Il centro della questione è, sempre, la concezione che ne guida gli amministratori: compatibilità con i vertici della Repubblica Pontificia o mobilitazione per la costruzione di Amministrazioni Locali di Emergenza? Anche attraverso queste elezioni, le masse popolari hanno dato una indicazione…

L’affermazione del M5S: un voto di protesta?
 Il M5S ha dato voce all’insofferenza, all’indignazione e al disgusto popolare per la cricca di politicanti, affaristi e manutengoli di regime che ha portato il nostro paese allo sfacelo. Adesso accanto ai mea culpa di alcuni esponenti della sinistra borghese che (dopo aver inseguito fino all’ultimo il PD) scoprono “non siamo stati abbastanza radicali”, ai lamenti degli irriducibili delle “masse popolari sono arretrate” (riverniciati per l’occasione con “le masse popolari preferiscono Razzi alla Concia” oppure “abboccano alle promesse di Berlusconi”), circolano più o meno dotte indagini a sfondo sociologico sui votanti del M5S e sui suoi eletti (oltre che sugli iscritti del M5S) e altrettante più o meno dotte analisi sulle cause del successo di Grillo. In alcuni casi sono gli stessi che dopo le elezioni amministrative del 2010 ci hanno tritato i maroni con i loro lamenti o le loro dotte elucubrazioni sugli “operai FIOM che votano Lega”.
La lezione da tirare dall’esito delle elezioni è un’altra ed è chiara (a patto, chiaro, di volerla vedere!): “la situazione politica del nostro paese è tale che quando un centro autorevole, sia pure reso tale solo per la storia del passato e dalla posizione che è arrivato a occupare nelle vicende della Repubblica Pontificia, chiama alla lotta contro il governo dei vertici della Repubblica Pontificia, le masse popolari già oggi rispondono all’appello su larga scala” (dal Comunicato del (n)PCI, n. 6- 20 febbraio 2013). E’ la lezione che hanno dato anche l’esito delle amministrative e dei referendum nel 2011 e ancora delle amministrative del 2012, è la lezione che hanno dato la manifestazione indetta dai sindacati di base il 17 ottobre del 2008, il movimento messo in moto dalla resistenza degli operai di Pomigliano (referendum del 22 giugno 2010) e amplificato dalla mobilitazione del 16 ottobre promossa dalla FIOM, il 15 ottobre del 2011, Occupiamo Piazza Affari e il No Monti Day nel 2012 promosse dal Comitato No Debito allargato.
Se finora ognuna di queste mobilitazioni si è esaurita anziché svilupparsi, coinvolgere su scala più ampia le masse popolari e darsi obiettivi superiori contro i vertici della Repubblica Pontificia e per la rinascita del nostro paese, è stato principalmente per la debolezza e i cedimenti dei centri che le avevano promosse, perché non hanno osato andare più avanti, hanno avuto paura di sfidare i vertici della Repubblica Pontificia.
I promotori dei referendum del giugno 2011, il movimento arancione guidato da Luigi De Magistris e soprattutto la FIOM di Landini sono emblematici in tal senso. I primi non hanno osato lanciare una mobilitazione su larga scala, come la vittoria del referendum aveva dimostrato che potevano fare, di disobbedienza al governo Berlusconi prima e Monti poi che violavano apertamente l’esito dei referendum. De Magistris ha (finora) preferito accordarsi con l’immobiliarista e plurinquisito Alfredo Romeo anziché rompere il Patto di Stabilità imposto dal governo di Roma per attuare con ogni mezzo la parola d’ordine “un lavoro utile e dignitoso per tutti” che, a Napoli come e più che nel resto del paese, è la base e il presupposto di ogni legalità degna di questo nome. Landini e gli altri dirigenti della FIOM, soprattutto (soprattutto, sì, perché la FIOM raccoglie il nocciolo duro degli operai, la classe che quando si muove trascina il resto delle masse popolari), anziché avanzare sulla via della lotta contro il piano Marchionne (come il successo del 16 ottobre, del referendum a Mirafiori e della mobilitazione nazionale del 28 gennaio 2011 confermavano che poteva fare) e farsi promotori della costruzione di un governo di emergenza che estromettesse Marchionne dagli stabilimenti FIAT, rimettesse in moto Termini Imerese, la ex Bertone di Grugliasco, l’Irisbus e tutte le altre aziende chiuse o a rischio chiusura e avesse come suo programma “lavoro, diritti, beni comuni e ambiente”, si sono messi nelle mani della Camusso e del resto dei nipotini di Craxi che dirigono la CGIL, hanno rinunciato a lanciarsi nella lotta senza quartiere contro la riforma Fornero e le altre infamie del governo Monti e si sono ridotti ad aspettare e sperare (in compagnia della Camusso) nel duo Bersani-Vendola che è uscito scornato dalle urne.
Alla luce di questo è chiaro anche che “la risposta delle masse popolari diventerà più ampia e più forte, più decisa e più combattiva se si formerà un centro che dimostrerà di essere determinato a persistere nella lotta e capace di condurla con efficacia per farla finita con la Repubblica Pontificia”. E quindi che “creare un centro del genere è il compito chiave, decisivo di questi giorni”.
 
 
Un risultato inaspettato? 
Sì, ma solo per chi, pur non condividendo i propositi di Marchionne di eliminarla in nome della “guerra tra noi e il resto del mondo”, si è dimenticato (o volutamente ignora) una delle leggi fondanti della concezione comunista del mondo: la lotta di classe è il motore della storia.
 
 “La storia di ogni società sinora esistita è storia di lotte di classe. Liberi e schiavi, patrizi e plebei, baroni e servi della gleba, membri delle corporazioni e garzoni, in una parola oppressori e oppressi, stettero sempre in contrasto fra di loro, sostennero una lotta ininterrotta, a volte nascosta, a volte aperta; una lotta che finì sempre o con una trasformazione rivoluzionaria di tutta la società o con la rovina comune delle classi in lotta. (…) La moderna società borghese (…) non ha eliminato i contrasti di classe. Essa ha soltanto posto nuove classi, nuove condizioni di oppressione, nuove forme di lotta in luogo delle antiche” (Marx ed Engels, Manifesto del partito comunista). Una lotta ininterrotta, a volte nascosta, a volte aperta... una lotta che ai tempi nostri si manifesta, si intrufola, irrompe (come in questo caso) anche nel teatrino della politica borghese.
 
E allora vede la lotta di classe solo quando ci sono gli scontri con la polizia o le fabbriche occupate. Per il resto si riduce a fondare la sua “scienza” sulle analisi, le previsioni e i sondaggi dei media e degli opinionisti borghesi, analisi, previsioni e sondaggi che riflettono le aspirazioni, le manovre, i contorcimenti della classe dominante, o meglio dei gruppi della classe dominante.
Quanti tra gli oppositori dell’Agenda Monti davano per fatto (come le teste d’uovo de la repubblica) un governo Bersani-Vendola, si dannavano (a differenza delle teste d’uovo de la repubblica che ne gioivano) che avrebbe avuto l’appoggio esterno della CGIL e così avrebbe tenuto a freno l’insorgenza sociale? Sono gli stessi che, all’indomani del colpo di mano con cui la gerarchia vaticana (avvalendosi della collaborazione di Napolitano e in stretta combinazione con le istituzioni europee) aveva installato Monti alla direzione del paese, gridavano al “consenso popolare” di cui godeva il nuovo governo, confondendo la fiducia parlamentare, l'appoggio del PD e dei suoi alleati e fiancheggiatori alla Camusso con la fiducia e il consenso popolare. Se l’esito delle elezioni insegnerà a tutti o almeno a buona parte degli oppositori dichiarati dell’Agenda Monti a guardare alle masse popolari non principalmente come vittime sacrificali (e disperate) della crisi del capitalismo e dei suoi caporioni ma come la forza che costruirà il futuro del nostro paese, a guardare finalmente alla capacità rivoluzionaria dei lavoratori e del resto delle masse popolari più che alla forza dei vertici della Repubblica Pontificia queste elezioni avranno prodotto un altro importante risultato.
Un’ultima considerazione, per chi è particolarmente renitente: il 22 febbraio al comizio finale di Grillo e del M5S c’erano almeno 500 mila persone, due giorni dopo a San Pietro ad ascoltare l’Angelus del papa dimissionario ce n’erano 100 mila (e per di più racimolate da tutto il mondo e portate a Roma con annessa gita turistica). Non è la fotografia delle difficoltà crescenti che i vertici della Repubblica Pontificia hanno a dirigere le masse popolari, a orientarne la testa e il cuore?  Per chi voleva vedere, le cose erano chiare… 
A norma di legge potete essere esclusi da questa lista di distribuzione,
RISPONDENDO A QUESTO MESSAGGIO con la richiesta di CANCELLAZIONE

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RESISTENZA

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