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[vigilanzademocratica] Martina Fabbri - Riflessioni sul video-sfogo di un responsabile del settimo reparto mobile di Bologna
- Subject: [vigilanzademocratica] Martina Fabbri - Riflessioni sul video-sfogo di un responsabile del settimo reparto mobile di Bologna
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- Date: Sat, 16 Feb 2013 07:27:12 -0800 (PST)
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Bologna - Quando i carnefici recitano il ruolo delle vittime
Riflessioni sul video-sfogo di un responsabile del settimo reparto mobile di Bologna
Apro repubblica e ascolto lo sfogo
di un poliziotto responsabile del reparto antisommossa di Bologna, stanco
perché “manifestare è giusto ma ci vogliono rispetto ed educazione”.
Pensando ai reparti mobili, in
particolare al VII di Bologna , non riesco a capacitarmi dell’ingenuità e della
sfrontatezza di questo video, che quasi mi viene da sorridere.
Non so, onestamente, se la mia
reazione dipenda dall'incontro ravvicinato avuto con il reparto in questione o
dall'urticaria verso la retorica giornalistica dei
celerini-brave-persone-sottopagate, che contrasta con le immagini delle facce
piene di sangue di compagni e amici in giro per l’Italia, oltre che con i denti
lasciati in piazza Cavour.
Prima di mettersi nei panni di un
capo squadra, prima che il Questore si complimenti con i suoi ragazzi perché
sono stati in grado di mantenere la calma - almeno per questa volta sono
riusciti a non sfracassare teste, prima di far balzare alle cronache il
competente lavoratore dello stato vessato dai lanci di uova, forse sarebbe
necessaria un’operazione di verità: proviamo a contestualizzare ed inserire in
un quadro più ampio i soggetti dei quali stiamo parlando?
Parliamo di un reparto che da tempo
si contraddistingue per atti violenti e ingiustificati: talvolta sono stati
condannati (penso ai quattro agenti che a Piazza Manin arrestarono illegalmente
due ragazzi spagnoli); più spesso le azioni criminali compiute contro persone
indifese non trovano giustizia nelle aule dei tribunali ( tristemente eclatante
il caso del tifoso bresciano Paolo Scaroni).
Sono le cronache a rivelarci come
funziona la polizia italiana quando si tratta di difendere e fare quadrato per
la protezione di qualche agente o magari dirigente: subito ci si mobilita
innalzando muri di silenzio, corrompendo le prove, trasferendo i poliziotti,
ostacolando le indagini.
E se poi, in ultima battuta, si
scampasse alle maglie della legge, potrebbe anche scattare una bella promozione
che faccia risplendere una carriera encomiabile.
Ed ecco che fa notizia il video di
un poliziotto che si presenta senza casco davanti ai colleghi ancora bardati
con manganelli alla mano, riconoscibile per una volta, a dichiarare quanto sia
difficile il proprio lavoro: quello di chi si posiziona davanti a banche o
stazioni, occupa i territori, chiude l’accesso ai palazzi del potere; quello di
chi si trova davanti cortei di studenti o precari, di uomini e donne stanchi di
abbassare la testa e restare in silenzio, magari protetti da caschi e scudi di
gomma, che manifestano senza educazione, dimenticando incresciosamente di
chiedere il permesso davanti alle manganellate e ai gas lacrimogeni.
Soprattutto sembra che sia una dote
extra-ordinaria e da lodare quella di chi, ogni tanto, riesce a tenere sotto
controllo i propri uomini durante operazioni di piazza: siamo passati a
far divenire eccezionalità ciò che dovrebbe costituire la norma.
Forse dovremmo interrogarci anche su
questo: abbiamo assistito a così tante eccezioni negative in piazza da far
sembrare un poliziotto che non carica un corteo e riesce a mantenere “i nervi
saldi” come uno scoop da prima pagina? E ancora, chi entra a far parte di corpi
di polizia dello stato, con particolare riferimento ai reparti mobili, è
preparato a gestire situazioni di tensione senza lasciarsi andare ad
aggressioni?
Sembra quasi apparecchiarsi dinanzi
a noi la giustificazione ai prossimi denti rotti: “è vero un agente ha colpito
violentemente una ragazza in faccia, però non ne potevamo più, dopo tutte
quelle uova.”
Un responsabile, piuttosto che
sfogarsi davanti alle telecamere per un lancio di uova assegnandosi per una
giorno il ruolo della vittima, dovrebbe occuparsi di debellare all'interno del
proprio reparto il cameratismo omertoso dei sottoposti.
Oppure preferisce diventarne
complice, nascondendo e dimenticando tutte le violenze commesse?
Questo video si inserisce ad hoc
all'interno di un problema bolognese che continua a passare sotto silenzio:
abbiamo in città un reparto mobile pericoloso, che riesce quasi sempre ad
uscire indenne da inchieste e processi, che si nasconde e si beffa dei reati
che compie, pervicacemente convinto di restare impunito.
Tutto questo non lo dice
un’attivista in passato ferita, ma emerge da dichiarazioni e fatti: perché se
indagare un reparto al cui interno qualcuno ha provocato lesioni gravissime è
ritenuta un’intimidazione nei confronti della Questura; se cercare di far uscire
il nome dell’agente in questione è un esercizio vano perché non ci sono
abbastanza foto; se è acclarato che è stato un poliziotto, ma sarebbe meglio
arrendersi per non sparare nel mucchio; se tutto questo è vero ed è stato
detto, a Bologna si dovrebbe quanto meno aprire un dibattito.
Un dibattito sui numeri
identificativi o su qualunque altro strumento di riconoscimento mi sembra un
passaggio indispensabile non solo per le persone che scendono in piazza a
manifestare, ma per tutti i cittadini troppo spesso vittime di abusi di
polizia.
Può presentarsi come atto necessario
verso quelle persone che non avranno mai giustizia a causa di una foto troppo
sgranata o un video manomesso.
Può essere un grimaldello utile per
spazzare via la spaventosa convinzione dell’impunità e della resa coatta di
fronte ad alcuni apparati statali.
E forse anche i giornalisti
intellettualmente onesti di questa città potrebbero metterci la faccia.
Fonte: http://www.globalproject.info
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