La Bongiorno e il presidente della
Camera
25 giugno 2010
Il ddl sulle intercettazioni è all’esame della commissione
Giustizia della Camera e già sono evidenti le manovrette dei finiani per ritardarne
l’approvazione.
Giulia Bongiorno, finiana di ferro e presidente della
commissione, si è presa 24 ore di tempo “per decidere se autorizzare o meno
una nuova serie di audizioni sul ddl intercettazioni”.
Sembra che, a detta dello stesso giornale, la
Repubblica, la signora attenda il ritorno di Fini dalla sua
visita in Israele per ricevere lumi.
Ora, se questo rispondesse a verità, siamo davanti
all’ennesima prova di un intervento di Fini fuori dall’ambito dei suoi poteri
istituzionali. La musica è sempre la stessa. Nel Pdl i finiani non muovono
foglia se prima non hanno sentito il loro capo, ossia il presidente della
Camera.
Alcuni esponenti del Pdl protestano affermando che “non è
mai successo che un presidente decida non tenendo conto della
maggioranza”.
Dunque, siamo al caos. Ci sono presidenti maggiori (Fini)
e presidenti minori (la Bongiorno) che si credono padreterni e violano
spudoratamente le più semplici regole della democrazia.
Credo che se la Bongiorno è intenzionata a perseverare su
questa strada, non possa più ricoprire la carica, e bene farebbe il Pdl a
sostituirla. Può essere l’occasione per la resa dei conti con Fini. Per fargli
intendere che ognuno deve stare al suo posto e rispettare le regole e gli
ambiti stabiliti dalla Costituzione e, ancora di più, dalla
democrazia.
Del resto, che si tratti di una manfrina tesa a rimandare
alle calende greche il provvedimento è dimostrato dall’iter seguito dal
medesimo. Lo si discute in Senato, si apportano le correzioni finiane e ci si
prende tutti insieme l’impegno a blindarlo alla Camera. Ma ecco che dopo
qualche giorno Fini avanza l’ipotesi che il ddl possa essere migliorato.
Perché non lo ha fatto tramite i suoi quando era ancora in discussione al
Senato? È presto detto. Se avesse proposto quei “nuovi” miglioramenti al
Senato, essi probabilmente sarebbero stati accolti, e quindi alla Camera il
provvedimento sarebbe diventato legge in tempi rapidissimi. Ciò che Fini non
desiderava affatto. Sicché se li tiene per sé e fa finta che al Senato tutto
vada bene. Poi mette in piazza i “nuovi” miglioramenti e alza il polverone,
spalleggiato dall’opposizione. Così la Camera sarà costretta quasi sicuramente
a variare il testo, che perciò dovrà tornare al Senato. Una strategia pensata
per i tempi lunghi, dunque. Così almeno spera il presidente della Camera.
Conclusione: il maggior ostacolo alla governabilità non è rappresentato tanto
dall’opposizione, quanto dal presidente della Camera, un vero e proprio
congiuratore. Se non si faranno i conti al più presto, ci dovremo aspettare
altre trame di questo tipo.
Si legge anche, su La
Stampa, che Umberto Bossi, indignato per come vanno le cose, è
salito sul Colle per uno scambio di idee con Napolitano.
Non c’è chi non ricordi che già avemmo nel passato, e
precisamente nella seconda metà del 1994, un incontro di Bossi con il capo
dello Stato, che a quel tempo era il famigerato Oscar Luigi Scalfaro. Di
quell’incontro ormai sappiamo tutto, e cioè che fu Scalfaro a consigliare a
Bossi di mollare Berlusconi, giudicato un politico finito, dopo che questi
aveva ricevuto il noto avviso di garanzia a Napoli, dove si
trovava.
Napolitano non è Scalfaro. Non è ancora arrivato a
compiere azioni riprovevoli come quella che portò alla caduta del primo
governo Berlusconi. Comunque vedremo che cosa succederà nei prossimi mesi.
Quello che è certo è che sapremo tutto di questi colloqui da un nuovo libro di
Bossi, come accadde l’altra volta con Scalfaro.
In ogni caso c’è da stare
in campana.
Berlusconi, mal consigliato, commette ancora degli errori,
come la nomina di Aldo Brancher (indagato e che subito si
avvale del legittimo impedimento) all’insaputa (così sembra) del suo alleato
Bossi. Il quale se ne ha a male. Anche tra i suoi consiglieri, dunque, si
annidano coloro che gli tendono ben volentieri qualche trappola. Così pure tra
i parlamentari, come ha dimostrato il caso di quei tre che hanno presentato in
commissione al Senato un emendamento per inserire il condono edilizio, sempre
respinto dal governo. C’è da domandarsi a nome di chi abbiano agito quei tre.
La loro operazione puzza di connivenze e collusioni. Se si sapeva che il
governo si è sempre dichiarato pubblicamente contro un nuovo condono, perché
si è voluto presentare quell’emendamento, che ne ha danneggiato
l’immagine?
Berlusconi tarda a fare ciò che i suoi elettori gli
richiedono da tempo. Pulizia dei falsi collaboratori. Credere di più nelle
proprie convinzioni e procedere diritto come un ariete senza temere gli
scontri: questo deve fare. La sua forza sta nella sua insostituibilità.
Senza di lui il Pdl si scioglierebbe come neve al sole. Lo sanno tutti. Lo sa
l’opposizione e lo sanno i parlamentari, anche quelli che gli tendono le
trappole. Senza Berlusconi e senza il Pdl, molti sarebbero costretti a
ritornarsene a casa, e magari a cercarsi un lavoro.
Se la Bongiorno vorrà fare il braccio armato di Fini, la
si tratti come tale, e le si dia il benservito.
Ieri Marcello Veneziani riferisce che
nell’ultimo libro dell’ex capo di Stato Francesco Cossiga (“Fotti il
potere”), questi: “vaticina il fallimento di Berlusconi, a cui pure
mostra umana simpatia e sostegno, e di cui riconosce la voglia di lasciare un
segno nella storia e non di pensare alle leggi ad personam, come dicono i suoi
avversari. E a differenza loro lo critica non per l’autoritarismo ma per la
sua debolezza.”
Per la sua debolezza, ribadisco anch’io.
Bartolomeo Di
Monaco
(Pubblicato su
Legno
Storto)