IL DISCORSO DI OBAMA: SEGNI DI APOLOGIA DELLA VIOLENZA



Roma, 13 dicembre 2009

Nel discorso dell'attuale presidente degli Stati Uniti, Barak Obama, alla cerimonia di consegna del premio Nobel per la Pace, possono essere rintracciati senza dubbio, dal punto di vista degli umanisti, elementi evidenti di apologia della violenza, visto che ancora una volta si è tentato di giustificare la guerra come strumento di pace.

Purtroppo dobbiamo constatare che anche il presidente degli Stati Uniti non è consapevole del fallimento globale di un sistema la cui metodologia d'azione è la violenza, di cui, anzi, se ne fa portavoce proprio in un'occasione - la consegna di un premio Nobel per la Pace - in cui con maggior forza si dovrebbero lanciare atti verso un futuro in cui sarà cancellata quella vergogna chiamata guerra.
Così non è stato e ci dispiace.

Eppure dovrebbe essere ormai abbastanza chiara la situazione attuale: esistono conflitti armati in numerosi punti e simultaneamente una profonda crisi del sistema finanziario internazionale. Tutto questo non è casuale, ma il risultato di un'ottusa perseveranza nel percorrere la via della violenza.

Il presidente Obama cita la storia per dimostrare una presunta inefficacia della nonviolenza e la della reazione bellica per costruire la pace. Eppure la situazione critica attuale dimostra, al contrario, una sola cosa: l'inefficacia della violenza. La strada che indica Obama per risolvere i conflitti non è diversa, nella sostanza, da quella del suo predecessore Bush, come non è diversa da quella percorsa mille e mille volte ancora in questi primi millenni di preistoria umana: la via della violenza.

Evidentemente non è stata una buona mossa quella di fare riferimenti storici, visto che la preistorica via della violenza, seguita nell'arco dei secoli scorsi, non ha dato certo dei risultati brillanti. Non è stata una buona mossa rievocare la tragedia nazifascista, una tragedia che non sarebbe nemmeno iniziata se la coscienza nonviolenta e democratica fosse stata sufficientemente diffusa da evitare l'avvento di Hitler e di Mussolini al potere.

Quindi, anziché ribadire per l'ennesima volta l'improbabile validità della guerra come strumento di pace, bisogna occuparsi, a nostro avviso, di come diffondere nel modo più ampio e profondo la coscienza nonviolenta.

Diventa sempre più impellente la necessità di diffondere, nell'animo popolare e nelle istituzioni, la priorità della difesa della vita umana e dei più elementari diritti umani.

In altre parole, se usiamo ancora parole di guerra e minacce nucleari per preservare una pace illusoria, stiamo perdendo tempo. È necessario, invece, rimboccarsi le maniche per diffondere quella giusta sensibilità che sia capace di provocare un ripudio profondo e una ripugnanza morale nei confronti delle mostruosità della violenza nei suoi differenti livelli.
Questo è il nostro compito.

Carlo Olivieri
umanista