Roma (AsiaNews) - In Occidente le donne di religione musulmana continuano
ad essere vittime di una interpretazione fondamentalista dell’islam, che spinge
all’odio ed alla violenza, ed insieme di una “legge patriarcale” che consente a
padri, mariti, fratelli ed altri parenti maschi di picchiarle e perfino di
ucciderle.
La denuncia viene da Mona Eltahawy, giornalista che risiede a New York,
esperta di arabo e questioni islamiche, che riporta una serie di casi
verificatisi in diversi Paesi occidentali. Così, a Berlino la ventitreenne Hatun
Surucu, di famiglia curda, è stata uccisa dal fratello di 18 anni. Aveva
divorziato dal cugino, che a 16 anni era stata forzata a sposare, stava
studiando per diventare elettricista ed usciva con un tedesco. Al fratello che
si vantava con la sua ragazza di aver obbedito alla legge patriarcale, è stata
data una condanna a nove anni e tre mesi di prigione.
Casi analoghi si sono verificati in Canada e negli Stati Uniti. “Nel
cosiddetto scontro di civiltà – scrive la Eltahawy - le maggiori perdenti sono
le donne e le ragazze musulmane”. Di fatto, afferma, ragazze e donne musulmane
vengono uccise dai loro parenti per essersi integrate troppo bene. Altre
moriranno finché i musulmani occidentali ed i relativisti culturali di fronte
all’odio anti-islamico di destra continueranno a negare e chiudersi in un ottuso
difensivismo.
Una ricerca su Google del caso Aqsa Pervez, sedicenne canadese uccisa dal
padre per il suo seguire i costumi occidentali, evidenzia che per la maggior
parte dei commentatori si tratta di un caso di “omicidio d’onore”, il che
suggerisce che ogni padre musulmano è pronto ad uccidere una figlia che si
rifiuta di indossare il velo. Ma per alcuni musulmani è “solo” un caso di
violenza familiare, senza implicazioni religiose o culturali. Fra questi,
scrittori liberal invitano a non giudicare le tradizioni culturali degli
altri.
Un caso limite è quello di Christa Datz-Winter, giudice di Francoforte che
ha rifiutato il divorzio ad una donna musulmana che accusava il marito di
violenze. Il magistrato ha sostenuto che entrambi i partner vengono
“dall’ambiente culturale marocchino nel quale non è insolito per un uomo
esercitare il diritto di punizioni fisiche centro sua moglie”. Il caso le è
stato tolto.
Ma “le donne musulmane continueranno a soffrire finché si troveranno di
fronte questo velenoso cocktail di interpretazioni fondamentaliste e norme
patriarcali”. Due scrittori musulmani canadesi Tarek Fattah e Farzana Hassan
portano l’esempio di una moschea di Montreal che ha pubblicato sul suo sito Web
un monito contro gli effetti che provoca sulle giovani togliersi lo hijab, il
velo. Non solo possono essere violentate ed aver figli illegittimo, ma anche
“provocare stress, incertezza e sospetto nelle menti dei mariti” e “istigare i
giovani a deviare sulla strada della concupiscenza”.
Quando una moschea offre tali messaggi carichi di odio, sottolinea la
studiosa, i termini delitto d’onore e violenza domestica perdono, e nascondono,
il punto: si insegna una cultura di odio e istigazione che va condannata.
“Io – conclude la Eltahawy – aspetto la rimozione di chierici e imam che
incitano all’odio ed alla violenza con i loro messaggi a proposito dello hijab.
Aspetto che le famiglie musulmane smettano di ripudiare le donne musulmane
europee che sposano un non islamico. E aspetto la fine di alcune scelte tremende
che donne musulmane, vittime di violenze, hanno dovuto compiere negli Stati
Uniti dopo l’11 settembre, quando chiamare la polizia poteva significare la
deportazione per un marito, un fratello o un padre”.
A fronte di tale condizione delle donne musulmane in Occidente, dall’Arabia
saudita giunge la notizia, pubblicata da Al Watan, che una circolare
governativa che invita gli alberghi a dare alloggio anche a donne sole, non
accompagnate, cioè dal loro “custode” maschio.
Non poter andare da sole in albergo rientra tra le tante cose che le donne
saudite non possono mai fare, come guidare l’automobile, o non fare da sole,
come viaggiare, salire in un’automobile o comparire davanti ad un giudice. Il
quotidiano saudita per spiegare le motivazioni della decisione governativa
riporta racconti di una donna che arrivando di sera in aeroporto non ha potuto
avere una camera di hotel e di un’altra che dopo una lite in famiglia è stata
chiusa fuori casa con la figlia ed ha dovuto far ricorso alla polizia per avere
alloggio in albergo.