Amato ha ragione, ma solo a metà, nel fare un collegamento
tra il velo islamico e «un' ideologia imperialista». Perché mentre è del
tutto opinabile sostenere che «vietare il velo vuol dire imporre
un'ideologia imperialista occidentale », è invece assolutamente vero che
l'imposizione del velo è lo strumento principale di un'ideologia
imperialista islamica, nella certezza che sottomettendo la donna si avrà
mano libera nella conquista del potere religioso, culturale, sociale e
politico. Questa è la realtà storica da quando negli anni Settanta il
vuoto identitario in Medio Oriente, provocato dal fallimento dell'utopia
laico-nazionalista del panarabismo, fu gradualmente colmato dalla
reislamizzazione ad opera dei Fratelli Musulmani in Egitto, Siria, Sudan e
Yemen, dei wahhabiti sauditi che diffusero un'interpretazione radicale
dell' islam disseminando moschee in Asia, Africa e anche in Europa, mentre
Khomeini in Iran esportava la sua rivoluzione islamica tra gli sciiti in
Iraq e Libano. Ebbene il tratto comune della reislamizzazione è
l'imposizione del velo alle donne, sostenendo la tesi arbitraria
dell'obbligo coranico. Laddove per le strade della mia Cairo, nel
ventennio in cui ci sono nato e cresciuto tra gli anni Cinquanta e
Sessanta, non si vedevano donne velate in giro, a partire dagli anni
Settanta cominciarono a rendersi visibili fino a trasformarsi in
maggioranza. Lo stesso fenomeno involutivo contagiò gradualmente gli altri
Paesi musulmani che si caratterizzavano per una sostanziale laicità delle
istituzioni e liberalità dei costumi, Marocco, Algeria, Tunisia,
Indonesia, Malesia e, più recentemente, la Turchia.
Ed è significativo che più si è consolidato il potere degli
estremisti islamici, più sono aumentate le donne velate. Il velo è il
termometro inconfutabile per registrare il livello di crescita del
radicalismo islamico. Sono i fatti ad attestare che il velo è tutt'altro
che un simbolo religioso. È piuttosto il simbolo ideologico per
antonomasia dell'integralismo e dell'estremismo islamico. Se potessero
ascoltare le parole di Amato, si rivolterebbero nella loro tomba la
militante femminista egiziana Hoda Shaarawi, la poetessa irachena Nazik Al
Malaika e l'intellettuale egiziano Qasim Amin che sin dall'inizio dello
scorso secolo si batterono contro il velo islamico. Così come oggi la tesi
di Amato si scontra con la battaglia per l'emancipazione della donna
condotta in Algeria dal ministro della Cultura Khalida Messaoudi e dal suo
omologo in Egitto Farouq Hosni, che ha recentemente subito un linciaggio
religioso, mediatico e politico per aver criticato il velo islamico. Ed è
lo stesso impegno civile sostenuto da diverse intellettuali tra cui Fatima
Mernissi, Elham Manea, Raja Benslama, Nahed Selim e Monjiya Souaihi.
Infine deve far riflettere il fatto che persino alcuni teologi islamici
non propriamente moderati sul diritto all'esistenza di Israele e sul
terrorismo palestinese, tra cui Gamal Al Banna, Hassan Al Turabi e Ahmad
Chaouki Alfangari, sono stati accusati di apostasia e perfino condannati
amorte per aver sentenziato che non vi è alcuna prescrizione coranica del
velo. L'invito che rivolgo ad Amato è di considerare la realtà del velo
islamico all'interno del contesto originario in cui si colloca e di
valutarla con i parametri propri di una religione che è fisiologicamente
plurale e storicamente conflittuale. Diversamente si diventa
auto-referenziali, collocando la questione del velo nel contesto
occidentale e valutandola con i parametri esclusivi dei diritti
fondamentali della persona che non hanno riscontro nella sharia islamica.
Ciò che ad Amato sfugge è che per gli integralisti e gli estremisti
islamici il velo non è un diritto individuale ma un obbligo divino, alla
donna non si dà la facoltà di indossarlo o meno, bensì la si obbliga a
farlo. E non si tratta ahimè più soltanto di un fatto che concerne gli
«altri», dal momento che anche l'Europa è diventata terra di conquista
islamica e vede diffondersi il velo.
Con una strategia ufficializzata il 12 luglio 2004 dalla
«Assemblea per la protezione del hijab», promossa da Youssef Qaradawi e
Tariq Ramadan, i referenti religiosi e ideologici dei Fratelli Musulmani
in Europa. Con loro c'erano 300 delegati provenienti da 15 Paesi, tra cui
l'Italia. Ebbene la posizione di Qaradawi sul velo è netta: «La donna deve
indossare il velo perché glielo ordina Dio. Ma se la moglie rifiutasse di
portare il velo, il marito la deve ripudiare». Questa è la realtà
dell'ideologia imperialista islamica che trova purtroppo terreno fertile
in un Occidente affetto da un'altra ideologia, il relativismo che nel caso
specifico si traduce nell'«islamicamente corretto », trasformando le leggi
e le libertà della civiltà occidentale nel cavallo di Troia della
conquista islamica.