Un grande giornale tedesco chiede zero tolleranza contro l'intolleranza



DOSSIER DELLO SPIEGEL SULL’ISLAMIZZAZIONE DEL DIRITTO

Un grande giornale tedesco chiede zero tolleranza contro l’intolleranza
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Milano. “Mi sarei aspettato più solidarietà
da parte politica e non questo attacco frontale
alla giustizia”, così ieri il presidente dell’associazione
magistrati tedeschi, Wolfgang
Arenhövel, nella Frankfurter Allgemeine, riferendosi
all’ondata di indignazione sollevata
dalla sentenza emessa una settimana fa da
un giudice donna di Francoforte, la quale, tenendo
conto del fatto che “l’islam concede all’uomo
il diritto di imporre la disciplina alla
consorte” aveva negato a una donna marocchina
nata e cresciuta in Germania ma sposatasi
nel paese d’origine del marito, la procedura
abbreviata per la sentenza di divorzio,
nonostante questi l’avesse ripetutamente
picchiata e fosse stato precedentemente diffidato
dal giudice stesso di avvicinarsi all’abitazione
della consorte. Secondo Arenhövel
“il giudice si è solo attenuta al quadro normativo”.
Giusto, ammette Arenhövel, criticare
il riferimento all’islam, ciò nonostante la
decisione di rifiutare una procedura d’urgenza,
“non è affatto anomala”, perché anche
in casi di maltrattamento fisico “si può addivenire
a una pacificazione”. Inoltre, “non c’è
nulla di strano nel fatto che un giudice si confronti
con le usanze musulmane”. A chi poi
parla di strisciante islamizzazione del sistema
giuridico, Arenhövel fa notare che l’immediata
ricusazione del giudice per legittima
suspicione dimostra “che funzionano gli antidoti
interni al sistema”. Tanto rumore per
nulla, dunque? Lo Spiegel non la pensa così
e ha dedicato alla “silente islamizzazione” la
copertina: “Mekka Deutschland”. Dentro un
dossier di dodici pagine, fitte di esempi con
tanto di motivazioni che a volte paiono arrivare
direttamente da “Absurdistan”. Ci sono
casi che riguardano il posto di lavoro. Nel
2002 il tribunale regionale della cittadina di
Hamm ha dato ragione a un lavoratore musulmano,
varie volte ammonito dal datore di
lavoro, perché, in nome della libertà confessionale,
pretendeva l’introduzione di pause
di preghiera. Ci sono casi che riguardano lo
spazio pubblico. Così a chi si lamentava di essere
svegliato a un’ora antelucana per le preghiere
del muezzin, la Corte federale amministrativa
nel 1992 aveva replicato che, sempre
nel nome della libertà di religione, i vicini
sono tenuti “in linea di massima ad accettare”
di essere svegliati prima dell’alba. Ma
sono soprattutto le sentenze che riguardano
la parità dei sessi, il rispetto dei diritti umani,
a rimettere in discussione il modello multiculturale
praticato fino a oggi, e a spingere
lo Spiegel a chiedersi: “Non è giunto il momento
di difendere la liberalità – faticosamente
raggiunta soprattutto in Germania – se
è il caso anche con zero tolleranza verso l’intolleranza”.
Molti sono, infatti, gli esempi citati
che danno la misura di quanto regole e
tradizioni della cosiddetta società parallela
stiano inficiando e condizionando il sistema
giudiziario. Da quelli grotteschi come la circolare
trasmessa nel 2004 dal ministero per le
Politiche sociali in cui si comunicava alle casse
mutualistiche che “i matrimoni poligami
debbono essere riconosciuti, se corrispondono
al diritto del paese d’origine”; tradotto anche
la seconda moglie di un algerino ha diritto
all’assistenza sanitaria. A quelli che mostrano
un preciso intento di evitare il “contagio
occidentale”, sin da tenera età. Così cresce
di anno in anno il numero di “esenzioni”
dall’ora di ginnastica per le ragazze. Il tribunale
amministrativo del Nordrhein-Westfalen
aveva dato ragione ai genitori di una ragazzina,
i quali si rifiutavano di mandarla in
gita, perché il Corano vieta di farle viaggiare
senza un familiare di sesso maschile a fianco
e perché l’adolescente mostrava evidente ansia
all’idea di poter perdere il copricapo. I
giudici diedero ragione ai genitori paragonando
il disagio della ragazza allo “stato
mentale di una persona parzialmente menomata
psichicamente e dunque in grado di
viaggiare solo se accompagnata”. Una sentenza
che ricorda la “fatwa dei cammelli”
emessa qualche anno prima dal presidente
della comunità islamica dell’Assia, Amir Zaidan.
Secondo la stessa, una musulmana non
può allontanarsi senza accompagnatore oltre
un raggio di 81 chilometri da casa, lunghezza
pari a quella che una carovana di cammelli
copriva nell’arco di ventiquattro ore ai tempi
del profeta. Una precauzione, così aveva spiegato
Zaidan, tesa a scongiurare il pericolo di
violenza carnale.
Andrea Affaticati