Torino: iniziato il processo agli antifascisti



Ieri si è aperto a Torino il processo contro gli antifascisti torinesi accusati di "devastazione e saccheggio". L'udienza è durata poco più di un'ora e mezza. All'esterno un folto gruppo di solidali presidiava con bandiere, striscioni e banchetti.
I giudici hanno accolto le richiesta della difesa per l'acquisizione di nuovi elementi di prova.
La prossima udienza si terrà il 6 novembre. 

Di seguito l'articolo in uscita sul numero di questa settimana di Umanità Nova. Oltre al processo di Torino si commentano le motivazioni della sentenza di condanna contro gli antifascisti milanesi emessa il 19 luglio scorso.

Da Milano a Torino
Repressione ad Alta Velocità

Si è aperto il 2 ottobre a Torino il processo per devastazione e saccheggio (art. 419 c.p.) a carico di dieci antifascisti arrestati in seguito alla manifestazione del 18 giugno 2005, quando la manifestazione indetta per denunciare l'aggressione fascista di due occupanti del Barocchio squat fu caricata in pieno centro cittadino. Tra gli arrestati anarchici (tra cui un compagno della FAI) e antagonisti, uniti dall'antifascismo militante. Ora rischiano dagli otto a quindici anni di reclusione (questa la pena prevista per il reato, benché a nessuno sia contestato uno specifico danneggiamento o furto, e comunque i danni lamentati dai negozianti della centrale via Po, dove avvenne la carica, sono del tutto irrisori (un vetro rotto, spariti alcuni gelati e un contenitore per le mance da un bar, danneggiate una quarantina di sedie in plastica e tavolini).
Per denunciare la smaccata manovra repressiva e dare solidarietà agli imputati la mattina dell'udienza si è tenuto un nutrito presidio davanti al tribunale, mentre nei giorni precedenti nel resto del paese ci sono stati volantinaggi e presidi di controinformazione.
Il processo è stato aggiornato al 6 novembre per iniziare l'audizione dei testimoni indicati dall'accusa e dovrebbe durare almeno fino alla prossima estate, se non un anno.
La vicenda torinese del giugno 2005 è stata la prima manifestazione di piazza in cui la procura della repubblica ha utilizzato l'imputazione di devastazione e saccheggio: normalmente venivano contestati il danneggiamento, la resistenza, le lesioni personali… L'utilizzo di un'imputazione del genere costituisce un gravissimo salto del paradigma repressivo. Infatti, da subito fu denunciato che un reato dai contorni così sfumati (quanti danneggiamenti ci vogliono per fare una devastazione?) poteva essere attribuito ad un numero indefinito di persone, purché avessero partecipato alla manifestazione incriminata. Agli imputati torinesi, manco a dirlo, non sono infatti contestati specifici atti di danneggiamento, ma la partecipazione alla manifestazione in cui le dette condotte si pretende siano avvenute.
Purtroppo un reato così devastante (ci si scuserà il gioco di parole) ha già trovato un prima terribile applicazione. A Milano, infatti, in relazione ai fatti dell'11 marzo 2006, quando un presidio antifascista cercò di impedire la manifestazione della Fiamma tricolore, il 19 luglio è stato condannato a quattro anni di reclusione un primo gruppo di manifestanti che, detenuto da ormai quattro mesi, aveva deciso di essere giudicato con il rito abbreviato che prevede uno sconto di pena di un terzo. Le motivazioni di questa sentenza sono state pubblicate il 15 settembre e la loro lettura è importante per capire la linea lungo la quale intende muoversi la repressione nei prossimi mesi.
Il nocciolo del ragionamento del giudice parte dalla qualificazione come devastazione e saccheggio di una serie di condotte di incendio e danneggiamento, ritenute integrare il più grave reato dell'art. 419 c.p.: qui la discrezionalità è piena, perché non c'è alcun metro di giudizio controllabile per dire quanti e quali fatti di danneggiamento fanno scattare l'imputazione più grave per cui si rischiano, lo si ripete, dagli otto ai quindici anni di reclusione.
A questo punto, basta essere stati partecipi della manifestazione per vedersi contestare il reato per concorso se non materiale, quantomeno, morale, perché, si legge nella sentenza, partecipando al corteo gli imputati hanno accettato l'eventualità di azioni incendiarie o devastatrici e la loro presenza sul luogo dei fatti avrebbe rafforzato la volontà di chi tali azioni commetteva. La circostanza che alla gran parte degli imputati non fossero contestati specifici fatti di devastazione o incendio diventa irrilevante. Ciò che conta è una sorta di concorso per presenza sul luogo della manifestazione.
In attesa dell'appello contro la sentenza di cui abbiamo parlato, dell'inizio del processo con rito ordinario ad altri imputati dell'11 marzo 2006 a Milano, della prosecuzione del processo per i fatti di Torino del 18 giugno 2006, occorre prendere atto, se non le si è ancora fatto, della gravità dell'attacco liberticida a tutti i movimenti che in piazza e a viso aperto intendono contrastare il prepotente ritorno dei fascisti, il razzismo, il clericalismo, lo sfruttamento dell'uomo sull'uomo e non si assuefanno all'aria conformista e irrespirabile che si respira. Tutti quelli, insomma, che vogliono vivere e lottare per una società diversa, di liberi e uguali.
W.B.

Da Umanità Nova n. 31 dell'8 ottobre 2006