"Not Dead Yet", i disabili americani che lottano contro l'eutanasia



Il Foglio 24.1.2006

“NOI AMIAMO I NOSTRI TUBI” PER MANGIARE, RESPIRARE, ORINARE

“Not Dead Yet”, i disabili americani che lottano contro l’eutanasia

Assuntina Morresi

"Mio caro dottor Killvorkian: tu dici che la mia vita non è degna di essere vissuta perché uso una sedia a rotelle e ho un catetere per svuotare la mia vescica. Diavolo, sei geloso perché le mie scarpe non si consumano e non mi devo alzare la notte per pisciare”: parole urlate al megafono davanti all’abitazione del dottor Jack Kevorkian (diventato Killvorkian), il Dottor Morte che ha “suicidato” decine di persone, in maggior parte disabili ma non malati terminali. Era il 21 giugno 1996, e la manifestazione era organizzata da “Not Dead Yet - The Resistance” (non ancora morti, la resistenza), un gruppo di disabili che dall’aprile dello stesso anno combatte la legalizzazione dell’eutanasia e del suicidio assistito.

Scendono in piazza sulle loro carrozzelle, e affermano che la richiesta di suicidio di disabili e malati è dovuta alla mancanza di supporto all’assistenza a domicilio e alla carenza di un’adeguata assistenza medica, inclusa la terapia del dolore. “Se uno di noi va in depressione e pensa al suicidio, la gente crede che sia un fatto razionale. Le persone non rispondono al problema personale che sta alla radice del suicidio. Quelli come me non possono permettersi di cadere in depressione. Qualche dottore potrebbe aiutarci a morire”, dice Maria Matzik, NDY dell’Ohio, alla quale un medico consigliò di non ricorrere al ventilatore se la respirazione fosse diventata difficoltosa: “Sarebbe un destino peggiore della morte”.

“Il fallimento del nostro sistema di assistenza sanitaria non è una giustificazione per l’omicidio. Questa epidemia del ‘diritto a morire’ si basa su un pregiudizio estremo verso le persone con disabilità, un pregiudizio che molti esperti non vogliono neppure riconoscere, e molti meno cercano di superare”: è Diana Coleman a parlare, la fondatrice di NDY. Sulla sedia a rotelle dall’età di undici anni, quando ne aveva sei ai suoi genitori adottivi fu detto che sarebbe morta nel giro di poco tempo per distrofia muscolare, e invece aveva una grave patologia alla spina dorsale. Laureata in Master and Business Administration, è diventata avvocato per lo stato della California. Oggi è impegnata in commissioni e centri nazionali per i diritti dei disabili. Attualmente è direttore esecutivo del Progress Center for Indipendent Living, in Illinois, un’associazione nonprofit di aiuto ai disabili che vogliono vivere in modo indipendente.

I membri del NDY sostengono che “l’uccisione medica legalizzata non è un nuovo diritto umano, ma una nuova immunità professionale”, e beffardamente chiedono: se morire a richiesta è un diritto, perché solo disabili e malati cronici e terminali possono accedervi? Si oppongono fortemente a una politica pubblica che autorizzi un’uccisione legalizzata di individui basandosi sul loro stato di salute. L’uccisione medica legalizzata “non è compassione, è disprezzo”, e “quella che sembra libertà, è solo discriminazione”.

“Se Kevorkian avesse assistito la morte di membri di un’altra minoranza, gay o afroamericani, per esempio, adesso sarebbe in galera e non avrebbe avuto lo splendido pulpito di ‘60 minutes’ per le atrocità che ha commesso. Ma la gran parte dei media ha sostenuto a lungo la sua causa come socialmente progressista”: queste le dichiarazioni della Coleman dopo che un “suicidio assistito” del ventiduenne handicappato Thomas Youk, a opera del Dottor Morte, che lo ha anche filmato, fu mandato in onda durante la popolarissima trasmissione televisiva “60 minutes”, sulla Cbs. Kevorkian fu condannato a 25 anni di galera.

Si sente un sopravvissuto Stephen Drake, ricercatore analista di NDY, con una disabilità “invisibile” per via di un trauma cerebrale alla nascita: il medico all’epoca disse ai suoi genitori che sarebbe stato meglio che fosse morto. Laureato in Special Education, si batte contro la vulgata “meglio morto che disabile” da quando Tracy Latimer venne uccisa da suo padre. Era l’ottobre del 1993. Tracy aveva dodici anni. Era affetta da paralisi cerebrale dalla nascita, con gravi problemi di salute, ma andava a scuola ogni giorno e non aveva chiesto di morire. Suo padre fu condannato ma Tracy divenne la “poster child” di un gruppo canadese che sostiene il suicidio assistito.

Gli attivisti di NDY hanno denunciato che, anche se spesso il primo motivo invocato per il suicidio assistito è la presenza di un dolore insopportabile e intrattabile, nella gran parte dei casi le ragioni effettivamente addotte dai medici per le prescrizioni letali sono la “perdita di autonomia” dei pazienti e “la sensazione di essere un peso”: l’interesse per il suicidio assistito sembra dipendere più dallo stress psicologico e da fattori sociali piuttosto che da condizioni fisiche. Mentre Terri Schiavo stava morendo, il 25 marzo 2005, gli attivisti di NDY dimostrarono in Florida al grido “Noi amiamo i nostri tubi”: “Tubi per nutrirsi, tubi per respirare, tubi per orinare, questi e altri tubi amiamo e di questi abbiamo bisogno. Disabili in carrozzella dimostreranno e spiegheranno la realtà della vita quotidiana con i tubi, confrontando l’ovvio orrore e repulsione della società con la nostra dignità e l’orgoglio della disabilità. Il tubo di Terri è il punto centrale. Questa è la ragione per cui la stanno uccidendo. Noi attivisti disabili dobbiamo mettere in ridicolo la risposta patetica della maggioranza non disabile a questi semplici pezzi di gomma”.

La lunga battaglia contro la morte per fame e per sete di Terri Schiavo ha coinvolto NDY e altre venticinque organizzazioni. “E’ tempo per la stampa di parlare con i veri esperti sul caso Terri Schiavo: il movimento dei diritti dei disabili”, reclamava Diane Coleman.

Il mese precedente NDY aveva chiesto una moratoria della sospensione del nutrimento e dell’idratazione per i malati in persistente stato vegetativo, alla luce di nuovi studi scientifici, rilanciati anche dal New York Times; persone in apparente stato vegetativo, al suono di voci care mostravano attività cerebrali in aree ben precise del cervello. Un uomo apparentemente inerte, per esempio, con diagnosi di stato vegetativo permanente, alla voce della sorella che ricordava i giochi fatti insieme da piccoli, mostrava alla risonanza magnetica un’attività delle aree visuali del cervello, come se stesse evocando immagini.

NDY ha poi ferocemente attaccato “Million Dollar Baby” di Clint Eastwood, definito un “attacco rozzo e melodrammatico ai disabili”, e si sono dichiarati “adirati e frustrati” dalla recente legalizzazione dell’eutanasia in Oregon.

Ma nel loro sito c’è anche una sezione tutta dedicata allo humour: “Una grande difesa dallo stress che può essere usata anche in offensiva… l’abilità a ridicolizzare e ridere della bigotteria e della retorica del ‘meglio morti che disabili’ che pervade il nostro mondo, ci tiene freschi e pronti per il nuovo giorno e per il passo successivo nella lotta”.

Assuntina Morresi