In Italia Harry Wu, il Solzenitzyn di
Pechino «Oggi in Cina più di mille
lager»
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Maurizio Blondet
Harry Wu è arrivato in Italia: presentato dalla Lega, parlerà martedì alla
Camera della più spaventosa “industria” cinese. Quella del lavoro forzato.
Perché Harry Wu, questo geologo di 68 anni, è per la Cina quello che
Solzenitzyn è stato per la Russia: come il grande russo ha rivelato al
mondo l’Arcipelago Gulag, Harry Wu sta rivelando l’universo
concentrazionario che il regime di Pechino mantiene ancor oggi: il Laogai,
il Gulag cinese. Signor Wu, se non sbaglio anche lei è stato “ospite”
del Laogai. «Sono stato internato per 19 anni. Dal 1960 al
1979». Per quale delitto? «Aver criticato l’intervento sovietico in
Ungheria. Era il 1956, gli anni dei “Cento Fiori”, Mao aveva ordinato:
“Che cento fiori fioriscano, che cento scuole di pensiero si affrontino”.
Allora ero giovane studente, e ingenuo, e come tanti ho interpretato
questa frase come un invito alla libertà d’opinione. Tanto più che il
Partito riunì noi universitari in gruppi di studio per commentare vari
articoli apparsi sul Quotidiano del Popolo che approvavano l’invasione
dell’Ungheria. In realtà, il Partito, con quel metodo, stava raccogliendo
prove per “smascherare i controrivoluzionari”. Io ci cascai in
pieno». E poi? «Da quel momento, ero marchiato. Mi spedirono in
campagna... ...per fare corsi di autocritica, e lì vidi come vivevano i
contadini: né luce, né acqua, né cibo, niente. Evidentemente, la mia
rieducazione non funzionò. Nel 1960 mi accusarono di furto e mi
internarono: dandomi cinque minuti per raccogliere le mie cose». Che
cosa ricorda del suo primo giorno nei lager cinesi? «Dei cadaveri
appesi a dei pali: per ammonire i nuovi arrivati. All’inizio non riuscivo
a mangiare il cibo, orribile. Un altro detenuto mi disse: mangia, nessuno
qui avrà cura di te. Cerca di sopravvivere». E come ci è
riuscito? «Ho “scelto” di vivere. Del resto la mia condanna era a tre
anni, bastava resistere. Ma invece, nel ’64, cominciò un nuovo giro di
vite. Il preludio della Rivoluzione Culturale. La Guardie Rosse fecero
irruzione nel mio Lager, derubarono noi detenuti di tutto. Scoprirono
anche i miei libri...». Libri? «Shakespeare, Victor Hugo, Tolstoi.
Li avevo seppelliti, ma li scoprirono. Li distrussero davanti ai miei
occhi mentre mi picchiavano. Mi spezzarono un braccio». E come mai fu
liberato, nel 1979? «Mao era morto, e la vite fu allentata. Molti di
noi “politici” furono liberati. Feci l’insegnante. Nell’85, come geologo,
fui invitato ad un corso all’università di Berkeley, California. Ottenni
il visto d’uscita, e naturalmente non tornai. Sono diventato cittadino
americano nel ’94». Però in seguito è rientrato in Cina. «Più volte,
allo scopo di raccogliere testimonianze sul Laogai e le atrocità che vi si
commettono. Ho per esempio testimonianze registrate di medici e infermieri
che raccontano di aver eseguito espianti di reni da condannati a morte,
poche ore prima dell’esecuzione o subito dopo». Ancor oggi? Ma il Gulag
cinese non è in via di sparizione, dopo la fine del maoismo duro? «Beh,
ai tempi di Mao il Laogai aveva almeno 20 milioni di internati. Oggi i
detenuti sono tra i 5 e i 6 milioni; almeno nel migliaio di lager che sono
riuscito a identificare, ma ne devono esistere altri di cui non ho
notizia. In via di sparizione? Nient’affatto, anche per un motivo: i lager
sono oggi inseriti nel sistema produttivo cinese. Gli internati lavorano
per l’esportazione». Per l’esportazione? «Quando non lavorano nelle
miniere o a stendere linee ferroviarie, fabbricano merci e beni da export:
giocattoli per la McDonald’s, scarpe per Nike e Puma... Il lavoro forzato,
gratuito, arricchisce il regime e le direzioni delle carceri. Per questo
il Laogai non viene chiuso». Ma Pechino nega. «Nega. Ma l’agosto
scorso un giornale importante, il South China Morning Post, ha raccontato
che sei grandi banche occidentali - dalla Deutsche Bank alla Merril Lynch,
da Morgan Stanley alla Union de Banques Suisses, avevano comprato il
pacchetto azionario della “Henan Rebecca”: è una fabbrica di parrucche con
capelli veri, la più grande del mondo. Ma non è una ditta: è il Campo di
rieducazione n.3 di Henan, con migliaia di “lavoratori” che sono forzati.
Fanno turni dalle cinque del mattino fino alle due del mattino seguente,
per smaltire gli ordinativi. E forniscono anche la materia prima: i
capelli per le parrucche, sono i loro». Ma almeno, tornando in Cina in
questi anni, non ha visto che la vita è migliorata? «È migliorata per
un piccolissimo strato di funzionari del Partito e di “industriali” che
sono spesso collegati al Partito. Ma la massima parte della popolazione
non guadagna nulla dal boom economico. Se non turni di lavoro da 80 ore
settimanali, e salarti da fame che nemmeno, spesso, vengono pagati. Ci
sono centinaia di milioni di cinesi che reclamano paghe arretrate. La
libertà religiosa è nulla, 30 milioni di cattolici vivono sotto il tallone
della polizia, 100 mila preti e religiosi sono i galera o uccisi, la gente
ha paura del sistema giudiziario... Chi guadagna dal boom? I privilegiati
del regime e le multinazionali». In Europa, e in Italia, c’è chi parla
di imporre forti dazi alle merci cinesi. «Non servono e non bastano. La
differenza tra il costo del lavoro in Cina e quella nell’Occidente, dove
vige la libertà sindacale, è così enorme, che le merci cinesi resteranno
sempre competitive. Quel che serve è costringere Pechino a chiudere i
Laogai, a far finire il lavoro forzato; ed obbligare le aziende
occidentali a rivelare “dove” producono in Cina. Come stanno cominciando a
fare gli Stati Uniti». Gli Stati Uniti? «Il 9 novembre un deputato
americano, Frank Wolf, ha presentato una proposta al Congresso. Questa
proposta di risoluzione impegna il governo Usa ad applicare le sue stesse
leggi, che proibiscono l’importazione di merci prodotte con lavoro
forzato; invita il governo americano a denunciare, in accordo col
parlamento europeo, il sistema concentrazionario cinese davanti alla Corte
per i Diritti Umani; esige che il governo cinese dia tutte le informazioni
sui suoi campi di lavoro, e che permetta ispezioni nei campi. E chiede
infine un’inchiesta internazionale sul Laogai». Temo che quella
proposta sarà respinta. Bush sta per andare in visita a Pechino per fare
accordi commerciali. «Invece no. La “proposta Wolf ” è stata presentata
il 9 novembre, ed ha già ottenuto l’appoggio di un grande numero di
parlamentari, fra cui Nancy Pelosi, la capo-gruppo democratica. La
risoluzione Wolf ha buone possibilità di diventare legge, e assai presto.
Forse Bush dovrà andare a Pechino portando, anziché favorevoli aperture
commerciali, quella legge». Maurizio Blondet
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