il ritorno dei benpensanti



Il ritorno dei benpensanti

Alberto Ronchey ieri ha scritto un articolo di fondo sul "Corriere della
Sera" contro i graffitari. Lui dice che sono un problema grave e che sta
ingigantendosi per colpa dell'indulgenza delle autorità. Distruggono le
nostre città, rovinano il patrimonio artistico. Chi sono i graffitari?
Sono dei ragazzi che scrivono sui muri o disegnano sui muri. Alcuni lo
fanno per rabbia, per protesta, per sfregio. Magari scrivono delle grandi
stupidaggini. Altri invece sono un po' artisti, un po' poeti, e coi loro
disegni pensano ai murales, alle grandi opere di Siqueiros o di Diego
Rivera. Vogliono esprimersi, vogliono dirci delle cose, cercano il bello.
Oppure il brutto, lo sbrego. Voi credete che il grande problema delle città
moderne siano i murales o i graffiti dei writers? Andatevi a leggere
l'articolo che pubblichiamo oggi a pagina otto, su Napoli, rione Scampia,
poi ne riparliamo.
Sulla prima pagina di "Libero", ieri, c'era questo titolo: «Non è che sono
le donne a farsi molestare?». Dietro il titolo c'è un concetto chiaro,
riassumibile nella seguente considerazione filosofico-giuridica: "se una
signorina riceve molestie, vuol dire che lei ha dato lo spunto. Vogliamo
prendercela con il provocato - che ha pure le sue esigenze sessuali, e
bisogna capirle - o con chi provoca? "
Giorni fa un altro giornale di destra se la prendeva con i pacs,
denunciando la fine del timor di Dio e descrivendo i "pacsisti" come gente
favorevole al "libero amore". C'era scritto proprio così sull'indignato
titolo di prima pagina: "libero amore".
Poi ci sono quelli intellettualmente più sofisticati, a cominciare dai
vescovi, dal papa, dai laici devoti, che vanno all'attacco contro il
relativismo culturale, invocano la primazia della religione sulla umana
politica, ci propongono la famiglia cristiana come modello per tutti. E i
grandi giornali, e i politici, si inchinano.
Cosa succede? E' cambiato in modo radicale il linguaggio degli ultimi 35
anni. Dal 1968 in poi nessuno più aveva osato presentarsi al pubblico
dibattito vestito in modo talmente ostentato da benpensante! L'editoriale
di Ronchey di ieri si poteva titolare così: «Signora mia, che tempi, che
tempi!...». A me sembra di essere tornato a quando andavo al liceo e i
preti un po' reazionari, i grandi giornali, le signore borghesi
impellicciate e impaurite se la prendevano coi capelloni, gli zazzeruti,
gli hippy, i contestatori, quelli dell'amore libero... Vi ricordate la
canzone di Giovanna Marini e di Pietrangeli: "Sapesse contessa che cosa mi
han detto... di libero amor facean professione...».
In effetti mi ricordo che in quella fine degli anni sessanta uno dei
giornali più perbenisti era la "Stampa" di Torino, degli Agnelli, che aveva
per direttore un giovanotto che noi studenti di sinistra consideravamo il
peggio del peggio del benpensantismo: era Ronchey. L'altro nostro bersaglio
era il "Corriere" di Spadolini.
Ma come può succedere che il linguaggio faccia un balzo del gambero di 40
anni? E cosa significa? Ce lo dobbiamo chiedere seriamente, e capire che se
noi non ci diamo una svegliata questi vincono. Ve lo immaginate un giornale
che accusa le donne di essere puttane, negli anni del femminismo? O i
lamenti di Ronchey contro questa gioventù sporcacciona, quando i giovani
erano organizzati, pesavano, facevano politica?

29 settembre 2005
Piero Sansonetti

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L'autoritarismo ha bisogno
di obbedienza,

la democrazia di
DISOBBEDIENZA