"Se il fine non è l'uomo i cristiani diranno no" - Chiesa e Stato



Il Messaggero, 28 settembre 2005

SE IL FINE NON È L'UOMO I CRISTIANI
DIRANNO NO
di FRANCESCO PAOLO CASAVOLA

DA ALCUNE parti si va
considerando in questi ultimi anni come indebita ingerenza in materie
di competenza del dibattito politico e del potere legislativo la presa
di posizione della Chiesa cattolica. I termini della censura vanno
decantati dal loro umore polemico. Ingerenza significa invasione di una
sfera altrui. I temi della bioetica, della famiglia, della morale
sessuale, sono forse monopolio dello Stato e dei partiti? Ovviamente
nessuno oserebbe negare che questi sono problemi della società, in
tutta la estensione delle componenti della società, che la
rappresentanza democratica è tenuta ad ascoltare rispettando la libertà
di manifestazione di tutte le opinioni, per poi dibattere ed
eventualmente elaborare proposte di riforme o di innovazioni
legislative. La Chiesa è una componente della società? L'interrogativo
è retorico. Una comunità di fede religiosa è una espressione della
società. Ma permane purtroppo anacronistica, in un immaginario
collettivo tenuto artificiosamente in funzione, l'idea che la Chiesa
sia una sorta di Stato antagonistico, che attenta ai diritti e ai
poteri dello Stato laico. Il principio costituzionale supremo della
laicità dello Stato stabilisce che lo Stato non professi alcuna
religione, ma non è indifferente od ostile rispetto alle religioni
professate dai cittadini, così come non è estraneo all'esigenza di
tutelare la libertà di coscienza fino a comprendervi anche la
miscredenza o l'ateismo. Non è perciò violazione della laicità dello
Stato se la coscienza religiosa della società, nella parte in cui si
raccoglie nella Chiesa cattolica, chiede di essere ascoltata dallo
Stato laico. E' anzi applicazione del principio di laicità. Se lo Stato
si rifiutasse all'ascolto, questo sì sarebbe comportamento di
discriminazione per motivi di religione. E allora, dove sta la causa di
tanta indignazione contro la pretesa ingerenza della Chiesa? Proviamo a
rintracciarne alcuni profili.
Malgrado si discuta e si discetti nei
media, in convegni, conferenze, libri, su laicità e fede, su laici e
cattolici, è sempre più evidente che la comprensione della religione
cristiana non è univoca. La fede cristiana non è storicamente una fede
nascosta e privata. La storia della civiltà occidentale non sarebbe
stata così come si è svolta se i cristiani avessero vissuto la loro
fede nel segreto delle coscienze e delle pareti domestiche. La
religione cristiana è stata pubblica e collettiva. Religione
comunitaria, non di isolati individui. E' stata invocata e impiegata
talora come religione civile. Si è combinata con la politica e per
secoli è stata addirittura religione di Stato. La sua rigenerazione nel
mondo moderno le ha restituito la duplice dimensione della missione
fondativa, di essere proiettata verso il regno di Dio ed insieme di
essere incarnata nella storia degli uomini. Come si può misconoscere
che in questa missione la comunità dei credenti debba essere guidata
dai suoi pastori per vivere in una società che preservi spazi di
libertà di coscienza e regole e istituzioni che non rovescino modelli
irrinunciabili di vita di relazione?
Il primo principio che il
cristianesimo ha irradiato nella cultura occidentale è che la persona
umana è il fine per l'organizzazione sociale. Non che la persona sia
una funzione della società. Di conseguenza non ogni mutazione della
società può essere consentita se la persona può subirne una
degradazione. Ma strettamente annodato a questo principio è l'altro,
che la persona non può essere accettata come una singolarità
individuale, esaurita nell'orizzonte dei suoi egoismi privati, ma al
contrario ha valore e si realizza nella solidarietà sociale e nella
fraternità e finanche nel sacrificio a vantaggio di ogni altro essere
umano. Quella parte della società, nella morfologia composita delle
odierne società pluralistiche, sia dal punto di vista delle culture,
sia da quello delle religioni, che manifesti pubblicamente istanze di
conservazione o di correzione dell'ordine sociale, ha diritto di
parola, quale che siano la grammatica e la sintassi adoperate. E lo
Stato laico ha il diritto di vagliare la portata democratica di
siffatte istanze, sottoponendole quando occorresse alla verifica del
consenso dei cittadini o dei loro legittimi rappresentanti.