Galimberti: LA SCIENZA GUARDA AL DOMANI




da: Associazione Partenia
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 "L'arretratezza della politica, l'insufficienza della riflessione etica,
la scarsa informazione, e non il progresso della scienza, sono infatti i
veri pericoli che oggi l'umanità corre. E per giunta a sua insaputa."(U.G.)


Umberto Galimberti:
 LA SCIENZA GUARDA AL DOMANI
Tratto da "la Repubblica", 20 settembre 2005

Si apre domani a Venezia la Prima Conferenza Internazionale su "Il futuro
della scienza" promossa dalla Fondazione Umberto Veronesi. La conferenza
prevede la presenza di scienziati europei, americani e giapponesi, nonché
filosofi, economisti e politici internazionali che, nella loro attività, si
sono rivelati particolarmente sensibili alle tematiche sollevate
dall'enorme progresso scientifico e tecnologico a cui assistiamo e sempre
più assisteremo nei prossimi anni, senza che ciò abbia una particolare
ricaduta sul dibattito culturale. Inconveniente, questo, che priva il
pubblico di quell'indispensabile informazione che potrebbe consentirgli di
partecipare alle riflessioni che tale progresso necessariamente comporta.
La Conferenza si articola in tre giornate dedicate: la prima al rapporto
tra la scienza e i valori, la seconda all'impatto della scienza sulla vita
umana, la terza ai rapporti tra la scienza e il potere.
1. Scienza e valori. Già il tema della prima giornata apre il dibattito, a
cui tutti siamo sensibili, relativo alla compatibilità tra le possibilità
di intervento che le scoperte scientifiche rendono possibili e i valori
etici su cui finora la cultura occidentale ha fondato se stessa. E qui
diciamo subito che, nell'età della tecno-scienza, quale è appunto la
nostra, l'etica si trova in grande affanno. In Occidente, infatti, abbiamo
conosciuto fondamentalmente tre etiche: l'etica cristiana, che si limita a
considerare la corretta coscienza e la sua buona intenzione, per cui anche
se le mie azioni hanno conseguenze disastrose, se non ne avevo coscienza o
intenzione, non ho fatto nulla che mi sia moralmente imputabile.
Esattamente come capitò un giorno a coloro che hanno messo in croce Gesù
Cristo e che da lui sono stati perdonati "perché non sanno quello che
fanno". è evidente che in un mondo complesso e tecnologizzato come il
nostro, una morale di questo genere è improponibile, perché gli effetti
sarebbero catastrofici e in molti casi addirittura irreversibili.
Quando nell'età moderna la società si laicizzò, apparve quella che potremmo
chiamare l'etica laica, la quale, messo sullo sfondo il riferimento a Dio,
con Kant formulò quel principio secondo cui "l'uomo va trattato sempre come
un fine e mai come un mezzo". è questo un principio che ancora attende di
essere attuato, ma nelle società complesse e tecnologicamente avanzate già
rivela tutta la sua insufficienza. Davvero, a eccezione dell'uomo da
trattare sempre come un fine, tutti gli enti di natura sono un semplice
mezzo che noi possiamo utilizzare a piacimento? E qui penso agli animali,
alle piante, all'aria, all'acqua. Non sono questi, nell'età della tecnica,
altrettanti fini da salvaguardare, e non semplici mezzi da usare e da
usurare? Sia l'etica cristiana, sia l'etica laica sembra che si siano
limitate a regolare i rapporti tra gli uomini, senza avere nessuna
sensibilità e quel che più conta senza disporre di alcuno strumento né
teorico né pratico per farci assumere una qualche responsabilità nei
confronti degli enti di natura, il cui degrado è sotto gli occhi di tutti.
All'inizio del nostro secolo Max Weber formulò l'etica della
responsabilità, riproposta vent'anni fa da Hans Jonas. Secondo Weber chi
agisce non può ritenersi responsabile solo delle sue intenzioni, ma anche
delle conseguenze delle sue azioni. Se non che, subito dopo aggiunge: "Fin
dove le conseguenze sono prevedibili". Questa aggiunta, peraltro corretta,
ci riporta punto e a capo, perché è proprio della scienza e della tecnica
avviare ricerche e promuovere azioni i cui esiti finali non sono
prevedibili. E di fronte all'imprevedibilità non c'è responsabilità che
tenga. Lo scenario dell'imprevedibile, dischiuso dalla scienza e dalla
tecnica, non è infatti imputabile, come nell'antichità, a un difetto di
conoscenza, ma a un eccesso del nostro potere di fare enormemente maggiore
rispetto al nostro potere di prevedere e quindi di valutare e giudicare.
L'imprevedibilità delle conseguenze che possono scaturire dai processi
tecnici rende quindi non solo l'etica dell'intenzione (il cristianesimo e
Kant), ma anche l'etica della responsabilità (Weber e Jonas) assolutamente
inefficaci, perché la loro capacità di ordinamento è enormemente inferiore
all'ordine di grandezza di ciò che si vorrebbe ordinare. Come si vede il
problema resta aperto e ancora tutto da pensare. Ma che lo si debba pensare
mi pare urgente e inevitabile, e bene ha fatto Umberto Veronesi ad aprire
la Conferenza da lui promossa con questa prima importantissima questione.
2. L'impatto della scienza sulla vita umana. è questo il tema della seconda
giornata articolata in quattro sessioni dove si discute con Carlo Rubbia
delle future fonti di energia, con i più famosi genetisti internazionali
della rivoluzione che ha comportato la scoperta del Dna, con Veronesi dei
progressi della medicina e delle possibilità terapeutiche che le continue
scoperte dischiudono, e infine delle ricadute in termini di informazione e
comunicazione che il continuo progresso telematico comporta. Le risorse
energetiche sono infatti la condizione per cui l'Occidente può mantenere il
suo standard di vita e i popoli in via di sviluppo raggiungerlo. Lo
scenario non è prevedibile, perché mai, in un arco di tempo così breve,
abbiamo raggiunto livelli di vita così elevati, che sono stati resi
possibili dalla disponibilità tecnologica, tanto potente quanto fragile,
come Chernobyl vent'anni fa e oggi il disastro di New Orleans sono lì a
dimostrare. L'accaparramento di risorse energetiche sarà la causa di guerre
future, per non parlare delle presenti, e disegnerà un nuovo mondo i cui
contorni sono difficilmente prevedibili. Se dalla vita collettiva passiamo
alla vita individuale, la genetica in primo luogo e i progressi della
medicina prolungheranno la nostra esistenza e miglioreranno la qualità
della nostra vita in una misura che le generazioni che ci hanno preceduto
non avrebbero neppure immaginato. Ciò comporterà, in Europa dove esiste,
una riduzione dello stato sociale e dei contributi pubblici per
l'assistenza sanitaria, fino a giungere al paradosso per cui quello che dal
punto di vista tecnico-scientifico sarebbe possibile effettuare, diventa
impraticabile per i costi economici che la collettività non è in grado di
sostenere. Da ultimo l'impatto telematico che amplia in modo esponenziale
le nostre conoscenze e modifica in modo radicale la modalità della nostra
comunicazione, nella speranza che non modifichi anche la nostra
intelligenza, trasformandola da problematica in binaria. La rivoluzione nel
mondo del lavoro è già sotto gli occhi di tutti, ed ora la attendiamo, non
senza una certa preoccupazione, nel mondo della scuola e dell'università,
dove i processi formativi dovranno inevitabilmente cedere il passo
all'acquisizione di competenze tecniche.
3. Scienza e potere. La terza giornata della Conferenza ha per oggetto la
spinosa questione dei condizionamenti che la scienza subisce ad opera
dell'economia e della politica. Infatti non si fa scienza senza denaro. E
il denaro, essendo purtroppo l'unico generatore simbolico della nostra
cultura, si incanala là dove può moltiplicarsi grazie alle scoperte
scientifiche. Ciò comporta che il denaro privato avrà occhi solo per la
ricerca applicata che dà subito risultati economici, mentre per la ricerca
di base (da cui quella applicata dipende) bisognerà implorare risorse
pubbliche ad amministratori statali che non hanno sguardi a lungo periodo
per ricerche il cui successo non è garantito. Basti guardare le condizioni
in cui versano le nostre facoltà scientifiche e il tempo che gli scienziati
sottraggono alle loro ricerche per andare in cerca di finanziamenti, fino
alla decisione di abbandonare il nostro paese per impossibilità materiale
di fare ricerca. A medio periodo, perché ormai il progresso della scienza è
velocissimo, questa situazione comporterà la dipendenza dei paesi che non
investono abbastanza in ricerca, come l'Italia, dai paesi che invece
investono e, in un mondo sempre più tecnologizzato, questa sarà la nuova
forma che assumerà il colonialismo. Coloro che ci governano faticano a
capire che in un mondo sempre più tecnologizzato la politica, se non si
porta all'altezza del mondo che le è dato da governare, rischia di non
essere più il luogo della decisione, perché per decidere è costretta a
guardare all'economia, la quale assume le sue decisioni a partire dalle
risorse e dalle disponibilità tecnologiche, per cui la tecno-scienza finirà
per mandare in soffitta la politica se questa non si fa avveduta. Il
rischio è terribile perché, come già ci ricordava Platone: "Le tecniche
sanno come le cose devono essere fatte, ma non se devono essere fatte e a
che scopo devono essere fatte. Per questo occorre quella tecnica regia
(basiliké téchne) che è la politica, capace di far trionfare ciò che è
giusto attraverso il coordinamento e il governo di tutte le conoscenze, le
tecniche e le attività che si svolgono nella città". (Politico, 304 a).
Siamo all'altezza di quest'avvertimento di Platone? Penso di no. E allora
ben venga, a chiusura della Conferenza Internazionale sul futuro della
scienza, questa sollecitazione alla politica perché questa si porti
all'altezza della trasformazione del mondo che le è dato da governare.
L'arretratezza della politica, l'insufficienza della riflessione etica, la
scarsa informazione, e non il progresso della scienza, sono infatti i veri
pericoli che oggi l'umanità corre. E per giunta a sua insaputa.


Ci scusiamo se qualcuno di voi è finito per sbaglio nella  rubrica
dell'Associazione Partenia.Se non avete gradito il messaggio e se non
volete più riceverne, potete inviare una mail con su
scritto"cancellami".Provvederemo immediatamente.Cordiali saluti.
ASSOCIAZIONE PARTENIA
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